Il governo ha bandito le transazioni in contanti per importi superiori ai mille euro. Va da sé che, nella manovra Monti, è implicito, di conseguenza che, in pratica, chiunque dovrà aprire un conto corrente in banca. Con sconti previsti sulle commissioni pari a zero. «Fa parte di uno dei passaggi obbligati della lotta all’evasione, che viene contrastata, secondo le intenzioni di questo governo, con il monitoraggio di tutti flussi, indipendentemente dall’esistenza o meno di un’attività di accertamento fiscale in corso», spiega, raggiunto da ilSussidiario.net, Alessandro Solidoro, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti di Milano. Che aggiunge: «La volontà di veicolare tutte le transazioni attraverso il canale bancario emerge chiaramente anche da tutte le norme agevolative per la tenuta della contabilità dei professionisti». È evidente che si tratta di un salto culturale impegnativo. «Chi ha un’attiva molto monitorata non avvertirà significative differenze, chi invece è abituato a una certa libertà di comportamenti dovrà adattare parecchio i propri». Secondo Solidoro, «da cittadini si ha l’impressione di un enorme Grande fratello economico-finanziario. Gli effetti del quale, tuttavia, dovrebbero, poi, andare a beneficio del sistema».
L’obiettivo è la lotta all’evasione, quindi. Bene. Non si capisce, tuttavia, perché, a tal fine, un cittadino debba essere costretto a pagare salate commissioni sulle transazioni che lo Stato gli impone di effettuare. Né perché il governo non abbia fatto cenno alla necessità di limarle o eliminarle. «Le commissioni possono essere considerate a tutti gli effetti oneri occulti – fa presente Solidoro -. Ma, in realtà, si tratta solamente di un aggravio e di una presa di consapevolezza, più che di una novità. Siamo pieni di adempimenti – aggiunge – che l’erario pone a carico del contribuente e che presuppongono una struttura di costi. Buona parte di essi, infatti, passano attraverso strumenti informativi. Professionisti e intermediari, del resto, non interagiscono con l’amministrazione finanziaria con fotocopie o documenti, ma attraverso un sistema informatico che, di fatto, hanno contribuito a creare. Si è soliti da tempo, quindi, traslare i costi impropri delle esigenze pubbliche sui cittadini o sulle singole categorie».
La domanda sulla riduzione delle commissioni o la loro eliminazione, a questo punto, «è, quanto meno, altamente auspicabile. Secondo alcuni, sarà realizzata. Secondo altri no. Difficile fare una previsione». Altra questione di complicata interpretazione: se la priorità è la lotta all’evasione, perché non si è dato vita a quel concordato fiscale, già attuato da Usa, Germania e Gb, auspicato dai più (il ministro dei Rapporti con il Parlamento Piero Giarda ha paventato presunti rischi di aperture di procedure di infrazione da parte europea contro l’Italia, in vista di una simile eventualità; ma, ai più, è parsa una scusa aleatoria)?
«Stento a trovare una spiegazione plausibile. Credo che le autorità fiscali svizzere, un simile accordo, se lo aspettassero da tempo. C’è stato anche un ampio dibattito di natura tecnica, che non ha avuto spazio sugli organi di informazione, su quale potesse essere l’aliquota corretta da applicare a tali capitali. Non mi immagino, inotre, ostacoli di natura europea tali da impedirne l’applicazione. Si sarebbe trattato, in realtà, di un sistema molto più snello, efficace, immediato e socialmente accettabile dell’ennesimo scudo».
E invece, dal governo è giunta un’altra minaccia, per gli evasori: quella del carcere: «Credo che sarebbe stato molto più serio colpire i soggetti che evadono in maniera strutturale e significativa, a causa di quegli scandali ingiustificati del sistema, dove a grandi patrimoni corrispondono redditi inesistenti, che introdurre norme di natura penale (non si capisce se a valenza retroattiva o meno) o far pagare il 2% in più chi già paga aliquote pesantissime».