C’è una contraddizione tra l’aumento dei tassi deciso dalla Bce (dall’1% allo 1,25%) la settimana scorsa e la dichiarazione del suo presidente, Trichet, fatta sabato durante l’eurosummit in Ungheria: la disoccupazione nell’eurozona resta a livelli inaccettabili. Se voglio favorire la ripresa e l’occupazione, infatti, devo mantenere il costo del denaro il più basso possibile e non certo alzarlo. Cerchiamo di capire.
La Riserva federale statunitense (Fed) sta mantenendo i tassi del dollaro ai minimi per accelerare il riassorbimento della disoccupazione in America, con certo successo. Va detto che lo statuto della Bce la obbliga a mettere in priorità il contrasto all’inflazione mentre quello della Fed le assegna due missioni: la difesa dall’inflazione, ma anche la stimolazione monetaria dell’economia, concedendole più flessibilità nel tollerare la prima. Anche perché il sistema economico americano molto liberalizzato combatte meglio l’inflazione via efficienza di quanto riesca a farlo il più rigido modello europeo.
Ciò giustifica la Bce? Va notato che il rischio di inflazione nella zona euro dipende dal rialzo del prezzo del petrolio tipicamente non contenibile con manovre di politica monetaria. Lo si può contenere solo mandando in recessione brutale l’economia, cioè tagliando la domanda complessiva. Vuole veramente fare questo la Bce? Ma prima di rispondere dobbiamo chiederci se si rende conto che, alzando i tassi mentre il dollaro non lo fa, alza il valore di cambio dell’euro, con impatto depressivo sull’export e sul turismo. In particolare di quei Paesi ad economia più debole e debito elevato come Grecia, Portogallo e Spagna, nonché l’Italia, che dipendono molto dal turismo ed il cui export è più sensibile al cambio. E se si rende conto, inoltre, che più il dollaro scende e più il prezzo del petrolio sale perché i produttori non vogliono rinunciare al profitto per svalutazione della moneta in cui il prezzo viene fissato.



E che questa dinamica non è proporzionale: il dollaro si abbassa, per dire di 10, il prezzo del petrolio si alza di 20, così annullando l’effetto disinflazionistico del cambio più elevato dell’euro nelle importazioni di energia prezzata in dollari.
Veramente la Bce non si rende conto di  tutte queste cose che consiglierebbero più prudenza e sincronia con la Fed nelle scelte sui tassi, aggiungendo che il loro rialzo rende più costoso il rifinanziamento dei debiti sovrani delle euronazioni? Ovviamente se ne rende conto perché i suoi tecnocrati conoscono le cose qui accennate, anche meglio di di chi scrive. Ma allora la Bce ci vuole veramente portare alla recessione ed alla conseguente crisi del debito?
Bisogna tornare al suo statuto: la Bce ha come unica missione la lotta contro l’inflazione. Poiché, in effetti, gli scenari mostrano un’attesa di inflazione nel mercato la Bce ha il dovere formale di dare un segnale anticipativo che combatterà il rialzo dei prezzi anche al costo di mandare l’economia dell’eurozona in recessione. I tecnocrati, cioè, fanno il loro dovere come scritto negli statuti, le conseguenze sistemiche non sono loro responsabilità . Ovviamente sanno benissimo che ciò può comportare un disastro.
Ecco perché Trichet ha fatto dichiarazioni che, diplomatiche nella forma, accusano i governi nella sostanza: se non fanno più crescita via liberalizzazione e meno sprechi il sistema andrà a rotoli, per colpa loro e non della burocrazia tecnica. Vero, ma va registrato con sconcerto quanto burocratismo, impotenza politica e rimpallo delle responsabilità stiano rendendo inefficace la governance europea mettendo in grave pericolo il futuro del sistema.



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