Nel quarto trimestre dell’anno scorso, il Pil dell’Italia è cresciuto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, portando la crescita complessiva per l’intero 2010 all’1,1%. Sono questi i dati più significativi resi noti ieri dall’Istat, proprio una settimana dopo il lancio del piano per la crescita economica da parte del Governo. Un piano che – dopo la decisione, arrivata anch’essa ieri, di fissare per il prossimo 6 aprile l’udienza del processo a carico del premier Silvio Berlusconi – potrebbe subire una battuta d’arresto. Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, ci spiega, infatti, che poiché «un Tribunale si permette di svolgere un processo che è riservato al Tribunale dei ministri, oltretutto senza le garanzie del rito ordinario», si corre il rischio di «bloccare la crescita italiana, adesso che si è accesa quella globale», «solo per il gusto di “eliminare” il leader eletto dalla maggioranza degli italiani». E sarebbe davvero un peccato, soprattutto perché «la crescita dell’1,1% nel 2010 rappresenta un notevole miglioramento rispetto alle aspettative. Ma risente anche della mancata produzione di Fiat e del relativo indotto».



Cosa intende dire Professore?

La Fiat in Italia è in crisi di vendite e ha subito il contraccolpo dello stop agli incentivi. Non sarà più vero, come in passato, che quando la Fiat va bene l’economia italiana va altrettanto bene, ma certamente è vero che una parte non indifferente di crescita della nostra economia dipende dall’industria dell’auto. Credo che con una Fiat in condizioni migliori si sarebbe potuti arrivare a una crescita dell’1,3-1,4%. Questo vuol dire che per il futuro bisogna augurarsi che il piano Fabbrica Italia proceda spedito. E per questo è importante che non prevalgano le posizioni di chi – anche nel mondo politico e imprenditoriale – vorrebbe che la Fiom, nonostante non abbia firmato gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, avesse comunque una propria rappresentanza in quelle fabbriche.



L’Istat segnala un rallentamento nell’ultimo trimestre del 2010. Il dato pari solo al +0,1% non è in qualche modo preoccupante?

Il rallentamento dell’ultimo trimestre non è affatto significativo. Quando le imprese non hanno un pieno utilizzo della capacità produttiva, infatti, cercano di concentrare nel periodo delle vacanze natalizie le loro riduzioni di produzione, concedendo più ferie, facendo meno straordinari e utilizzando più cassa integrazione. Non bisogna quindi preoccuparsi più di tanto di questo +0,1%.

In un’intervista alla Faz, Mario Draghi ha detto che la Germania deve servire da esempio per gli altri Paesi che vogliono crescere. Berlino ha, in effetti, registrato un +3,6% del Pil nel 2010, un dato molto lontano dal nostro…



La Germania ha avuto una crescita anomala quest’anno, superiore alla media, grazie all’esportazione di automobili. Difficile che tale performance possa ripetersi nel 2011, dove al massimo potrà arrivare al +3%. Si tratta in ogni caso per noi di cifre inarrivabili. Non dimentichiamo che fino agli inizi degli anni ‘50 quasi la metà degli italiani era impiegata in agricoltura, un settore che contava per un quarto sul Pil. Questo per dire che noi non siamo la Germania, abbiamo una struttura produttiva e una tecnologia più giovani. Il nostro obiettivo realistico può essere di arrivare a una crescita del 2% – al massimo del 2,5%. Si tratterebbe già di raddoppiare il tasso attuale.

 

Berlusconi ha detto mercoledì scorso che il piano per il rilancio dell’economia del Governo può portare a una crescita dell’1,5% del Pil. Secondo lei, è una stima plausibile?

 

Credo di sì e conferma quanto dicevo prima riguardo al tasso massimo di crescita cui possiamo aspirare. Faccio un esempio banale: se potessimo far partire (cosa cui non credo) quest’anno i cantieri per il ponte sullo Stretto o iniziare a costruire parti della Tav Torino-Lione che non siano i trafori, e quindi mobilitassimo opere pubbliche che possono smuovere già lo 0,5% del Pil è evidente che avremmo una spinta alla crescita aggiuntiva. Invece, stiamo perdendo i fondi comunitari e non stiamo sfruttando gli attuali tassi di interesse che renderebbero convenienti gli investimenti a lungo termine.

 

La parte più importante del piano sta quindi nel ddl concorrenza e nelle misure per semplificare le procedure per l’edilizia e le grandi opere che ancora devono arrivare dal Consiglio dei ministri?

 

Il ddl concorrenza è “acqua fresca” rispetto alla crescita, il problema vero è la riforma delle regolamentazioni delle opere e degli investimenti pubblici. Sbloccare i fondi, infatti, non è sufficiente a vedere attuate opere importanti, come quella della banda larga. Bisognerebbe deregolamentare, affidare all’iniziativa privata, a formule manageriali queste realizzazioni, utilizzando il metodo privatistico di gestione del project financing. Vi è poi il tema dei veti degli enti locali che, per esempio, hanno bloccato il “piano casa”. In questo senso, la soluzione può essere quella della riforma degli artt. 41 e 118 della Costituzione, anche se richiede tempi lunghi. Nel frattempo, ci vorrebbe una potenza di “fuoco politico” per dire che si è stufi di queste procedure “infami” e di un’autonomia degli enti locali che si trasforma quasi sempre in ostacolo al bene comune.

 

Quanto rischia di pesare in questo senso il fatto che il 6 aprile inizierà un processo a carico del presidente del Consiglio?

Non so bene cosa succederà adesso. È possibile che venga presentato un ricorso per impedire che un Tribunale si permetta di svolgere un processo che è riservato al Tribunale dei ministri, oltretutto senza le garanzie del rito ordinario, cosa che mi sembra al limite del colpo di Stato e frutto di un mostruoso abuso giuridico basato sull’interpretazione estensiva del diritto. Non è chiaro perché bisogna bloccare la crescita italiana, adesso che si è accesa quella globale, quando anche siamo alle prese con un già alto debito pubblico, solo per il gusto di “eliminare” il leader eletto dalla maggioranza degli italiani. Sicuramente abbiamo perso un sacco di tempo, e ne perderemo ancora, a causa di questa idea per cui bisogna “spodestare” Berlusconi per questioni che con la politica non hanno nulla a che fare.

 

Negli ultimi giorni, Giuliano Ferrara, sia in un’intervista che tramite Il Foglio, ripete che Giulio Tremonti sta forse cercando di “ostacolare” il piano di rilancio dell’economia. Cosa ne pensa?

 

C’è, secondo me, una difficoltà di dialogo tra Tremonti e gli altri ministri, ma non mi è chiaro da quale ragioni derivi. Forse non condivide alcune delle misure che si vogliono mettere in campo. Tuttavia, credo che nel momento in cui si parla di un piano di rilancio dell’economia egli non può far mancare il suo contributo, dato che la materia è in larga parte di sua competenza e ne è dunque corresponsabile. In ogni caso, lo sviluppo si può fare anche senza aumentare il deficit. Per esempio, come ho detto prima, le opere pubbliche possono anche essere finanziate dai privati. Tremonti può avere ragione a preoccuparsi dei conti pubblici, ma il problema delle coperture non deve diventare un pretesto per non fare niente.

 

Oggi al Senato verrà probabilmente approvato il Decreto Milleproroghe, che, tra le altre cose, contiene una tassa di un euro sui biglietti dei cinema. Siamo tornati ai tempi degli “assalti alla diligenza”?

 

Questa tassa serve a sovvenzionare l’industria cinematografica. Ma a mio parere questo è un errore, perché essa può finanziarsi sul mercato. Resta il fatto che è sbagliato introdurre un nuovo tributo attraverso un decreto dedicato alle proroghe: il concetto che esista un Milleproroghe a cui ci si abbarbica per metterci dentro di tutto è una cosa da vecchio regime. In questo decreto c’è anche un’altra “sconceria”: nelle città con più di un milione di abitanti, il numero degli assessori potrà salire da 12 a 15. Secondo me, bisognerebbe invece tagliare numero e retribuzioni dei politici negli enti locali. Senza dimenticare che eliminare o privatizzare certi enti sarebbe molto utile, dato che ci sono molte intraprese che in un’economia di mercato potrebbero svilupparsi e che adesso sono invece detenute da un potere politico.

 

(Lorenzo Torrisi)