Un signore che decide di salvare il Colosseo non ha idee da Lilliput, non si accontenta di un posto in una chorus line, non sta volentieri in panchina. Pensa in grande, vuole la prima fila e pretende di stare in campo. E Diego Della Valle risponde perfettamente a questa descrizione.
Il fondatore e proprietario della Tod’s, oltre ad aver stanziato 25 milioni per restaurare e riportare all’onore del mondo l’anfiteatro Flavio (uno dei monumenti più famosi a livello planetario), si è dedicato ad affrontare i rapporti con il potere economico nazionale, del quale a pieno titolo fa parte da una ventina d’anni, sull’onda del successo che ha ottenuto con la sua impresa. Ci sono due o tre cose che non gli vanno bene in questo campo e si è messo d’impegno per risistemarle.
In varie interviste, dichiarazioni, interventi televisivi se l’è presa con i due mostri sacri dell’establishment, vale a dire Giovanni Bazoli (presidente di Intesa, prima banca italiana) e Cesare Geronzi (presidente delle Generali, prima compagnia di assicurazioni italiana). Ha detto di loro, in sostanza, che ormai sono due vecchietti e dovrebbero farsi da parte: non possono più pretendere di decidere per tutti.
A che cosa si riferiva Della Valle, detto DDV dai cronisti? Alla situazione Rcs-MediaGroup, la casa editrice de Il Corriere della Sera, della quale lui è azionista assieme tanti altri esponenti del salotto buono, fra i quali, appunto, l’Intesa di Bazoli e le Generali di Geronzi. In quella casa editrice che pubblica tanti giornali, ma soprattutto Il Corriere della Sera, succede che si torna a parlare di un cambio della guardia: l’attuale direttore, Ferruccio de Bortoli, sarebbe attratto da una sirena con le sembianze di Carlo De Benedetti che vorrebbe portarlo alla guida del suo quotidiano, La Repubblica.
Vero o falso che sia, questo rumor ha messo in agitazione gli azionisti del Corriere, ciascuno dei quali vorrebbe vedere un proprio candidato sulla poltrona più importante di via Solferino. La nomina, per statuto della casa editrice, spetta al patto di sindacato che riunisce gli azionisti più importanti, dunque anche i tre dei quali si sta parlando. Nei fatti, storicamente, sono stati sempre in pochi a decidere. In passato il king maker era l’avvocato Gianni Agnelli e nessuno si è mai permesso di contestare il suo ruolo; poi sono arrivati i Romiti e tutti più o meno se li son io fatti andar bene; infine, due anni fa, quando si è trattato di sostituire Paolo Mieli, sono stati proprio Bazoli e Geronzi a far passare la soluzione de Bortoli, peraltro gradita a tutti data l’eccellenza professionale del candidato.
Ora, però, se davvero la partita si riaprirà, DDV è deciso a svolgere un ruolo non da spettatore, ma da protagonista. E così, oltre a dichiarare che i due vecchietti non possono pretendere di decidere per tutti, rincara: “Tanto più che loro non ci mettono soldi propri, ma delle aziende che guidano, mentre io ci metto i miei”. E finora sono stati tanti: l’investimento in Rcs gli sta costando una minusvalenza potenziale di un centinaio di milioni. Uno che ci rimette una cifra simile può pretendere di dire la sua quando si tratta di fare scelte strategiche per la casa editrice.
È una linea che segue con decisione, tanto che mercoledì 2 febbraio, durante un consiglio di amministrazione delle Generali nel quale siede, ha detto che la compagnia dovrebbe cedere la partecipazione del 3,7%o che detiene nella Rcs perché si tratta di un investimento non in linea con il core business. Insomma, il vecchietto Geronzi con il suo leone di Trieste dovrebbe non solo farsi da parte, ma accomodarsi alla porta.
La domanda che ci si pone è: perché Della Valle fa queste dichiarazioni proprio adesso? I dietrologi ne aggiungono altre: chi lo ispira? A chi tira la volata? Qual è il suo vero obiettivo? Insomma, a che cosa mira la guerra di Diego? Alla prima domanda, una prima risposta è questa: ci sono anche delle motivazioni personali. DDV ha un carattere – diciamo così – vivace, ama la battuta. Nel 2005, nel pieno della battaglia per controllo della Bnl (della quale era azionista) non ha esitato a definire “lo stregone di Alvito” il governatore della banca d’Italia, Antonio Fazio, che appoggiava apertamente la cordata avversa; sempre in quegli anni sbeffeggiava i Romiti (per dei contrasti proprio ne Il Corriere della Sera) chiamandoli “la famiglia Addams”; nel marzo 2006 ha fatto notizia un suo litigio-quasi rissa a Vicenza con un Silvio Berlusconi in piena campagna elettorale. Insomma, non va a cercare la polemica, ma se c’è si fa trovare pronto.
Ora che si apre (forse) l’ipotesi Corriere vede che i vari signori del salotto suoi soci si stanno già scaldando a bordo pista. E si chiede: ma questi che vengono comunemente definiti i poteri forti sono davvero così forti, tanto forti da poter imporre il loro diktat se si dovesse cambiare direttore del primo quotidiano italiano?
Vediamoli questi poteri radunati nel patto di sindacato Rcs. Mediobanca, un tempo sala di regia del capitalismo italiano, ora è molto meno attenta ai giochi di palazzo e mira al business; la Fiat in versione Marchionne ha il pensiero rivolto all’America e ha dei seri problemi con le continue perdite di quote di mercato; Intesa è sì la prima banca italiana, ma anche lei ha alcuni difficoltà a partire da una convivenza non più facile fra Bazoli e l’amministratore delegato Corrado Passera; Salvatore Ligresti è alle prese con un indebitamento inquietante; le Generali, sono un’eccezionale compagnia, ma in Europa non possono più competere per la leadership con la tedesca Allianz o con la francese Axa; Marco Tronchetti Provera rimane un industriale di peso, ma ha dovuto ridimensionare le sue ambizioni di leadership nel capitalismo italiano dopo l’abbandono di Telecom.
Nell’azionariato ci sono certamente altri personaggi di rilievo come i Pesenti o, ultimo arrivato, il re della sanità Giuseppe Rotelli. Ma DDV si chiede: perché io dovrei contare meno di ciascuno di loro? Domanda non infondata: la sua azienda macina utili, ha performance di borsa invidiabili, è in espansione all’estero (è diventata prima azionista di Saks Fifth Avenue). Nel salotto buono DDV pensa di aver diritto a una poltrona, non a uno strapuntino.
Di qui le dichiarazioni pubbliche di cui si è detto. Alla domanda dei dietrologi che si chiedono per chi gioca Della Valle, si può rispondere con molta semplicità: per nessuno. Certo ha delle alleanze, delle amicizie, dei rapporti consolidati. Per esempio, come tutti sanno, è legatissimo da decenni a Luca di Montezemolo e se quest’ultimo decidesse davvero di dedicarsi alla politica potrebbe certamente contare sull’appoggio di DDV. Ma questa partita sembra proprio che la giochi da solo. Lui la pensa così: anche in un capitalismo senza capitali, come è da sempre quello italiano, alla fine i capitali contano. E devono anche pesare.