Eccola la pregevole, autorevole, “indipendente” stampa anglosassone che ritorna in pista. Il famoso “wacht dog” che dovrebbe tutelare l’opinione pubblica dalle manipolazioni. Alla fine si scopre che il “wacht dog” fa sempre il gioco dei grandi oligopoli internazionali. Questa volta è l’autorevole The Wall Street Journal che ricostruisce con una fantasia “molto interessata” le vicende della caduta di Berlusconi e la situazione italiana. Con tutta probabilità, anche il giornale fondato da Dow e Jones viene oggi curato da quello strano organismo che è il “Council of Foreign Relations”. Si inchineranno quasi tutti di fronte a quella paracomica ricostruzione della telefonata del 20 ottobre 2011 di Angela Merkel al Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, per, di fatto, “silurare” Silvio Berlusconi. In questo modo si formerà una sorta di rovello complottistico nelle menti conformiste, dove il premier di uno Stato straniero chiede la testa del premier di un Paese amico e alleato, e dove il Presidente della Repubblica acconsente, facendo la figura del cretino o del “servo”. E poco servirà la smentita, giusta e doverosa, di Giorgio Napolitano. Il Wall Street Journal, di fatto, non attacca solo Berlusconi, ma anche Napolitano, l’Italia e l’Europa. Pochi si renderanno conto che l’attacco è fatto con un pressapochismo da giornalismo provinciale.



In realtà, non tutti si inchineranno alla “verità” fornita dal “prestigioso” quotidiano. Francesco Forte, grande economista, ex ministro delle Finanze, l’uomo della “nota aggiuntiva” del 1962 con uomini come La Malfa, Sylos Labini e Fuà, sa vedere bene gli affari finanziari, economici e politici, e commenta da par suo questa articolessa che arriva dall’America, dove sono sempre interessati a fare la guerra all’euro.



Professor Forte, che cosa ne pensa di questo scoop del Wall Street Journal?

Che è una ricostruzione fantasiosa, per nulla fedele. Come si può far ricadere sulla Germania, sul cancelliere tedesco, la crisi italiana? È un’operazione, quella del giornale, che ha dei tempi precisi per arrivare da un’altra parte. Lo vedremo. La crisi del governo Berlusconi dipende solo da vicende italiane, dai problemi che sono nati all’interno della maggioranza che sosteneva il governo.

Quali sono i passaggi principali di questa crisi che è esplosa a ottobre?

Dopo le elezioni del 2007, vinte con grande maggioranza, si è cominciato a destabilizzare il governo Berlusconi, con campagne mediatiche di ogni tipo, con inchieste giudiziarie che spesso non hanno alcun senso. Insomma, per destabilizzare il governo, si sono cercati tutti i punti deboli della maggioranza e del premier. In quel periodo, a menare la danza a livello internazionale c’era il Financial Times, poi la “catena” di Rupert Murdoch per problemi finanziari ed editoriali. Tutti quanti legati a istituzioni finanziarie e bancarie internazionali. La Merkel prendeva atto di questo, ma di certo non è così stupida da esporsi all’ingerenza nella formazione del governo di un altro Paese.



La crisi del governo è nata quindi soprattutto in Italia?

Certo. Si comincia con la crisi dei rapporti tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, per il semplice motivo che i tre quarti del partito di Fini sono passati, nel momento della formazione del Pdl, con Berlusconi. Poi c’è il grande dissidio fra Giulio Tremonti e il premier, sia sul reperimento delle risorse finanziarie, sia per quanto riguarda i provvedimenti per la crescita. Ma lì, al posto di reagire, di prendere l’iniziativa, Berlusconi si è impantanato. E alla fine non è stato più in grado di gestire la maggioranza e il governo. Per questo è caduto, si è dimesso.

 

Che cosa avrebbe dovuto fare in concreto Berlusconi?

 

Avrebbe dovuto prendere l’iniziativa dopo la famosa lettera di Trichet e Draghi. Prendere Tremonti e la Lega Nord mettendoli di fronte ai fatti, a quello che stava scritto nella lettera. Per comprendere la posizione di Berlusconi sulle pensioni, c’è addirittura un documento, una lettera di Berlusconi a Il Foglio del 5 febbraio del 1997, dove spiega che voterebbe una riforma delle pensioni (come quella attuata dal ministro Elsa Fornero) anche se varata dal governo Prodi. Dopo tanti anni, Berlusconi ha accettato il no della Lega. Poi avrebbe dovuto prendere Tremonti e spiegargli che, per reperire risorse immediate, poteva attuare una sorta di condono o patteggiamento sul contenzioso tributario, che il ministro aveva già fatto. Invece, non facendo nulla di questo, si è appunto impantanato.

 

Ha fatto altri errori Berlusconi?

 

Uno è stato molto grave, quando è andato sotto sul bilancio consuntivo, che non è affatto un punto importantissimo come, in modo incredibile, ha sostenuto un giurista su Il Corriere della Sera. Ha trasformato quel documento in un documento politico, sapendo che il bilancio consuntivo non era passato per un voto, con Bossi che aveva fatto fatica a raggiungere l’aula e Tremonti che se ne stava fuori. Insomma, questo governo è venuto fuori dal quadro italiano, accompagnato da una campagna mediatica ben orchestrata. Io credo che Mario Monti non sia stato nemmeno scelto da Napolitano, ma gli è stato presentato in pompa magna dai media e dall’establishment bancario e finanziario. Il Presidente della Repubblica, che pensava a un governo di solidarietà nazionale, ha dovuto prenderene atto perché non c’era più un governo.

 

Lei sostiene che questo governo di Mario Monti sia proprio stato voluto dalle banche?

A mio avviso non c’è alcun dubbio. Questa è stata un’operazione fatta e gestita dalle banche, dalle istituzioni finanziarie che poi gestiscono anche i media. Basta guardare quello che le banche ottengono dalla manovra, basta guardare nelle pieghe della manovra. Le grandi banche, indebitate, volevano la garanzia dello Stato sulle proprie obbligazioni. E l’hanno ottenuta. Così, uno Stato indebitato garantisce le obbligazioni di banche indebitate. Perché il Wall Street Journal non parla di queste cose? Perché nasconde, nella sua ricostruzione, che questo governo lo hanno voluto le istituzioni finanziarie?

 

A suo parere perché?

 

A leggere l’articolo si capisce bene. La guerra del dollaro contro l’euro continua e, se si legge bene tra le righe il “pezzo” del giornale, si capisce che ora si è passati a una fase dove si tenta di fare litigare tra loro gli europei, mettendo la Germania contro l’Italia, così come si era messa la Francia contro la Germania per un periodo di tempo e l’Italia contro la Francia. E intanto si fa fare la figura del “cretino” al Presidente Napolitano. Un fatto inconcepibile. Vogliono disarticolare e far litigare gli Stati della zona euro per farla saltare. Vogliono far litigare gli Stati che hanno fondato l’Europa. Ecco il giochino a cui si presta il famoso giornale.

 

Ce la faranno?

 

Per ora, Mario Draghi ci ha messo un tampone dopo che le banche non si potevano più rifinanziare in dollari, perché la Fed li aveva ritirati dalle banche europee. Vediamo che cosa farà Monti. Dalla conferenza di fine anno, non ho capito moltissimo.

 

(Gianluigi Da Rold)