La classe dirigente italiana, soprattutto quella politica ma non solo, ha dimostrato continuamente, soprattutto negli anni di fuoco scanditi dalla crisi finanziaria iniziata nell’estate del 2007 con il crollo dei mutui subprime in America, una rigidità mentale che ha portato e porterà molte conseguenze negative.
Come ben dice il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, la crisi ha scatenato dei mostri che si autogenerano e mutano uno dopo l’altro. Dapprima il fallimento delle grandi banche – Lehman Brothers in primis, ma tante altre che non sono fallite soltanto grazie all’intervento degli Stati – poi l’esplosione del problema del debito sovrano in Europa, con l’emergenza in Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda, e ora la fiammata rivoluzionaria in Nord Africa, a sua volta indotta dalla crisi economica. Niente sarà più come prima, confini si ridisegneranno, grandi marche della finanza scompariranno o si fonderanno, istituzioni secolari cambieranno pelle e volto….
Eppure in Italia si continua spesso a ragionare come se tutto ciò si fosse verificato su un altro pianeta. Come se non fosse accaduto qui da noi, sotto i nostro occhi. Mentre invece, a voler essere conseguenziali, bisognerebbe cambiare atteggiamento sul futuro e – pur senza rinunciare a progettare – concentrarsi nell’ottimizzare la gestione dell’oggi, perché è l’unica maniera sicura di preparare il domani.
Un discorso che si attaglia perfettamente al caso Alitalia, che fece divampare accesissime polemiche tre anni fa, a cavallo delle elezioni del 2008 che condussero alla formazione del terzo governo Berlusconi. A fronte della linea precedentemente – e fallimentarmente – seguita dal governo Prodi, di vendere l’Alitalia all’unico offerente che si mostrò davvero interessato, cioè l’Air France, Berlusconi perseguì con insistenza la scelta di cedere la parte ancora salvabile della compagnia alla cordata tricolore, quella messa insieme da Roberto Colaninno, che pure comprese come socio di minoranza e partner industriale il colosso franco olandese Air France-Klm.
I detrattori di questa soluzione dissero che si trattava di un mero artificio d’immagine, ma che in realtà la compagnia era già formalmente opzionata da Parigi. Colaninno e i suoi soci principali, oltre che l’amministratore delegato del gruppo Rocco Sabelli, hanno sempre escluso che vi sia alcunché di pattuito, di predeterminato. È chiaro che nel 2013, alla scadenza del patto di sindacato che lega i soci della cordata, tutto potrà essere messo in discussione, compresa la natura italiana dell’attuale compagine: ma se ne parlerà tra due anni. E quel che accadrà nel frattempo, lo sa solo Dio.
Si sa, invece, quel che sta accadendo, quel che è appena successo: che cioè l’Alitalia sta centrando tutti i suoi obiettivi. Ed è chiaro che continuando così si sta ponendo nella condizione migliore per arrivare all’appuntamento del 2013 da protagonista del suo destino, con la credibilità di un’azienda risanata e con una compagine proprietaria che potrà serenamente affermare di aver compiuto la sua missione. Si vedrà, allora, come procedere: se ancora in totale livrea tricolore o consolidando l’alleanza con Air France o in chissà quanti altri modi, per esempio diventando “aggreganti”, anziché “aggregandi”, cacciatori anziché prede… Si vedrà.
“Se saremo in grado di attuare i nostri programmi di crescita per il 2011, avremo bisogno di altre persone, di piloti e assistenti di volo”, ha addirittura detto Sabelli, pochi giorni fa. Perché nel 2010, la compagnia ha più che dimezzato le perdite operative, superando di gran lunga gli obiettivi di bilancio. La perdita è stata infatti di 107 milioni, contro i 274 del 2009, e la perdita netta è scesa dai 327 milioni del 2009 a quota 168. Il fatturato è salito a 3.255 milioni, i passeggeri a 23,4 milioni (+7,4%), superiore di oltre 2 punti alla crescita della domanda europea e sia pur di poco anche all’aumento della domanda sugli aeroporti italiani.
È chiaro che tutto questo viene oggi messo a dura prova dalla nuova crisi petrolifera indotta dalle rivoluzioni nel Maghreb e in particolare dalla guerra civile in Libia, ma anche in presenza degli aumenti del costo del carburante registrati in questi giorni, Sabelli ha confermato l’obiettivo del pareggio operativo nel 2011. Peraltro, gli aumenti colpiranno tutti i vettori: il vero rischio, semmai, è quello di una frenata del ricorso al volo aereo, indotta dall’instabilità di alcune aree, ma tutti gli indicatori prima della crisi parlavano di una domanda in sensibile aumento, anche perché è ormai chiaro a tutti – e i dati 2010 lo confermano, con il minor numero di incidenti aerei mai registrato nella storia – che il trasporto aereo è quello di gran lunga più sicuro.