Su un noto canale televisivo americano scorrono in un riquadro le drammatiche immagini degli scontri che si susseguono in Libia. Sul riquadro di sinistra, più ampio, si assiste a un serrato dibattito sul tema delle ricadute nel mercato Usa del settore energetico. Nella parte inferiore, quella dedicata alle notizie, scorrono intanto i prezzi di olio e gas e, in particolare, si evidenzia il loro andamento degli ultimi tre anni che ha raggiunto punte di 140 dollari al barile nel luglio 2008 e che in queste drammatiche ore è ritornato a livelli stabilmente superiori ai 100 dollari.
L’impatto delle rivolte della Libia sui prezzi dei carburanti e del gas (cresciuti negli States di oltre il 25%) allarma i commentatori d’Oltreoceano. Come è risaputo, negli Usa i cittadini usano moltissimo i trasporti in auto e le merci viaggiano su gomma. Appena usciti da una crisi finanziaria, si teme ora quella dei costi dell’energia. La discussione nello studio televisivo, però, verte anche su un’altra questione: è stato giusto avere arricchito quei paesi a rischio con politiche energetiche che hanno consentito loro di fare guadagni straordinari negli ultimi 20 anni?
Il mercato dell’energia è globale da decenni, ma ogni volta che accadono tragedie geopolitiche, come i fatti di queste settimane nel Nord Africa, se ne risentono fortemente gli effetti. Nel Nord America, come nei grandi paesi asiatici (Cina in testa), se ne fa soprattutto una questione di prezzi, ma qui da noi, nella vecchia Europa, questa crisi potrebbe rivelarsi anche un problema per la sicurezza degli approvvigionamenti.
Nel nostro Paese per ora non ci sono preoccupazioni di breve periodo, come subito riferito dagli organi di governo e dalle grandi imprese energetiche (Eni innanzitutto), e come già ben descritto anche su questo giornale. Abbiamo fieno in cascina: disponiamo di stoccaggi di gas naturale e di carburanti per i prossimi mesi e comunque siamo ben collegati con gasdotti provenienti da altre zone extraeuropee. Ma la strategia politica del Paese in fatto di energia con questa situazione deve fare i conti nei prossimi mesi.
Nel frattempo, vanno citate le due decisioni politiche assunte la scorsa settimana in Europa e in Italia. La prima risale al precedente lunedì, allorché si sono radunati a Bruxelles i capi dei ministeri dell’energia europei. Il documento approvato ribadisce senza esitazioni le priorità strategiche condivise: lotta ai cambiamenti climatici, sicurezza degli approvvigionamenti e competitività dei prezzi. Per i prossimi 10 anni, il Consiglio auspica una regolazione unica del mercato europeo dell’elettricità e del gas, l’incremento delle azioni per l’efficienza energetica, il potenziamento delle infrastrutture interne di trasporto (elettricità e gas), la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica a ridotta emissione di carbonio. Tutto ciò con una ulteriore richiesta di contributi finanziari alla ricerca industriale e alla innovazione.
La seconda determinazione, più prossima a noi, è stata l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri delle nuove norme che regolano gli incentivi per le fonti rinnovabili. Esse rappresentano un futuro importante, ma bisogna investire maggiormente su innovazione e ricerca per arrivare alla competitività economica.
In Italia produciamo l’80% della nostra energia con gas naturale e oli e siamo dipendenti da paesi extraeuropei per oltre il 70% dei nostri fabbisogni. Nessun altro Paese al mondo è nelle nostre condizioni. La politica degli approvvigionamenti è stata intelligente e razionale, perché attraverso la diversificazione dei gasdotti non siamo fortunatamente legati a unico sistema estero (Russia o Algeria, Paesi del Golfo o del centro Asia). Ma ciò non cambia il nostro assetto di nazione europea maggiormente vincolata ai gasdotti extraeuropei.
Abbiamo avviato da alcuni anni un’intensa azione di investimenti sulle energie rinnovabili (il solare fotovoltaico e, soprattutto, l’energia eolica) e siamo ormai tra i primi produttori di elettricità al mondo con queste tecnologie. Ma questa risorsa costituisce un contributo ancora troppo modesto (non più di qualche punto percentuale) rispetto alle necessità di energia di un grande consumatore come è l’Italia. Senza dimenticare che quelle fonti rinnovabili agiscono a intermittenza (il vento, se va bene, soffia sulle pale eoliche meno di 2000 ore annue e il fotovoltaico produce per meno di 1500) e sono imprevedibili, non immagazzinabili e non programmabili.
Serve quindi comunque un’azione per rinnovare il nostro parco produttivo dell’elettricità e ridurre la sua dipendenza dal gas: la scelta nucleare avviata dal Governo e dal Ministro Scajola nel 2008, lo abbiamo detto forse già troppe volte, è stata una scelta coraggiosa e portata avanti con straordinaria forza normativa e legislativa. Però, da un anno tutto è tornato a dormire. Si viaggia stancamente verso un referendum, promosso dallo spirito distruttivo dell’Italia dei Valori, previsto per giugno e di cui, per fortuna, non si discute per nulla. Ma è l’azione politica e istituzionale positiva che sta mancando; l’Agenzia per la Sicurezza, pur costituita da alcuni mesi, è sprovvista del minimo sostegno finanziario e non decolla. Ci si sono poi infilate le Regioni chiedendo autonomia su questa materia solo per mettersi di traverso.
Così in Italia, mentre il citato dibattito sulla rete Usa si conclude con considerazioni condivise dagli “anchormen” presenti in studio: produrre elettricità con le fonti nucleari per ridurre la dipendenza e introdurre forti incentivi per le auto elettriche nei trasporti locali per diminuire il ricorso al petrolio ed eliminare le emissioni. Un mondo possibile già oggi, ma forse troppo perfetto.