La manovra di Mario Monti ha autorizzato lo Stato a concedere la propria garanzia sulle passività delle banche italiane, con scadenza da 3 mesi fino a 5 anni, o dal primo  gennaio 2012 «a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite»; oggi, invece, Mario Draghi ha fatto sapere che la Bce garantirà, per 36 mesi, liquidità illimitata agli istituti di credito. La contropartita di simili vantaggi? Sembra non esserci. Perché, allora, una tale e generosa elargizione di favori? «Di certo, si tratta di un aiuto concesso in un situazione di emergenza, dato che moltissime banche sono in crisi di liquidità, mentre chi ha liquidità la tiene bloccata», spiega, raggiunto da ilSussidiario.net l’inviato de Il Sole 24 Ore Gianni Dragoni. Sta di fatto che, contestualmente, non si ravvisano misure che abbiano come scopo  lo sblocco del credito. Che legittimità può avere, quindi, un aiuto alla banche finalizzato a se stesso? «Immagino che l’obiettivo sia quello di aiutare il sistema, sostenendo l’accesso al credito di imprese e famiglie. Ma, tale obiettivo, non è stato per nulla esplicitato».



Tutto ciò non va bene: «Siccome il salvataggio avviene con l’intervento dello Stato, sarebbe stato opportuno porre dei vincoli». Negli Usa,  ad esempio, è stato fatto: «Obama aveva deciso di intervenire per salvare alcune banche, intervenendo anche in maniera molto massiccia ed entrando nel loro capitale. Tuttavia, aveva chiesto alcune garanzie. Avrebbero dovuto accettare alcune condizioni, anche di controllo. Tra queste, una prevedeva, ad esempio, di imporre dei limiti alle retribuzioni dei top manager». In questo caso niente. Non solo: «Con l’imposizione del limite dei mille euro oltre i quali non è possibile effettuare transazioni in contanti, aumenteranno le transazioni bancarie; tuttavia, non c’è stata neanche una sola raccomandazione nel chiedere che venissero ridotte o abbassate le commissioni. Tutto questo fa pensare a un atteggiamento di grande favore nei confronti delle banche».



Il motivo di fondo di un simile comportamento del nostro governo e, da oggi, della Bce, può essere uno solo: «Penso che, nonostante nessuno abbia fatto “outing”, ci siano numerose banche in grossa difficoltà, che non sono più in grado di finanziarsi. Da quanto mi è stato riferito, sarebbero almeno 15 le banche importanti in ambito europeo che sarebbero a rischio fallimento». Ecco spiegato un tale prodigarsi nei confronti degli istituti di credito: «Se crolla lo Stato, crolla il sistema. Se crollano le banche, idem. Certo: questo non significa che la manovra aiuti le banche ad aiutare il sistema, e non solamente se stesse».



Resta da capire perché il governo, per bocca del ministro dei Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, abbia fatto sapere che non intende dar vita a un concordato fiscale con gli istituti elvetici, sulla falsariga di Usa, Germania e Gran Bretagna, per il rientro dei capitali evasi. Certo, la ragione ufficiale consiste nell’ipotesi di apertura di procedure di infrazione da parte dell’Ue. Secondo Dragoni, si «tratta di una decisione sorprendente, anche perché una misura del genere era stata annunciata dal ministro Tremonti. Non vedo perché nel caso di altri paesi europei non vi fossero problemi di infrazione. Mi sembra, in realtà, che questo governo, non abbia fatto della lotta ai grandi evasori e dell’accertamento dei grandi patrimonio un proprio cavallo di battaglia».