Il 21 dicembre 2010 l’indice S&P 500 ha chiuso a 1254 punti. In quel tranquillo martedì prenatalizio, molti hanno pensato che un conto col passato si fosse definitivamente estinto. L’indice S&P non superava quota 1251 dal 12 settembre 2008, cioè il venerdì precedente al collasso di Lehman Brothers. Da allora, l’indice, dopo essere crollato a 676 punti il 3 settembre 2009, ha inesorabilmente risalito la china fino a riemergere sui cosiddetti livelli “pre-Lehman” a fine 2010. Giunti a questo punto, è lecito domandarsi: torneremo a depositare i nostri risparmi e a ricevere mutui e prestiti aziendali come se nulla fosse accaduto? In altre parole: cos’è successo alle banche in questi trenta mesi?
Il fenomeno più rilevante è il ritorno sulla scena, e in grande stile, dello shadow banking, ossia quel settore bancario cresciuto all’ombra delle regolamentazioni internazionali. Fanno parte di questo mondo quanti si occupano di intermediazione finanziaria senza essere una classica banca. E per non essere una classica banca sono sufficienti due condizioni: non avere contatti diretti con le banche centrali e non accettare depositi da risparmiatori privati. Una volta rispettate le due condizioni, per questi operatori del credito le regole di Basilea sono al massimo oggetto di conversazione alla macchinetta dei caffè. Di chi si tratta? Si tratta di fondi vari, gestori di portafogli, veicoli finanziari, consorzi del credito e società di investimento.
Secondo un documento pubblicato dalla Federal Reserve il 9 dicembre 2010, lo shadow banking è ancora il principale gestore di capitali negli Stati Uniti (16mila miliardi di dollari, contro i 13 del bancario classico). Il sorpasso sul settore tradizionale è avvenuto agli inizi degli anni ‘90 e il distacco è aumentato in modo esponenziale fino alla crisi del 2007. Da allora, nonostante i bilanci di tutti gli operatori finanziari si siano ridotti (soprattutto per lo shadow banking), la Fed conferma che il settore ombra è ancora più vasto di quello tradizionale. E tutto lascia pensare che, archiviato lo scivolone post-Lehman, il prossimo sprint vedrà lo shadow banking in fuga solitaria.
Anzi, la ripresa dello shadow banking, chiamiamolo ShaBa per comodità, è già iniziata: nel 2010 il volume di cds sul debito pubblico americano (i cds sono contratti assimilabili a una copertura assicurativa, ma possono essere stipulati anche dai fondi ShaBa) è cresciuto del 12% nel solo gennaio 2011 ed è lecito supporre che buona parta di questi strumenti finanziari sia stata firmata in casa ShaBa. Perché questa nuova crescita? Per una ragione che ci riguarda tutti da vicino: il nostro conto corrente rischia di trasformarsi in un contatore del gas.
Scherzi a parte, la normativa in vigore, Basilea II, e quella che verrà, Basilea III, puntano chiaramente a trasformare il settore bancario classico in una rete di servizi di pubblica utilità. Tutte le industrie pioneristiche sono giunte a questa fase “matura”: acqua, luce e gas oggi sono a portata di mano in ogni casa. Lo stesso vale per la linea telefonica e internet. Per quest’ultimo, è utile ricordare che solo dieci anni fa cablare gli Stati Uniti era considerata una corsa all’oro dagli esiti incerti.
Ma dare credito è un’attività da pionieri prossimi alla pensione? Per formulare correttamente questa domanda è necessario calare il modello “pubblica utilità” nella nostra vita quotidiana: il finanziamento per la licenza dell’edicola all’angolo, il leasing per finanziare la nuova poltrona del dentista, il mutuo per la prima casa e il prestito all’impresa possono essere concessi con la stessa facilità con cui si apre e si chiude un rubinetto? Purtroppo no, è ancora necessario un rischio: il rischio che ai due estremi della transazione di credito restino due persone, l’imprenditore e il banchiere.
Oggi che i parametri economici tornano ai livelli pre-Lehamn, l’aspetto su cui ragionare ha la forma di un bivio: per garantire stabilità (e su questo siamo tutti d’accordo) vengono prima le persone o le procedure? Lo ShaBa ha scelto senza dubbio le prime. In questo magma in continua evoluzione, è l’intraprendenza a fare la differenza. Ovviamente, il settore non è privo di contraddizioni: attività distanti anni luce dal mondo dell’impresa (come, ad esempio, il trading basato su sistemi matematici) convivono con soluzioni innovative per la finanza industriale. È il caso, per citarne uno, dei capitali di rischio, ossia fondi che investono in aziende appena avviate, con l’obiettivo di farle uscire dal garage in cui tipicamente muovono i primi passi.
Cosa abbia scelto la banca classica, invece, non è ancora chiaro. A trenta mesi dal crollo di Lehman Brothers, le banche e il comitato di Basilea sono determinati a non commettere gli errori del passato. Purtroppo per loro, però, fare come prima, ma un po’ meno, non è una soluzione possibile.