La missione del governo Monti, in essenza, è quella di rendere credibile al più presto che l’Italia raggiungerà il pareggio nel bilancio pubblico entro il 2013 e che saprà mantenerlo negli anni successivi. Lo scopo è quello di dimostrare ai mercati che l’enorme debito italiano – pari a circa 1,9 trilioni di euro equivalenti al 120% del Pil – almeno non crescerà nel futuro, primo passo per una riduzione convincente nel tempo. In caso contrario il mercato non comprerà i titoli di debito italiano nelle aste di rifinanziamento – nel 2012 per un ammontare di circa 290 miliardi, nel 2013 per oltre 300 – o pretenderà un premio di rischio crescente per farlo, oggi arrivato ad un rendimento tra il 7 e l’8%, insostenibile se resta a questi livelli per qualche mese.
Da un lato, non basterà solo questa azione per convincere i mercati perché vorranno vedere altre mosse di rafforzamento dell’eurosistema da parte della Bce e della Ue. Ma senza tale operazione d’emergenza è probabile che l’Italia sarà sfiduciata e che ciò porterà alla crisi del credito (le banche hanno in bilancio titoli di Stato deprezzati che le costringono a ricapitalizzare riducendo le erogazioni) che potrebbe poi arrivare, via megarecessione, alla crisi bancaria sistemica e all’insolvenza del debito nazionale che causerebbe l’implosione dell’euro, nonché della Ue, ed una conseguente depressione globale. Questa è la situazione reale che crea un binario, cioè un vincolo all’azione politica italiana, basato sulla pressione da parte di tutto il mondo e fatto di due necessità: (a) mettere in Costituzione, il prima possibile, l’obbligo al pareggio di bilancio per blindarlo nelle legislature successive; (b) intervenire su entrate ed uscite per ottenere un traiettoria che porti il saldo a pareggio, appunto, nel 2013.
La seconda azione è molto problematica perché le azioni di stimolazione della crescita tendono ad avere effetti differiti. Inoltre il 2012 sarà un anno a tendenza recessiva per contrazione della domanda globale. Per assicurare i saldi, Monti non potrà contare su una crescita veloce e sufficiente del Pil. Pertanto non può far altro che aumentare le entrate dello Stato.
Di quanto? Circa 25 miliardi in più sono già certi. Probabilmente ne serviranno altri per compensare l’aumento del costo di rifinanziamento del debito ed il minore gettito dovuto alla tendenza recessiva, anche questi più con aumento delle tasse o tagli di spesa. Poiché il taglio della spesa è un’azione che porta più lentamente risparmi di cassa allo Stato, Monti non ha altra via che quella di aumentare i carichi fiscali. Da un lato, questa mossa è paurosamente depressiva. Dall’altro, se non si fa così l’Italia deraglia e con lei l’euro ed il globo.
In realtà ci sarebbero altre opzioni rapide pur non velocissime. Per esempio, un’operazione patrimonio contro debito – non necessariamente vendita, ma finanziarizzazione con emissione di obbligazioni di parte del patrimonio immobiliare – concordata con la Ue in modo tale da mettere una parte dei ricavi a riduzione del debito stesso ed un’altra, in deroga dalle regole correnti, per abbattimento del deficit annuo. Tale possibilità permetterebbe il pareggio senza ricorrere all’aumento delle tasse. Ma la Germania vuole che l’Italia dia la certezza sui saldi subito, entro il 9 dicembre, in cambio della sua disponibilità a permettere che la Ue e la Bce diventino garanti degli eurodebiti.
In sintesi, la pressione esterna non ci dà tempo. Quindi è inutile qualsiasi critica, pur giustificata, alla politica depressiva del governo Monti perché non può fare altro