L’avvicendamento delle generazioni è come la processione degli equinozi, come le maree o gli alisei: un fenomeno naturale. In Italia, l’avvicendamento delle generazioni nella gestione del potere è sempre avvenuto con più lentezza, con una vischiosità che ha dato sempre molto spazio a una certa gerontocrazia dalla quale, peraltro, sono spesso arrivato buoni frutti.
Nella politica questa realtà è sotto gli occhi di tutti. Un presidente della Repubblica di ottantacinque anni, un premier di settantacinque. Nella finanza qualcosa sembrava essere cambiato, perchè il vento freddo della natura aveva spazzato via nel giro di tre anni due personaggi-chiave del potere economico nazionale come Enrico Cuccia e l’Avvocato Agnelli. E anche perchè nel frattempo una generazione di quarantenni era riuscita a conquistare alcune leve di autentico potere finanziario come le due principali banche nazionali – con Alessandro Profumo in Unicredit e Corrado Passera in Banca Intesa.
Ma era un’illusione ottica. Non solo: era forse, anche, ideologicamente sbagliato il preconcetto secondo cui per il semplice fatto di avere quarant’anni di meno una persona dovrebbe essere più capace di un’altra. O almeno, è quanto è emerso con chiarezza analizzando l’elenco dei responsabili delle grandi istituzioni finanziarie anglosassoni al centro delle crisi dei derivati, esplosa nel 2008: moltissimi giovani banchieri americani hanno dimostrato di essere nella migliore delle ipotesi degli asini, nella media un po’ asini e un po’ delinquenti, nei casi peggiori criminali e asini insieme. Con buona pace della loro verde età.
Tutto ciò detto, è solo la prospettiva di un nuovo avvicendamento generazionale quel che ha reso possibile lo scontro tra Diego Della Valle, l’industriale marchigiano patron del colosso Tod’s, e Cesare Geronzi, presidente delle Assicurazioni Generali. Perchè, al netto di ogni considerazione di merito sui temi del dissenso, resta il fatto che Geronzi ha 75 anni e Della Valle quasi venti di meno, 57. La stessa età dell’amministratore delegato delle Generali Giovanni Perissinotto, che Geronzi non ha i poteri formali per pilotare, ma ne avrebbe tutta la statura e forse la voglia, ma che è ovviamente in miglior sintonia con coetanei come della Valle o addirittura con soggetti più giovani, come i capi del principale azionista delle Generali, cioè Mediobanca, dove a governare provvedono l’amminisratore delegato Alberto Nagel, 45 anni, e il presidente Renato Pagliaro, 53.
Cosa chiede Della Valle e perchè? Sostanzialmente chiede trasparenza di ruoli, funzioni e responsabilità. In questo, metodologicamente, ha ragione. Secondo lo statuto, alle Generali il presidente non conta sostanzialmente nulla: ha funzioni di rappresentanza e coordinamento metolodogico del lavoro degli organi societari, ma non ha alcuna voce in capitolo nel merito delle decisioni. Di qui la tesi di Della Valle: il presidente stia al posto suo, e quindi si astenga dal prendere decisioni e tentare di imporle a coloro cui competono.
Già: peccato, però, che se questa polemica viene mossa da un semplice consigliere d’amministrazione come Della Valle e non da chi sarebbe esposto a questi asseriti tentativi di coartazione messi in atto da Geronzi, e cioè da Perissinotto, ne deriva che o la polemica è infondata oppure Perissinotto non è capace di farsi valere da solo, e in quest’ultima ipotesi come mai potrà un manager incapace a difendere il perimetro delle proprie competenze guidare un colosso da 400 miliardi di euro di investimenti?
E infatti la sensazione è che questa polemica – paradossalmente – nasca da (e insieme nasconda) un problema di potere ben diverso. Intanto, chi conosce e apprezza Della Valle sa che il suo carattere è impetuoso, ama dire quello che pensa, non è ricattabile perchè non ha debiti e da tempo è convinto che Geronzi incarni un modo di vedere la finanza inadatto a quel che richiedono oggi i mercati finanziari. Torto o ragione che abbia, è la sua opinione, che da sola non conta molto, ma ha deciso di esprimere – con toni anche discutibilmente aggressivi e certo inusuali – prendendosene le responsabilità.
Geronzi, dal canto suo, non può essere colpevolizzato di avere idee chiare anche sui temi di merito della gestione dell’azienda che presiede: ha, infatti, accettato di non avere poteri esecutivi e se ritiene che, in virtù del suo prestigio e della sua credibilità espressa in una carriera certo discutibile ma lunga e complessivamente piena di successi, esprimendola possa positivamente influenzare le decisioni del management, non è in colpa. Il management non è fatto di marocchine minorenni o liceali brufolosi e timidi, ma di dirigenti superpagati, con grandi onori che devono corrispondere a grandi oneri.
Quindi, che un presidente senza poteri taccia o si esprima, poco cambia: le responsabilità sono del management, che deve gestire di testa sua proprio come il coach della nazionale di calcio deve fare la formazione, e ne risponde, indipendentemente dalle opinioni espresse da La Gazzetta dello Sport.
Peccato, però, che l’autonomia non sia una dote innata, ma un quotidiano esercizio di volontà e coraggio. E che tradizionalmente le Generali sono sempre state affidate – da Mediobanca che ne ha sempre esercitato un controllo gestionale ferreo, per quanto lo abbia negato anche davanti all’Antitrust – a manager molto obbedienti alle linee guida operative che arrivavano da via Filodrammatici. Inutile rievocare i mille esempi del passato, ma si contano sulle dita di una mano i casi in cui gli interessi di Mediobanca non siano stati docilmente serviti dal management delle Generali.
Ora, Perissinotto e la sua squadra hanno ricevuto, grazie alla sfrontata e forse perfino gratuita sparata di Della Valle, il guanto della sfida: dimostrino con i fatti di saper gestire quel dono impegnativo che è l’autonomia. Autonomia da tutti: dal presidente Geronzi, ma anche dagli storici burattinai di via Filodrammatici.