La Suddeutsche Zeitung, ricorda con orgoglio lo stesso Mario Monti, l’ha definito il “perfetto genero”. «Vesto in modo non appariscente, parlo poco e non alzo mai la voce», aggiunge con senso di autoironia da falso ingenuo. Chissà se i padri del Bel Paese, a Nord come a Sud, vorrebbero avere un genero così noioso (almeno all’apparenza), che rischia di farti addormentare al pranzo di Natale. E capace di ricordarti i problemi al tuo fegato se decidi di bere una coppa di champagne in più. Probabilmente sì: un genero così spingerà i nipotini a studiare in vista di una laurea, meglio in materie scientifiche o in Bocconi, piuttosto che sognare una carriera da velina (o da ministro) o un futuro da showman o da calciatore.



Tutto sommato non è emerso molto altro dalla chilometrica conferenza stampa dedicata al varo del pacchetto di riforme che, da oggi in poi, passerà sotto il nome di “cresci-Italia”. D’altronde, non è l’ora delle promesse. Il premier sa che, allo stato delle cose, il 2012 porterà agli italiani un calo del Pil attorno all’1%. La Borsa, che in un anno ha perduto un quarto del suo valore, annusa un nuovo declino dell’economia, a meno che la svalutazione della moneta unica non dia un po’ d’ossigeno all’export. Ma di questo Monti non vuole, né può, parlare. Così come non può promettere che basti tagliare la spesa primaria di cinque punti percentuali, una medicina da cavalli, per raggiungere l’obiettivo del pareggio, promesso da Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi, mica da lui che, da buon genero, si è trovato a svolgere il lavoro sporco per rimediare alle cambiali sottoscritte da altri. Per leggerezza, anzi, per necessità. Senza quegli impegni, infatti, la Bce non avrebbe effettuato quegli acquisti di Btp che hanno evitato il collasso.



Non è nemmeno il momento di soffermarsi sull’andamento dello spread. Le cose stanno migliorando, spiega il professore davanti alla lavagna agli italiani (chissà, forse il 10% degli spettatori ci avrà capito qualcosa). Ma ci vuol poco a perder credibilità, molto per riconquistarla. La traversata nel deserto durerà ancora a lungo, insomma. La terra promessa è ancora lontana. Così come la manna che potrebbe piovere dal cielo del Nord quando la Germania, convinta della serietà degli impegni italiani, si deciderà a finanziare gli eurobond. Inutile illudersi, insomma, che gli italiani siano gli unici padroni del proprio destino. Molto dipenderà dagli altri. Ma, tanto per consolarci, il Premier tira fuori un articolo del Washington Post: “Il futuro dell’economia mondiale dipende dall’Italia”. E scusate se è poco.



Insomma, testa bassa e pedalare. Tra qualche mese, quando, si spera, la speculazione capirà che l’euro è in grado di resistere agli attacchi, il quadro sarà più chiaro. E potrà scattare una nuova fase, in cui non mancheranno, probabilmente, iniziative shock per abbassare lo stock del debito esistente. Ma di questo si parlerà al momento debito. Guai a illudere gli italiani, incorreggibili cicale sia che votino a sinistra (vi ricordate il mitico tesoretto ai tempi di Prodi?), sia a destra (liberalizzazioni sì, purché vere, tuonano i politici che si sono ben guardati dal pestare i piedi a tassisti o farmacisti).

Anche per questo le misure restano nel cassetto. Cosa che non rasserena le corporazioni pronte a dissotterrare l’ascia di guerra per difendere i propri interessi. O i sindacati che, prima ancora di entrare nel merito del pacchetto lavoro, vogliono cancellare l’onta di un governo che ha osato prima decidere la riforma della previdenza per poi illustrarla alle parti sociali. Ma, si sa, la politica è fatta di principi ancor prima che di sostanza. Di regole e di metodo, prima ancora dei risultati che sono il frutto di inevitabili mediazioni che si possono comunque correggere nel tempo.

E il metodo, sperimentato nel tour de force da metà novembre fino al varo del salva-Italia il 6 dicembre scorso, non cambia con un lungo conclave di governo e poi la presentazione agli appuntamenti già previsti in sede europea: l’Ecofin del 23 gennaio, il consiglio europeo del giorno 30. Prima, a differenza di quanto accaduto per il decreto numero uno (guai a chiamarlo fase uno), ci sarà il confronto sul mercato del lavoro con le parti sociali. Ma sarà un confronto rapido, perché i tempi sono dettati dall’agenda di Bruxelles, non dalla concorrenza delle varie sigle sindacali. E dopo, una volta presi gli impegni che contano con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, al Parlamento non resterà che lavorare sui dettagli o, al massimo, sulla cornice.

Lasciate lavorare il “genero” che non promette miracoli, ma, a sorpresa, può regalare battute degne di Woody Allen. Memorabile, ad esempio, la risposta al giornalista de Il fatto quotidiano che gli fa presente il mini scandalo delle uova di struzzo decorate a mano, costo 3 mila euro, donate da dirigenti dell’Agenzia delle Entrate per Natale. «Mi informerò subito – è stata la replica a caldo – Non tanto per le decorazioni, ma perché lo struzzo non si concilia con la politica di questo governo che non vuol nascondere la testa sotto la sabbia». Più che ad uno struzzo Monti assomiglia a un rinoceronte con una corazza formidabile: la patente da dilettante della politica. In democrazia, l’arma principale è rappresentata dal consenso elettorale, accompagnato nell’arco dell’esperienza di governo dall’andamento dei sondaggi. Niente di questo vale per l’ex presidente della Bocconi: «Il gradimento per un governo come il mio – dice in conferenza stampa – dovrebbe essere zero». Tutto il resto è una sorpresa gradita, ma non sollecitata. E, soprattutto, che non comporta alcun obbligo.

Così come la situazione di partenza imponeva un percorso obbligato. Certo, la manovra, così come è uscita dal decreto salva-Italia, ha evidenti effetti recessivi, come ripetono i colleghi economisti che non hanno avuto la ventura di accompagnarlo a palazzo Chigi. «Anch’io ho una qualche competenza in economia – commenta con ironia che cela un certo fastidio -. Ma sono grato ai colleghi che mi ricordano i possibili effetti recessivi della manovra. Ma se non l’avessimo fatta avremmo affrontato una recessione esplosiva. O, se preferite, un’esplosione certa della recessione».

Le scelte, insomma, non le ho fatte io. Ma , allo stato delle cose, non c’era alternativa. Il che, forse, è l’unica cosa che hanno capito gli italiani: certo, prima ci si divertiva senz’altro di più che con questo genero un po’ bacchettone. Ma con lui potremmo tenere l’ufficiale giudiziario fuori dalla porta. E se dentro casa si fa un po’ di teatrino, tra proteste, gazzarre in Parlamento e lunghi cortei di tassisti, pensionati, metalmeccanici e farmacisti (o giornalisti che battono cassa anche in occasione delle conferenze stampa), almeno non ci si annoia.

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