Niente è in ordine, ma l’economia è in forte ripresa. L’Asia è in boom. L’America ci sta andando. L’Eurozona, pur crescendo meno delle altre regioni economiche, va. E, grazie a questo clima esterno, l’Italia migliora.

Nel fare la lista dei rischi teorici di instabilità – globale o regionali – futura vengono brividi tali da non poter dare questa notizia con l’ottimismo di chi vede finita la tempesta. Inflazione catastrofica mondiale, crisi di insolvenza dei debiti e/o bancaria nell’Eurozona, scoppio del Mediterraneo meridionale, de-evoluzione del mercato globale verso protezionismi nazionali con distruzione del commercio internazionale, ecc. Ma bisogna anche far notare che tali rischi sono ben noti ai governi e che questi tentano di prevenirli. Difficile dire ora se ci riusciranno o meno.



Per esempio, l’ultimo vertice tecnico del G20 finalizzato a definire i parametri di riequilibrio del mercato globale non ha portato a un accordo sostanziale tra gli attori, ma questi hanno dimostrato la volontà di trovarne uno che non faccia saltare tutto. Una medicina contro un rischio, inoltre, può generare un altro male. Per esempio, in questi giorni la Bce ha cambiato la sua posizione precedente di non timore per i rischi di inflazione (trainata da quella energetica) in una di forte preoccupazione che la potrebbe spingere a rialzare il costo del denaro (dei mutui, del credito e, per noi problema grave, del rifinanziamento del debito pubblico, ecc.) tra pochi mesi, così pregiudicando una ripresa ancora gracile nell’Eurozona.



Ma, fatte tutte queste considerazioni, ritengo razionale attribuire un peso forte alla volontà dei governi di evitare catastrofi e di mantenere l’ambiente economico mondiale favorevole alla crescita. Se così, allora l’Italia continuerà a godere almeno per un triennio di un forte traino esterno per la sua crescita interna, così bilanciando l’incapacità del suo modello, inefficiente e supertassato, di generare sviluppo. Messa così, la buona notizia delle tendenze di crescita rilevabili nei dati correnti può indurre ottimismo prospettico.

Quale politica economica sarebbe la migliore per rafforzare la crescita del Pil nazionale nello scenario detto? Il rigore deve restare la massima priorità per evitare l’insolvenza del debito italiano e, soprattutto, assicurare il suo rifinanziamento periodico a costi sostenibili, questi determinati dalla fiducia del mercato sul fatto che potremo ripagarlo e dai tassi. Se i tassi cresceranno, il rigore dovrà essere ancora più stringente e ciò comporterà un taglio ulteriore della spesa pubblica e il suo contributo alla formazione del Pil. In sintesi, lo Stato avrà sempre meno soldi per finanziare progetti infrastrutturali e sostenere la detassazione stimolativa. Tale gap dovrà essere compensato da più crescita altrove.



 

Ma quali settori economici sono meglio predisposti a crescere velocemente? Solo due, il resto stagnante per inefficienze di modello non sanabili in poco tempo: (a) l’export manifatturiero; (b) costruzioni e mercato immobiliare. L’agricoltura e l’industria alimentare hanno il potenziale per essere un traino forte nel futuro, ma ci vorrà un po’. Pertanto, si tratta di fare lista di tutti i fattori rilevanti nel ciclo dei due settori detti e rimuovere i blocchi che lo rallentano: burocrazia, credito, ostacoli all’ingrandimento di scala delle imprese, costi logistici, ecc.

 

Tutte cose semplici e fattibili senza spendere un soldo e solo togliendo norme. Se si facessero, la crescita del Pil italiano nel 2011 arriverebbe tranquillamente al 2%, vicino al 3% nei due anni successivi. Ci vuole, in Italia, un po’ più di tecnica e molto meno di politica.

 

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