L’eco di questa notizia in Italia non è arrivato, ma state certi che a breve, quando la bolla esploderà in un modo o nell’altro, verremo travolti dalle grida belluine degli indignati speciali: se andate su guardate questo video di YouTube capirete cosa sta accadendo Oltreoceano nel silenzio generale. Ve lo riassumo brevemente: è una guida all’acquisto di argento fisico per mandare a gambe all’aria JP Morgan Chase e suoi sodali come la britannica Hsbc, autori di una politica manipolatoria sul prezzo del metallo prezioso.



Abbiamo già parlato di questo argomento, ma lo ritengo importantissimo: questo video, dimostra, come nel suo piccolo la gente possa ribellarsi allo strapotere dei giganti. Ovviamente è una battaglia persa, perché comunque la Fed – vera mandante della politica di manipolazione del prezzo dell’argento – sarà sempre pronta a intervenire in soccorso dei “too big to fail”, ma come diceva Brecht, anche un granello di sabbia può inceppare – almeno per un po’, facendo più danni possibile – il meccanismo più potente e sofisticato. Solo che qui, il meccanismo è veramente diabolico e spiega anche tante cose rispetto a quanto sta accadendo in Libia.



Andiamo con ordine e partiamo dalle novità sul fronte della battaglia per l’argento, fino a venerdì scorso sempre sui massimi, nonostante i tentativi della Fed e della Borsa in cui si trattano i metalli di rallentarne artificialmente la corsa. Pochi giorni fa si è scoperto che la Cina, nel solo mese di febbraio, ha importato 245 tonnellate di argento fisico, solo un poco meno di quanto ne aveva importato l’anno scorso nello stesso mese, ma al doppio del prezzo. In pratica, questo febbraio i cinesi hanno convertito il doppio di dollari in metallo sonante rispetto allo scorso anno. Con la zecca americana e quella canadese che hanno dichiarato esaurito l’argento fisico e il prezzo di quest’ultimo che si avvicinava al punto di rottura dei 40 dollari l’oncia, floor che potrebbe dar vita al rally vero e proprio, JP Morgan comincia a sentir davvero tremare la terra sotto i piedi.



Il perché è presto detto: la grande banca americana è short per 4 quadrilioni di dollari sull’alluminio e su 3,3 miliardi di once di argento al prezzo di 21 dollari l’oncia (ieri il valore dell’oncia era 36,46 dollari dopo aver toccato, la scorsa settimana, il record da 31 anni a questa parte a quota 38,13 dollari). Come fare quindi a evitare che il prezzo continui a salire? Detto fatto, per la sesta volta venerdì scorso il Cme – Chicago Merchantile Exchange, la Borsa dove si trattano i futures di oro e argento – ha alzato ancora una volta i margini iniziali e di mantenimento per trattare un contratto future sull’argento, portando il margine iniziale da 11.138 a 11.745 dollari e il mantenimento da 8.250 a 8.700 dollari. E non basta, l’annuncio dei nuovi margini è stato fatto a mercato aperto in modo da ottenere una discesa (temporanea) dei prezzi visto che in parecchi – soprattutto le “mani deboli” – si sono spaventati e hanno chiuso.

Ma siccome questo, come già detto, non è servito a sgonfiare il prezzo del metallo, in contemporanea JP Morgan Chase ha giocato su due tavoli. La banca d’affari, infatti, ha ottenuto in tempi record la licenza per detenere legalmente nei propri caveau oro e argento a garanzia di contratti futures trattati al Cme, la cosa strana – che sa di manovra disperata – è che normalmente per avere tale licenza sono necessari almeno 45 giorni per le verifiche dell’idoneità strutturale e contabile del richiedente: bene, Jp Morgan ha ottenuto la licenza in due giorni! Stranamente, in contemporanea scopriamo che il premio per comprare una quota dello Sprott Physical Silver Fund è ai massimi storici, chiaro segnale della fame di oro fisico fuori dai caveau degli istituti. Insomma, JP Morgan Chase, con ogni probabilità, stava per andare a zampe all’aria con le sue scommesse sull’argento.

Ma non solo JP Morgan è a forte rischio di default per i suoi contratti sull’argento, molto probabilmente anche l’ETF SLV – che ne replica fedelmente l’andamento del prezzo – è a corto d’argento, altrimenti il colosso bancario americano avrebbe preso il metallo di cui aveva bisogno proprio da lì: invece JP Morgan paga premi dal 50% all’80% ai suoi possessori di contratti sull’argento per non prendere la consegna! Insomma, c’è l’argento di carta ma non quello reale. Servirebbero un paio di avvenimenti, meglio se in contemporanea, per fare in modo che nel breve periodo l’argento continui a scendere di prezzo, facendo scottare acquirenti di materiale fisico e detentori occasionali di futures: un rafforzamento del dollaro e una buona quantità di metallo che torni disponibile sul mercato.

Veniamo quindi a come questa colossale macchinazione sull’argento, capace davvero di mandare in default la prima banca Usa, possa essere contestualizzata all’attuale guerra in Libia (a proposito, da domenica sappiamo che i ribelli detengono il petrolio e che sono pronti a commercializzarlo, ma guarda che strano!). Da mesi, i metalli preziosi sono sugli scudi e se non si tiene sotto controllo il loro prezzo, salta il banco: ovvero, non si ha più controllo sulla situazione, i tassi d’interesse diventano ingestibili, il sistema benefica più della fiducia di mercati e investitori e nemmeno la stessa valuta cartacea – il dollaro in questo caso – che potrebbe perdere definitivamente il suo ruolo di moneta rifugio, insieme ai bond in esso denominati.

E come ottenere le due condizioni poco fa elencate? Nei caveau libici di metalli preziosi ce ne sono a bizzeffe. Nonostante le sanzioni della comunità internazionale, Gheddafi può infatti contare su circa 143,8 tonnellate d’oro (ma si pensa siano molte di più), un controvalore di circa 6,3 miliardi di dollari al prezzo corrente. Tripoli è tra i primi 25 detentori di oro al mondo e tutto il metallo fisico è detenuto dalla Banca Centrale libica sul territorio nazionale (prima della crisi a Tripoli, ora a Sebha, città al confine con Ciad e Niger), non a Londra come fanno le banche centrali di molti paesi. Stati Uniti ed Europa hanno sì congelato gli assets libici in dollari, ma non l’oro: il quale, se trasportato fuori dalla Libia, può essere facilmente venduto attraverso contratti swap visto l’appetito di molti governi verso il bene rifugio per antonomasia. Il valore dell’oro, infatti, non dipende dalla stabilità dei governi come accade invece per obbligazioni, assets e titoli. Stesso discorso per l’argento, ragione che potrebbe vedere gli Stati Uniti molto interessati a mettere le mani su quel vero e proprio tesoro. E se l’argento dei caveau della Libia trovasse la sua via fino a quelli della JP Morgan?

Secondo punto, il dollaro e la sua necessità di rafforzamento. Il biglietto verde è al collasso, ma il combinato congiunto dell’evento bellico insieme ai guai della signora Merkel alle elezioni di domenica, ieri ha garantito un netto apprezzamento sull’euro: la via è quella, visto che già paesi come quelli del Bric scaricano dollari e comprano metalli preziosi come hedging. Ora come non mai il dollaro deve essere sostenuto affinché mantenga lo status di valuta di riserva globale con cui si possa commerciare una delle merci più importanti, quel petrolio che i ribelli anti-Gheddafi sono pronti a estrarre ed esportare.

Non è un caso che da giorni la Fed di St. Louis continui a ogni piè sospinto a rendere pubblici giudizi entusiastici sullo stato di salute dell’economia Usa, escludendo un possibile terzo ciclo di quantitative easing e, anzi, prevedendo la fine anticipata del secondo entro giugno. E il dollaro sale, sale e il prezzo dei metalli scende. Controllare il prezzo dei metalli preziosi è fondamentale poiché è un indicatore di salute delle valute, ricordate: e quando una valuta come il dollaro è così inflazionata si è costretti a scegliere fra due opzioni, iperinflazione o depressione. Ecco perché è vitale controllare il petrolio e perché è necessario manipolare il prezzo dei metalli preziosi: per il dollaro. Non ci credete? Guardate questo grafico, che rappresenta la base monetaria Usa.

 

 

In termini più semplici, ci dice quanto denaro la Fed ha pompato nel sistema. Notate facilmente che durante la crisi finanziaria globale la Fed non è intervenuta pesantemente fino all’autunno del 2008, quando pompò circa 1 trilioni di dollari nel sistema. Notate altresì che c’è solamente un’altra occasione nella quale la base monetaria è schizzata a livello assolutamente verticale: il 26 marzo scorso. Dall’inizio del 2011 la Fed ha pompato circa 500 miliardi di dollari e non giustificate questi dati con il fatto che si tratti del programma di QE2, visto che in quel caso la base monetaria sarebbe dovuto schizzare nel 2010, non quest’anno. Si tratta del fatto che la Fed è terrorizzata per il sistema bancario Usa, al pari del 2008, anno del crollo di Lehman Brothers: c’entra qualcosa JP Morgan Chase e il suo mare di contratti futures sull’argento che non detiene, nonostante apra un caveau d’emergenza in soli due giorni? O magari quel caveau è davvero necessario, visto che del metallo fisico potrebbe arrivare a breve dalla Libia?

Una cosa è certa, prepariamoci a qualche sorpresa: non bella. Quando i grandi media cominceranno ad accorgersene e a parlarne, sarà già in pieno svolgimento: vai con lo swing, come vi dico da settimane Stati Uniti ed Europa non possono più coesistere nei loro attuali assetti sullo scenario mondiale. Forse anche la Germania si è accorta di questo, almeno così io leggo la tardiva proposta italo-tedesca per la Libia: è una guerra per il dollaro prima ancora che per il petrolio. E gli Usa non faranno prigionieri. Ecco perché la confusionaria repentinità di questa guerra, ecco perché l’atteggiamento ondivago e spacca-Europa degli Usa, ecco perché si lascia che la Siria esploda e si attende il casus belli tra Iran e Arabia Saudita (non a caso Teheran, che ha fiutato l’agguato, da giorni e giorni è silente). Tutto qui.

P.S. Brutte notizie per la Germania e le sue banche: il governo irlandese ha deciso di tagliare il debito senior di Allied Irish e Bank of Ireland, i due istituti nazionalizzati. Ecco spiegato il rendimento del bond decennale irlandese sopra il 10%! E perché? Semplice, la Banca centrale europea si è opposta al taglio del debito senior delle banche irlandesi nazionalizzate, di fatto condizionando gli aiuti per Dublino (sottoscritti dal vecchio governo) al fatto che questi venissero usati per ripagare i detentori di asset falliti. Gli aiuti europei, nei fatti, servirebbero quindi a coprire solo una parte del buco, il resto lo dovrebbero pagare i cittadini irlandesi. Che attraverso il nuovo governo hanno detto NO! Le banche francesi e tedesche, in caso l’haircut si concretizzi, si preparino a un bel bagno di sangue.