Riportiamo l’intervento di Giorgio Vittadini, presidente di Fondazione per la Sussidiarietà alla Conferenza europea per le celebrazioni italiane dell’Anno europeo del volontariato “Sussidiarietà e volontariato in Italia e in Europa: valori, esperienze e strumenti a confronto” (San Servolo, Venezia) svoltosi nella giornata di oggi.
Mentre le scienze sociali avevano per lungo tempo paventato la possibilità che tutto quel vasto mondo organizzato, fatto di relazioni basate sul dono e sulla solidarietà collocato al di fuori dei confini dello Stato e del mercato, diventasse ad un certo punto residuale a causa dell’espansione dell’azione pubblica e dei meccanismi capitalistici, esso è in continua espansione anche nelle società economicamente più avanzate.
Un rapido excursus statistico dà le dimensioni del fenomeno.
Uno studio della Johns Hopkins University sul settore non profit pubblicato nel 2004, rileva che nei 32 Paesi oggetto della rilevazione, approssimativamente 140 milioni di individui svolgono un’attività gratuita nel corso dell’anno, equiparabili a 20 milioni di lavoratori full-time e corrispondenti al 12% della popolazione adulta (Salamon et al., 2004).
Uno studio di Salamon e Anheier del 1999 calcolava che le ore di lavoro dei volontari sono pari al lavoro a tempo pieno di 4.360.000 persone nelle organizzazioni non profit e di 4.445.000 di persone nel complesso dell’economia. Quasi tutto il volontariato è perciò concentrato nel settore delle non profit e ha un forte impatto non solo qualitativo, ma anche quantitativo. La quota delle non profit sull’economia passa dal 6,9% senza volontari al 10% con volontari. Per ciò che concerne la suddivisione per Paese, in termini assoluti, il lavoro dei volontari risulta più consistente in Gran Bretagna (1.664.000 persone occupate), in Germania (1.211.000) e in Francia (1.114.000); in termini relativi, in Svezia, pari all’8% del totale occupato, Francia (5,1%). Dall’esame di ricerche settoriali delle ricerche specifiche per il volontariato, tale quadro di insieme viene completato. Si stima che il 30% degli adulti in Germania e Grecia, il 28% in Svezia, il 35% in Irlanda, il 23% in Francia, svolgano attività di volontariato.
I settori di attività principali delle associazioni di volontariato risultano essere tutti quelli connessi a dei servizi legati alla pubblica utilità tipici delle non profit (Kuper e Maurer, 1998). Per il complesso della Comunità Europea il settore della cultura pesa l’11,5% senza volontari e il 24,3% con imputazione del numero di volontari, mentre tutti gli altri settori, di conseguenza, hanno peso percentuale inferiore con i volontari. La cultura è il settore privilegiato di impegno del volontariato. Infatti, in Finlandia (48%), Francia (43%), Germania (33%), Olanda (36%), Svezia (52%), è il settore di gran lunga più importante. Per il Belgio, l’Irlanda e la Spagna il settore principale sono i servizi sociali (55%, 42%, 29%), mentre in Gran Bretagna prevalgono i servizi religiosi.
In Italia
In Italia, alla fine del 2003, le organizzazioni di volontariato erano 21.021, con un incremento del 14,9% rispetto al 2001. Nello stesso periodo i volontari sono aumentati del 18,8% passando da circa 700 mila a più di 800 mila, mentre i dipendenti si attestano sempre su 12 mila.
Una ricerca, in uscita in questi giorni, realizzata dall’Istat per l’Osservatorio sull’Economia sociale del CNEL intitolata “La valorizzazione economica del lavoro volontario nel settore nonprofit”, stima il valore economico del volontariato italiano in 7.779 milioni di euro. In termini relativi, questa stima corrisponde allo 0,7% del PIL e, se sommata al totale del valore della produzione delle organizzazioni non profit, condurrebbe a quantificare la ricchezza prodotta da questo settore in Italia al di sopra del 4% del PIL. Nel complesso, il volontariato in termini economici rappresenta il 20% dell’ammontare complessivo delle entrate delle istituzioni non profit.
Ma dove origina questo fenomeno? Cosa caratterizza la sua natura, tale da renderlo un settore in crescita anziché in diminuzione nelle nostre società avanzate?
Cercherò di rispondere a queste domande considerando ciò che riguarda il nostro Paese.
L’acquisizione molto recente del termine “volontariato” nel dibattito sociale ed economico in Italia può indurre a pensare che si tratti di un fenomeno di recente formazione, magari nato con la legge del 1991 o “importato” da oltre oceano. In ltalia il fenomeno ha invece origini molto antiche in tutte le culture, cattolica, socialista, liberale.
“Il mondo cristiano, fin dalla tarda antichità, dà vita a un sistema assistenziale basato su una risposta al bisogno gratuita e al tempo stesso di natura associativa, che traduce una pratica diffusa all’interno delle comunità e che dalla caritas evangelica, nella riflessione patristica, fa derivare per la prima volta uno ius hospitalitatis a tutti riconosciuto.
Fin dall’ultimo periodo imperiale e poi nel primo Medioevo, si realizza un “sistema di carità” quale sintesi di istituzioni in larga misura libere e autogestite, sostenute dalla decisione personale e volontaria di chi sceglie di dedicarsi al servizio ospedaliero o di far parte di un’associazione elemosiniera”. […] …vengono fondate numerose strutture permanenti di accoglienza, con il nome di xenodochia e quindi sempre più spesso di hospitalia, in genere lungo le reti viarie e nei pressi di monasteri, residenze episcopali, sedi plebane, in un contesto nel quale i centri urbani rivestono minore importanza. Per quanto non manchi l’aspetto della cura, in esse si pratica un ricovero largamente indifferenziato, rivolto anche ad anziani poveri, invalidi, malati cronici” (Bressan).
Dal movimento operaio socialista si svilupparono, alla fine del 1700, le Società di mutuo soccorso, nate come associazioni volontarie con lo scopo di migliorare le condizioni materiali e morali dei ceti lavoratori. “Ebbero un modello storico probabilmente derivato dai “collegia opificum” (associazioni di artigiani) della Roma antica, le quali rappresentarono una forma intelligente di organizzazione proletaria per affrontare i disagi dovuti a malattie, invalidità, guerre, povertà e vecchiaia, e costituirono nel contempo una protezione per diverse categorie professionali, esercenti in epoca imperiale, prima del declino barbarico”.
Dalla cultura laica liberale, nasce invece, ad esempio, la Società Umanitaria, una delle più importanti istituzioni di Milano. “Ente morale, è nata nel 1893 grazie al lascito testamentario di Moisè Loria, mecenate milanese di origine mantovana, che dava all’aggettivo “umanitaria” non il senso di semplice assistenza e beneficenza, ma l’assistenza mediante lo studio, l’istruzione, il lavoro. Uno statuto che allora si imponeva per una differenza sostanziale rispetto a quei tempi: perché l’assistenza ai più deboli, nel pieno rispetto della loro dignità, doveva porsi non come una caritatevole elemosina, bensì spingendoli ad elevarsi da soli ricercando i propri valori intellettuali ed umani, grazie all’impegno individuale posto negli studi, nell’istruzione e nel lavoro”.
Se antica è la sua origine quale è la natura profonda del volontariato?
In una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Zancan, “Il futuro del volontariato”, in cui è stato intervistato un campione rappresentativo dell’universo dei volontari italiani, è emerso che la maggior parte dei volontari è soddisfatta dell’attuale scenario relativo al mondo del volontariato.
Altri spunti sono singolari nell’inquadrare il “vissuto” di un volontario:
“Gli intervistati non sono interessati a vantaggi economici individuali (più rimborsi), ma, benchè auspichino che la loro organizzazione di volontariato possa disporre di maggiori finanziamenti, hanno effettuato le loro scelte sulla base di parametri che vanno in direzione della gratuità e del coinvolgimento di nuovi volontari all’interno dell’associazione di appartenenza”.
Inoltre, “massima priorità spetta, a giudizio dei volontari, alla diffusione della cultura della solidarietà e della cittadinanza responsabile; fondamentale è anche rimarcare i contenuti che caratterizzano l’azione volontaria, quali la relazione tra persone, l’azione educativo-culturale sui doveri sociali e la formazione”.
Da quanto appare il volontariato ha un valore in sé che viene affermato con forza. In cosa consiste?
Quello che la citata ricerca dell’Istat-CNEL ha chiamato “sistema di dono e di relazione basata su solidarietà corte e legami di tipo comunitario” non è un’attività relativa alla vita civile, a lato di quella personale, ma è innanzituto una dimensione implicata nella natura dell’uomo. Da quanto osserviamo tutti i giorni nelle nostre realtà, non possiamo che dedurre che ciò che ci fa interessare degli altri è un’esigenza costitutiva della nostra natura. Quando vediamo un bisogno ci sentiamo spinti a rispondere perché corrisponde alla nostra natura prima che per il fatto che qualcuno o qualcosa ci obblighi a farlo.
Il cuore di un’azione volontaria, gratuita è nella natura dell’“io” e nasce dalla coscienza di un “io ferito”, ferito perché capisce che non si basta da sé e che, come lui, nessuno può bastarsi da sé ma si ha bisogno di un altro.
E’ paradossale, ma dalla coscienza di essere “feriti” nasce spesso qualcosa di sorprendente.
Scrive un mio amico implicato in un’attività di volontariato, a proposito dei ragazzi che assiste: «Al centro è l’altro come imprevisto, l’altro che è sempre l’imprevisto più bello che ti possa capitare e non un accidente: è l’indispensabile risorsa da aggiungere. Altrimenti gioco a difendermi e tutto si risolve in una ideologia». E ancora: «Penso che fin dall’incontro con i primissimi ragazzi io abbia contratto il sentimento di una vera gratitudine per la ricchezza di esperienza che mi era dato di sperimentare con loro e con le loro storie. Che ricchezza! Che profondità di vita! Anche nell’errore c’era sempre una speranza di bene. Che groviglio di situazioni e che miseria talvolta, ma allo stesso tempo che grandezza! Dietro una scorza di cattiveria appariva timida una dolcezza infinita».
Il mio amico non nasconde la sua piccolezza e fragilità: «Desideravo si accorgessero che anch’io sono una persona ferita. Magari non in maniera lancinante e profondamente come loro, ma anch’io sono un uomo colpito. Anch’io sono intriso dello stesso bisogno di vita. Positività e fiducia a partire dalla coscienza dell’errore, dobbiamo essere umili e consapevoli dei nostri limiti. La grande verità, che si comprende solo dopo tanti anni di convivenza sincera con questi ragazzi e con queste problematiche, è che tutti siamo persone ferite. Forse il complimento più apprezzato, perché più vero e definitivo, che ricevo dai ragazzi è: “tu sei uno di noi”».
Affrontando il fenomeno da un altro punto di vista scopriamo che la presenza del volontariato nella nostra società smentisce la teoria di origine hobbesiana secondo cui l’azione sociale si basa sulla sfiducia e il sospetto, cioè su una concezione di uomo negativa che ne mortifica le potenzialità e il positivo contributo che il singolo uomo può dare al bene comune, al progresso e alla lotta per la giustizia.
In tale concezione la società non è una dimensione originale, cioè non è legata a quelle esigenze ed evidenze, ma è il frutto di un contratto sociale che deve limitare l’egoismo dell’uomo, in diretta opposizione con la teoria aristotelica e poi di S. Tommaso secondo cui l’uomo è un animale politico, cioè sociale e il bene dell’individuo coincide con il bene della collettività; non vi può essere opposizione.
L’idea stessa di volontariato porta a galla piuttosto l’idea di uomo relazionale come sottolineato nell’Enciclica “Deus caritas est” (N. 54) e in particolare della originalità e universalità della struttura desiderante dell’uomo, o, come la definisce Luigi Giussani, della struttura esigenziale dell’uomo.
Il cuore dell’uomo, di qualunque epoca e qualunque luogo o etnia, è desiderio di bene, complesso delle esigenze ed evidenze fondamentali di verità, di giustizia, di bellezza[1].
Il concetto di “desiderio”, inteso quale cuore dell’esperienza elementare dell’uomo è il motore di un’azione sociale sussidiaria. Secondo Giussani, «il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore. Tutte le mosse umane nascono da questo fenomeno, da questo dinamismo costitutivo dell’uomo. Il desiderio accende il motore dell’uomo. E allora si mette a cercare il pane e l’acqua, si mette a cercare il lavoro, a cercare la donna, si mette a cercare una poltrona più comoda e un alloggio più decente, si interessa a come mai taluni hanno e altri non hanno, si interessa a come mai certi sono trattati in un modo e lui no, proprio in forza dell’ingrandirsi, del dilatarsi, del maturarsi di questi stimoli che ha dentro e che la Bibbia chiama globalmentecuore»[2].
Per questo nell’enciclica Deus caritas est si legge: «La carità sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo» (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 28).
Singolare è l’assonanza di tale impostazione con quanto si legge in un testo classico dell’economia contemporanea, L’economia del benessere del Premio Nobel Kenneth J. Arrow.
Arrow cerca di delineare le regole razionali a cui sottostanno le preferenze individuali e i loro possibili nessi con le scelte collettive. Che cosa determina il manifestarsi di ordinamenti virtuosi nelle preferenze individuali? Arrow dice: «L’ordinamento rilevante per il raggiungimento di un massimo sociale è quello basato sui valori, che rispecchiano tutti i desideri degli individui, compresi gli importanti desideri socializzanti»[3].
E’ un concetto simile a quello espresso in un recente convegno internazionale da Lester Salamon: «Ci sono due impulsi apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte l’impegno radicato verso la libertà e l’iniziativa individuale e dall’altra parte il concetto, ugualmente fondamentale, che tutti noi viviamo in una comunità e abbiamo la responsabilità di andare oltre noi stessi ed adoperarci per il bene dei nostri simili».
Il desiderio è il motore del volontariato. «Tornare a desiderare – ha detto recentemente il Censis – è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata ed appiattita».
Il desiderio diventa opera, costruzione di una risposta organica al bisogno.
Secondo le linee guida delle Nazioni Unite, un criterio discriminante, sebbene non imprescindibile per definire le istituzioni non profit è l’impiego di personale volontario. Come abbiamo visto in precedenza esso ha, nei fatti, anche una sua imponenza quantitativa, costituendo un elemento fondamentale delle organizzazioni di Terzo settore.
Il valore del rapporto tra Terzo settore e volontariato si sostanzia in due aspetti. Innanzitutto sul piano educativo: occorrono realtà sociali e movimenti che sostengano, educandolo, il desiderio. I corpi sociali, le comunità intermedie trovano una rinnovata importanza, non solo in termini strumentali come trampolino per un’azione sociale, ma in termini educativi, quali luoghi in cui le persone sono aiutate a crescere, a prendere consapevolezza di sé e della realtà.
In secondo luogo come strumento per finalizzarne gli sforzi alla ricostruzione di un nuovo welfare che si contrapponga sia a quello statalista, secondo il professor Julian Le Grand della London School of Economicis, “endemicamente inefficiente, paternalisticamente incapace di suscitare una responsabilità personale e sociale, fonte di clientelismo, per natura anche iniquo e inadatto a contrastare l’incremento della povertà e delle ineguaglianze”, sia a quello neo-liberista che rende tutto mercato selvaggio senza rispetto per la dignità dell’uomo.
Il volontariato è capace di innovazione sociale, in quanto interviene e anticipa spesso temi “di frontiera” (es. immigrazione, discriminazioni, sviluppo sostenibile…); vive in prima persona i problemi e i bisogni delle persone, della società; ha un approccio concreto, del “fare”, nelle proposte, nella risoluzione dei problemi; e per questo ha anche una visione meno ideologica; è abituato all’emergenza e alla scarsità di risorse, fondi, strutture e questo favorisce la creatività e la sperimentazione. Per questo ispira, rafforza, sostiene anche le politiche pubbliche (o ne colma le carenze).
La sussidiarietà, essendo il principio che valorizza le iniziative che provengono dai livelli di organizzazione sociale più vicini alla singola persona, è ciò che meglio salvaguardia il valore del volontariato.
E’ una “sussidiarietà” intesa come strumento che pone le condizioni perchè la persona sia in grado di sviluppare tutta la sua iniziativa e capacità, e attraverso i corpi intermedi cui appartiene, dia risposta ai bisogni della società.
Se questo è un quadro di riferimento per il volontariato quali i problemi aperti?
1) Se i volontari intervistati non si dicono preoccupati per un eventuale indebolimento dei valori fondanti il volontariato, o per l’esistenza di una crisi al suo interno, essi tuttavia sono consapevoli dell’esistenza di alcune difficoltà, specialmente di origine esterna. Hanno consapevolezza, infatti, del pericolo di strumentalizzazione che il volontariato sta correndo: in particolare, avvertono il rischio di un utilizzo finalizzato a ridurre i costi dei servizi e di un’eccessiva importanza attribuita all’efficienza da parte delle istituzioni (a vantaggio delle grandi organizzazioni di volontariato e a scapito dei piccoli gruppi). I rispondenti ritengono inoltre che le istituzioni non sempre mettano in grado il volontariato di partecipare ai momenti di concertazione e/o programmazione.
Un altro problema su cui vi è accordo diffuso è la presenza di una burocratizzazione (privacy, sicurezza…) eccessiva che soffoca le organizzazioni di volontariato, in particolare quelle di piccole dimensioni.
Mentre, “la difficoltà di coinvolgere i giovani è attribuita a carenze della scuola, che non promuove la partecipazione ad esperienze di volontariato”.
A giudizio dei volontari, la dimensione su cui occorre puntare maggiormente è la promozione della cittadinanza attiva e della partecipazione, insieme alla tutela dei diritti delle persone più deboli. In questo modo, i volontari rimarcano con forza un ruolo fondamentale del volontariato, ossia la promozione di una cultura fondata sulla solidarietà, come elemento imprescindibile a cui non si può rinunciare.
E’ inoltre diffusa l’esigenza di una maggiore efficienza organizzativa.
Gli intervistati ritengono molto importante fare rendicontazione sociale, monitorando i propri interventi, valutando in che misura essi rispondano ai bisogni delle persone e della comunità e comunicando i risultati delle proprie azioni. Ritengono altresì importante potenziare quegli strumenti (di natura valoriale, economica, giuridica ecc.) che possono aiutare a rendere concreta l’azione volontaria; notevole rilievo è attribuito, infine, alla possibilità di collaborare con gli altri attori sociali, specialmente quelli istituzionali.
Diffusa è infine l’esigenza di una autonomia economica e finanziaria. Oltre al desiderio che la propria organizzazione di volontariato possa disporre di entrate finanziarie maggiori, i volontari considerano importante anche l’autonomia della propria organizzazione e in questo senso auspicano che nei rapporti con le amministrazioni pubbliche sia più indipendente e abbia maggiori libertà di azione rispetto alla situazione attuale.
Soprattutto però l’esigenza è di continuare a educarsi alle ragioni che spingono a fare il volontario. Sempre secondo il rapporto Zancan, gli intervistati auspicano in particolar modo che “tra 5 anni la loro organizzazione possa contare su una maggiore presenza di persone che si dedicano al volontariato”.
Senza ragioni ideali, qualunque sia l’ideale, il volontariato muore. Ed è quello che nessuno vuole.
[1] Luigi Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, da pag. 139.
[2] Giussani L., L’io, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, p. 173.
[3] Kenneth J. Arrow, Scelte sociali e valori individuali, ETAS, Milano 2003, p. 21.