La si chiami pure piaggeria o come cavolo si voglia. Ma chi intervista il professor Luigi Campiglio sente, dopo un colloquio con questo grande economista, docente di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano, di riconciliarsi con gli economisti di oggi, quelli che non sono più umanisti. Sente di diffidare di meno sull’arte o sul mestiere dell’economista che aggiusta i conti e non pensa mai che dietro ai conti, alle grandi manovre finanziarie ed economiche ci sono persone in carne e ossa, che magari dopo una riforma, un intervento, un ribaltamento di architettura sociale ed economica si trovano di fronte allo sconvolgimento della loro vita, della loro esistenza. Luigi Campiglio è ancora uno dei pochi economisti che guardano alla realtà concreta degli uomini e delle famiglie. È un umanista in un mondo accademico e professionale dove spesso si strologa di algoritmi e di logica astratta.



Il Governo di Mario Monti ha necessità di fare cassa e di promuovere la crescita. Siamo solo alle anticipazioni di una serie di interventi che saranno annunciati lunedì per essere portati al Consiglio d’Europa dell’8-9 dicembre, nell’operazione di salvataggio dell’euro, attraverso una riconquistata fiducia dei mercati. Le anticipazioni ci parlano dell’impianto previdenziale italiano da riformare. Si dice che ormai “si vive di più e quindi si deve lavorare di più”. Le conseguenze sono quelle di alzare la soglia dell’età pensionabile, così le casse dello Stato respireranno un po’ più di ossigeno. “Tutto è giusto e perfetto”, direbbero nelle Logge massoniche. Ma le persone coinvolte in questa impalcatura riformata come subiranno queste modifiche? Come saranno colpite le loro vite?



Professor Campiglio, prima di aumentare l’età pensionabile delle donne che lavorano, non sarebbe giusto fare qualche sconto, oppure dare qualche premio a delle signore che magari hanno messo al mondo tre figli, cioè tre futuri contribuenti?

Stiamo parlando solo di anticipazioni sulla nuova manovra, quindi è meglio non entrare nel merito esatto prima di conoscere anche i dettagli di quello che sta varando il governo. Possiamo fare delle considerazioni generali. C’è una prima osservazione di fondo da fare. C’è ormai una prospettiva metodologica data per scontata, ma che non lo è affatto: “Vivi di più e quindi lavori di più”. È una prospettiva veramente sbagliata. Si dovrebbe considerare invece quanto si vive di più in buona salute e in grado di lavorare. Ormai, persino l’Eurostat calcola la vita media non tanto sugli anni di vita, ma sugli anni di buona salute e di autosufficienza. Se, ad esempio, le donne vivono in media più degli uomini, spesso ci troviamo in un universo femminile di straordinaria importanza sociale, con donne che invecchiano in completa non autosufficienza, magari assistite dalle figlie. Questo è un mondo in difficoltà che non pare neppure preso in considerazione.



Poi, appunto, ci sono quelle che hanno messo al mondo tre figli e che pare non debbano neppure avere sconti di sorta. È strano che la laica Francia si curi particolarmente di famiglie e figli, mentre la cattolica Italia trascuri “questi dettagli”, che alla fine fanno parte di un welfare familiare.

È vero. In Francia, si ritiene che proprio il terzo e il quarto figlio, inseriti nel mondo del lavoro, contribuiscano al trasferimento delle risorse ad altri soggetti sociali e per questo si viene “premiati” dallo Stato.

 

Mi scusi se insisto sul concetto di welfare familiare che in Italia sembra tramontato. Forse è difficile valutare quanto sia ancora vasto l’antico nucleo familiare italiano, dove i nonni avevano un’importanza spesso decisiva nell’economia di una casa, persino nel sostegno ai figli che lavorano e ai nipoti che devono crescere. Quale funzione possono più avere se si alza a tutti l’età della pensione in modo generalizzato?

 

Avvengono indubbiamente degli sconvolgimenti sociali, una riorganizzazione della vita che spesso è difficile affrontare e risolvere. Personalmente ho avuto sempre l’immagine di una realtà come la famiglia, il centro dei veri valori che formano le persone, dove è pericoloso e dannoso sconvolgere, spezzare quella che chiamo la catena generazionale. A volte sembra che tutto questo non venga preso in considerazione. Ritengo che invece si debba lavorare di cesello in situazioni come queste. È ovvio che si possa e magari si debba intervenire al momento giusto, ma è facile fare guasti irreparabili se non si tiene conto di tradizioni e realtà consolidate.

 

Oggi si parla tanto di flessibilità del mercato del lavoro, in entrata e in uscita. Se però c’è una famiglia con genitori che non hanno più lavoro e un’età che oscilla tra i 50 e i 60 anni, quale aspettativa hanno se non la pensione, dato che un lavoro, a quell’età è difficile ritrovarlo?

 

Altro problema drammatico. Esistono casi come questo, magari con i due genitori che, a quell’età, hanno i figli nella parte terminale della loro formazione scolastica, che richiede un impegno finanziario più oneroso rispetto agli anni precedenti. E, cosa non rara, questi due genitori senza lavoro, hanno pure un anziano invalido, non autosufficiente da accudire. Mi pare che anche questi casi, tutt’altro che eccezionali, siano trascurati, quasi contemplati in una casistica fisiologica rispetto al disegno dell’impalcatura da riformare. Lo ripeto, queste sono casistiche delicate, dove si deve lavorare di cesello.

 

Che cosa significa lavorare di cesello in questa materia?

Vorrei parafrasare il filosofo Vattimo sul “pensiero debole”. Noi in questi casi, in questi problemi abbiamo bisogno di un “pensiero lungo”, di prospettiva, non un “pensiero breve”, di tempo limitato. Il problema fondamentale a mio parere per qualsiasi tipo di riforma e soprattutto per un ripensamento del sistema pensionistico è innanzitutto quello di salvaguardare il patrimonio umano che un Paese come il nostro possiede. Il patrimonio umano complessivo vive dei grandi valori che ti offre la famiglia ed è più importante dello stesso capitale umano. Qualsiasi provvedimento deve tenere in considerazione questo fatto che è fondamentale per una società come la nostra. Altrimenti si rischia di compromettere tutto. Spesso mi chiedo che cosa succederebbe se un invalido, un non autosufficiente non avesse un’indennità di accompagnamento. Penso a chi ha un figlio che ha dei problemi di vario tipo, che deve assistere e curare. Chi pensa a queste realtà? Anzi, a queste persone in carne e ossa? Sono questioni da porsi quando, anche nel nome di esigenze economiche urgenti e generali, si devono affrontare grandi cambiamenti. Staremo a vedere come le affronteranno nel progetto della riforma. Le mie, al momento, sono solo considerazioni generali.

 

(Gianluigi Da Rold)

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