Dopo un ampio dibattito, le politiche di contrasto alla povertà nel nostro Paese sembrano pronte a cambiare passo. Con un punto centrale all’ordine del giorno: il rilancio della Social Card, ovvero della carta di credito lanciata due anni fa dal Governo, rivolta alle famiglie di anziani over 65 anni o ai nuclei con minori sotto i 3 anni. Tutte famiglie a bassissimo reddito, cui la Card ha garantito un contributo mensile di 40 euro da spendersi per l’acquisto di generi alimentari o farmaceutici, a cui si è aggiunto a partire dal 2009 anche un ulteriore beneficio per particolari consumi energetici. Tra il 2008 e la fine dello scorso anno sono state distribuite 730mila card, di cui circa 450mila attualmente attive, per un totale di spesa di poco superiore ai 200milioni all’anno.
Pur con le riserve che pure avanzammo in questa sede, e al netto del mancato raggiungimento degli obiettivi quantitativi iniziali (si pensava a circa 1,2 milioni di utenti coinvolti), la Card ha rappresentato una novità nelle politiche di welfare, introducendo per la prima volta una misura di sostegno alle famiglie in difficoltà. I cui effetti, però, sono stati inferiori rispetto alle aspettative, raggiungendo solo una parte del target inizialmente previsto.
Ecco perché si è molto discusso in questi anni sull’opportunità di un cambio di passo, che intervenisse a sanare gli elementi di debolezza della procedura: dal governo complessivo all’individuazione dei beneficiari, dall’integrazione con la rete dei servizi territoriali alla composizione del contributo. Una discussione che ha spinto per esempio le ACLI a promuovere una proposta organica per un “Piano nazionale contro la povertà”, presentato ieri a Roma alla presenza del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.
È stata l’occasione per visualizzare plasticamente due approcci molto differenti al problemi, che pur facendo perno sullo stesso strumento (la Social Card, per l’appunto), configurano modalità alternative di gestione.
La proposta delle ACLI si concentra sulla necessità di trasferire il governo della Card ai Comuni, facendola diventare strumento universalistico (per tutti i poveri, dunque, non solo per le categorie previste fino a qui) del welfare locale con la proposta di un considerevole aumento della cifra trasferita, che secondo i conti degli studiosi radunati dall’associazione cattolica dovrebbe attestarsi attorno ai 129 euro. Una misura non particolarmente costosa, secondo gli estensori del Piano, ma che richiederebbe comunque una spesa aggiuntiva di oltre 2 miliardi all’anno.
Proprio l’elevato costo ha spinto il ministro Sacconi a rispedire al mittente la pur interessante proposta, presentando invece la via alternativa promossa dal Governo, inserita all’interno del decretone “Milleproroghe” che, dopo aver incassato il primo via libera al Senato, ha però subito ieri sera un inatteso stop da parte del Presidente della Repubblica.
La proposta Sacconi, se arriverà in porto, apre una via alternativa innanzitutto rispetto alla governance dell’iniziativa: l’idea del ministro è infatti quella di trasferire integralmente la gestione nelle mani degli enti della carità, che conoscono direttamente la platea dei bisognosi e dunque sono ritenuti in grado più di chiunque altro di selezionare la platea dei beneficiari e di tenere costantemente monitorato l’andamento della situazione, non solo economica, di queste famiglie. Saranno dunque le opere di carità, accreditate dai Comuni, a destinare le Card, che secondo le intenzioni dovrebbero finalmente diventare anche strumenti di interfaccia con il welfare locale, essendo prevista la possibilità per le amministrazioni comunali di “caricare” sulle tessere ulteriori servizi e agevolazioni (cosa che è accaduta molto di rado fino ad oggi).
La proposta prevede che la nuova Card governativa passerà per una prima sperimentazione annuale, per la quale sono stati destinati 50 milioni di euro (parte dei soldi risparmiati in questi anni, stante il numero di richieste decisamente inferiore rispetto alle stime iniziali), coinvolgendo un primo nucleo di città di dimensioni medie e grandi. La valutazione dei risultati di questa prima fase aprirà la strada, secondo le intenzioni, ad una definitiva messa a regime della misura.
Due modelli apparentemente non dissimili, dunque, che prevedono uno strumento universalistico, fortemente orientato a cogliere le specificità locali (tenendo conto, ad esempio, delle differenze di costo della vita presenti nei vari territori). Ma la proposta del Governo si presenta come una modalità fortemente orientata alla sussidiarietà, consegnando al volontariato un ruolo non più di mero supporto (come invece prevede ancora l’ipotesi delle ACLI) ma direttamente gestionale.
Naturalmente si tratta di una strada complessa, che richiederà alle organizzazioni coinvolte un salto di qualità organizzativo, un sistema informativo coordinato, una capacità reale di verifica e valutazione da parte degli organi ministeriali. Ma la novità introdotta, ovvero la scommessa integrale sulla maggior efficacia ed efficienza del volontariato rispetto all’individuazione e alla presa in carico integrale di un bisogno che la modalità classica di gestione della Card non ha saputo intercettare, introduce una novità culturale che appare sicuramente promettente. Sempre che lo stop imposto da Napolitano al decreto complessivo non determini cambi di rotta dell’ultima ora.