Che fine ha fatto il Piano nazionale di riforma (Pnr) la cui approvazione era attesa da parte del Consiglio dei ministri dell’8 aprile? Il 24 marzo, i 70 deputati dell’intergruppo “Europa 2020” hanno varato un documento, predisposto dall’Oseco (Osservatorio europeo sulla crescita e l’occupazione), di auspici sui contenuti che dovrebbe avere il Pnr. Un’assemblea straordinaria del Cnel era stata messa in cantiere per il 13 aprile, nell’ipotesi che le Camere avessero ricevuto il documento la sera dell’8 aprile.
Invece, proprio venerdì, la Presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, ha scritto a Renato Schifani per chiedere “di adottare tutte le iniziative necessarie affinché, in qualità di Presidente del Senato, chieda ufficialmente al Governo che il Piano nazionale di riforma sia presentato e discusso in Senato prima della sua trasmissione nelle sedi istituzionali dell’Unione europea (Ue)”. Il documento sarebbe dovuto arrivare a Bruxelles entro e non oltre il 20 aprile (dopo essere stato dibattuto dal Parlamento e, quindi, dalle parti sociali – quindi dall’assembla del Cnel). Nel 2005, il Pico – Programma di innovazione, competitività e occupazione -, curato dal Dipartimento politiche comunitarie (allora guidato da Paolo Savona), arrivò a Bruxelles due settimane prima della scadenza.
Il Pnr – vale la pena ricordarlo – è uno dei tre documenti fondamentali previsti dalla nuova sessione europea di bilancio; gli altri due sono l’analisi della crescita (inviato dalla Commissione europea agli Stati membri a metà gennaio) e il Programma di stabilità finanziaria (Psf) che ciascuno Stato deve inviare a Bruxelles entro fine aprile. Rispetto alle versioni preliminari del Pnr, inviate dagli Stati Ue lo scorso novembre, la Commissione ha chiesto agli esecutivi nazionali di stimare l’impatto in termini di Pil (Prodotto interno lordo) delle riforme approvate, in cantiere oppure pianificate.
Da Palazzo Chigi giungono dichiarazioni ufficiose, off-the-record, che vorrebbero essere rassicuranti, ma che inquietano ancora di più. Secondo queste voci, il Governo starebbe per varare il Pnr da un’ora all’altra – non si escludeva la possibilità di un Consiglio dei ministri nel fine settimana 9-10 aprile.
Il Tesoro, dopo aver sentito i tecnici dei principali Ministeri coinvolti, avrebbe tenuto conto delle osservazioni della Commissione. E, secondo il modello econometrico del Dipartimento del Tesoro, l’insieme di tutte le misure prese in considerazione determinerebbe nel quadriennio 2011-2014 un impatto positivo sul tasso di variazione del Pil pari in media a 0,4 punti percentuali all’anno. Inoltre, l’effetto sul tasso di variazione dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione sarebbe pari in media a 0,3 punti percentuali l’anno. Nel triennio successivo (2015-2017) ci sarebbe un impatto medio annuo sul tasso di variazione del Pil di 0,3 punti percentuali. Nel 2018-2020 gli investimenti registrerebbero un forte incremento del loro tasso di variazione (0,7 punti percentuali in media annua), mentre l’effetto sul tasso di variazione del Pil sarebbe di 0,2 punti percentuali l’anno.
Dato che i risultati macroeconomici delle riforme e il loro grado di efficacia potrebbero risentire della tempistica con cui saranno realizzate e della congiuntura, se espansiva o recessiva, sarebbe stato elaborato anche uno scenario “prudenziale”, dove l’entità degli shock simulati attraverso i modelli è stata ridotta del 50%. Attenzione, anche nello scenario ottimista si passerebbe da un tasso di crescita dell’1% nel 2011 a uno del 2,3% nel 2014 – ben lontani del 3-4% che solo qualche settimana alcuni stimavano che sarebbe risultato dalla “frustata” che sarebbe stata data dal Governo all’economia. Nello scenario “prudenziale” si arriverebbe all’1,5% (sempre nel 2014). Ossia cambierebbe poco o nulla.
In questo contesto macro-economico, il Pnr considererebbe completata la riforma delle pensioni, punterebbe ad ampliare la contrattazione decentrata senza impatto per il bilancio dello Stato e a migliorare l’efficienza amministrativa, nonché a un “Piano nazionale per le reti di nuova generazione”, per il quale sarebbero state predisposte operazioni di partenariato pubblico-privato in cui sarebbe coinvolta la Cassa depositi e prestiti, “senza impatto per i saldi di finanza pubblica”. Attenzione: contrariamente alle anticipazioni di due-tre settimane fa, non si preconizzerebbe nulla di sostanziale in materia di privatizzazioni e liberalizzazioni. Al contrario, ci potrebbero essere interventi della mano pubblica in politica industriale.
Se tutto è pronto, perché il documento non è stato varato? Ci sono ragioni di forma e di sostanza. Le prime riguardano la normativa ancora in vigore: il Pnr dovrebbe essere vagliato dal Ciace (Comitato interministeriale per le attività della Comunità europea) presieduto da un ministro. Ma questi non c’è da quando Andrea Ronchi ha dato le dimissioni. Implicitamente, il Presidente del Consiglio ne ha l’interim. Non tutti i ministri coinvolti, però, sono convinti che il ministro dell’Economia e delle Finanze possa avere la primogenitura del Pnr sulla base di una delega che pare essere stata implicita piuttosto che esplicita (ossia tramite un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri discusso, e approvato, dal Consiglio dei ministri).
Qui la forma e la sostanza diventano tutt’uno. Le previsioni econometriche fatte dal Mef non sono condivise dal resto della squadra, soprattutto dopo la strategia di rialzo dei tassi d’interesse iniziata il 7 aprile dalla Bce. Tale strategia solo nel 2011 comporterebbe un aumento del fabbisogno di ricorso al mercato di 20 miliardi di euro – una somma equivalente a un’intera manovra di finanza pubblica. Inoltre, non si terrebbe conto dello sforzo finanziario aggiuntivo derivante dallo tsunami migratorio. E c’è chi dubita che la contrattazione decentrata e le misure per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni siano sufficienti a far crescere il Pil più dell’1% l’anno, considerato dal servizio studi della Bce come il “saggio potenziale” di sviluppo dell’Italia. In materia di politica industriale, poi, Mef e e Mise sarebbero ai ferri corti.
Nel Palazzo si fa strada anche l’ipotesi che il Pnr venga inviato a Bruxelles a fine mese unitamente al Psf: un pacchetto in carta argentata ben infiocchettato sarebbe più bello e verremmo scusati del ritardo.