La moratoria sull’energia nucleare decisa dal governo è saggia, perché ora bisogna tenere conto della lezione di Fukushima, allo scopo di accrescere ulteriormente la sicurezza di questa preziosa fonte di energia. Gli eventi di Fukushima non dimostrano affatto che questa fonte energetica è insicura e anti-economica. Al contrario, come cercherò di spiegare, dimostrano che allo stato attuale del progresso tecnologico, con adeguate istituzioni pubbliche e adeguate misure di sicurezza delle centrali di III generazione, che si cominciano a costruire, essa è sicura anche nell’ipotesi di eventi catastrofici di portata straordinaria, come quelli del Giappone.
Essi appaiono scarsamente probabili, ma non impossibili, nel bacino mediterraneo, in cui molto raramente si sono verificati dei maremoti denominabili tsunami, a causa della lunghezza dell’onda e della sua altezza alla costa. Ce n’è però uno che si ricorda: è quello connesso al terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, che provocò, nello Ionio, la rottura di una faglia sotterranea, generando un’onda alta 8-10 metri, che si abbatté sulla costa calabra. Un evento non paragonabile allo tsunami oceanico che ha devastato Fukushima, ma che ammonisce alla cautela, quella che è mancata ai giapponesi.
Gli eventi di Fukushima hanno portato a riesaminare i reattori in esercizio anziani, che sono di I o II generazione e, a causa del peso degli anni, possono presentare delle criticità e che hanno, comunque, a volte impianti di raffreddamento in cui passa la radioattività e che, come dirò, possono essere inadeguati. Di solito la vita di un reattore è di 40 anni. Il reattore di Fukushima 1, che è esploso, era del 1971, doveva andare in pensione ed era stato prorogato. Gli altri sono degli anni successivi, quindi non ancora quarantenni, ma erano stati danneggiati gravemente nel terremoto del 2001 e dovevano essere chiusi, se si fosse usata prudenza. L’autorità di vigilanza ha concesso la dilazione. E anche per altri centrali, in varie parti del mondo, che avevano l’età di pensione o avevano avuto problemi, sono state concesse delle proroghe.
Ora l’atmosfera politica e scientifica è cambiata. I governi europei stanno mettendo in atto degli stress test, per accertare la sicurezza delle loro centrali nel caso di terremoti e altri eventi di natura drammatica o catastrofica. E, comunque, la Germania ha deciso che porterà a termine il programma di decommissioning senza proroghe. D’altra parte, la Cina che stava attuando la messa in opera di ulteriori centrali di III generazione, in aggiunta a quelle che ha già, ha sospeso il programma per studiare meglio i problemi di sicurezza alla luce di ciò che è accaduto a Fukushima.
Dunque nei prossimi anni ci sarà meno energia nucleare del previsto. Ma in generale la produzione nucleare a livello mondiale proseguirà con continui perfezionamenti. Essi riguardano vari aspetti. Uno di essi è il raffreddamento. Le centrali di I generazione generalmente avevano un sistema di raffreddamento, poi considerato antiquato, denominato di sicurezza passiva, consistente in condensatori che quando il calore diventa eccessivo, automaticamente, lo mandavano in un serbatoio di refrigerazione, in cui esso a poco a poco si attenuava. Occorrevano però serbatoi ampi, e comunque dopo alcuni giorni il sistema non poteva più funzionare in quanto il serbatoio, se il calore da smaltire non fosse cessato, si sarebbe a sua volta riscaldato.
Si è passati così nelle centrali di II generazione di Fukushima al raffreddamento con un sistema di sicurezza attiva, basato su impianti elettrici appositi, che lo tsunami ha messo fuori uso. Nei reattori di terza generazione, che sono a sicurezza intrinseca, grazie a moderatori che spengono automaticamente la fissione nucleare, gli impianti di raffreddamento sono separati interamente dalle camere in cui ci sono radiazioni, e sono a sicurezza attiva ridondante, nel senso che ci sono più alimentatori di energia elettrica, in modo da ridurre il rischio che l’elettricità venga meno. Ma nei mesi scorsi, secondo il Wall Street Journal, sia in Giappone che altrove si stava studiando un sistema di sicurezza doppio: passivo e attivo. Il primo per dare luogo a un periodo transitorio in cui fosse possibile ripristinare gli impianti di sicurezza attiva interrotti da un evento drammatico.
Ovviamente c’è una questione di costi, di ampiezza del serbatoio di sicurezza passiva, di coordinamento progettuale fra i due sistemi e la centrale. Ora questa soluzione andrà riesaminata, per gli impianti di III generazione. A Fukushima per supplire agli impianti di raffreddamento si sono usati elicotteri che gettavano acqua del mare. Poi si sono usati idranti azionati da pompieri a rischio di contaminazione. Indi si è fatto ricorso (tardivo) a droni. Questi dovrebbero essere previsti in dotazione per gli impianti nucleari con serbatoi per l’acqua e sistemi mirati di pompaggio di essa sui siti da raffreddare. Per il ripristino degli impianti elettrici si è, di nuovo, fatto ricorso a personale che ha rischiato la contaminazione, mentre si dovrebbero impiegare dei robot, appositamente predisposti e addestrati.
Le radiazioni che sono andate nel mare e nell’aria a causa di tutte queste difettosità, potevano essere dimezzate se il complesso di Fukushima 2 fosse stato di 3mila anziché di 6mila megawat. E i livelli di rischio di contaminazione si sarebbero diluiti. E con siti fra loro distanti, il rischio si sarebbe molto ridotto. Ciò però complica il problema dell’individuazione dei siti. Ho elencato solo alcuni dei temi che rendono più che giustificata la moratoria e che consentono di ricavare la sicurezza massima anche nel caso delle più drammatiche evenienze.
I costi aumenteranno, ma il prezzo dell’energia è dettato dal costo di quella nucleare e dal costo delle energie rinnovabili, che è tendenzialmente maggiore. E quindi l’aumento del prezzo dell’energia riporterà alla convenienza le centrali nucleari, divenute più costose per l’incremento della sicurezza. Ma ogni tecnologia col tempo si perfeziona generando costi decrescenti. Ne sono un esempio i computer e i telefoni cellulari e le loro ibridazioni. È dunque essenziale che l’Italia si dedichi al nucleare anche per partecipare a questo progresso tecnologico. Non possiamo cullarci del solo made in Italy della moda, dell’alimentare, dell’elettromeccanica. E il settore energetico italiano è troppo concentrato sul petrolio, il gas e il carbone, che occupano il 70% dell’offerta.
Le fonti rinnovabili sono solo il 14% di idroelettricità e lo 1,6% da biomasse e rifiuti. L’1,4% l’eolica e lo 0,1% il solare. Anche le energie rinnovabili meritano grande attenzione, anche perché l’aumento del prezzo dell’energia rende conveniente un ulteriore utilizzo della idroelettricità, mentre il progresso tecnologico può portare l’energia solare e da biomasse alla convenienza economica.