Da circa due mesi circolano rumors su una possibile fusione tra Alitalia e Meridiana. In realtà, come ci spiega in questa intervista Oliviero Baccelli, vicedirettore Certet (Centro di economia regionale dei trasporti e del turismo dell’Università Bocconi) e docente di Economia dei trasporti, è circa da dieci anni che i nomi delle due compagnie vengono accostati ed effettivamente esistono delle complementarietà interessanti tra di loro.



Professore, di Meridiana si parla forse troppo poco. Ci potrebbe spiegare quali sono le sue condizioni e le sue caratteristiche salienti?

Meridiana rimane un unicum nel panorama europeo, perché non è né una compagnia che appartiene alla categoria dei network carriers, quindi inserita pienamente in alleanze con logiche di hub and spoke con alcuni aeroporti specifici di riferimento, né una low cost. Ha inoltre una “doppia anima”, dato che è sia vettore di linea che di charter. Questo fa sì che non abbia praticamente benchmark similari a livello europeo. E questa è una situazione difficilmente invertibile.



Perché?

Perché mentre quasi tutte le compagnie aeree hanno preferito lasciare in una società a parte o cessare del tutto il business charter, Meridiana lo ha acquisito nel corso degli ultimi anni. Mentre tutte le altre compagnie si riorganizzavano in forme di partnership molto strette, Meridiana non lo ha fatto o lo ha fatto solo per alcune direttrici. Sicuramente c’è quindi un problema di strategia di fondo per questa compagnia, che rende molto difficile creare la massa critica necessaria a stare sul mercato senza problemi.

Un altro aspetto critico sono forse le sue tratte in maggioranza stagionali.



Sì, anche se nel corso degli anni ha cercato di diversificarsi, aggiungendo alcune roccaforti un po’ peculiari come Verona e Firenze, il core del suo business resta legato alle due Isole maggiori. Sicuramente c’è quindi questo problema, che si è cercato di mitigare (senza molto successo) con nuove direttrici internazionali. Un altro aspetto critico da non dimenticare riguarda la flotta, che conta alcuni aeromobili ad alto consumo e anche con poco valore di mercato, perché vecchi.

A febbraio si è cominciato a parlare di una fusione tra Meridiana e Alitalia. Secondo lei, è un’ipotesi realmente percorribile?

Questo è un leitmotive che va avanti da almeno dieci anni in Italia: il senso è sempre stato cercare di mettere insieme due zoppi per vedere se riescono a camminare. Questa, chiaramente, non è una logica strategica. Sicuramente Meridiana ha degli slot importanti e una clientela fedele su alcune direttrici storiche, per cui ha un suo valore e una sua complementarietà rispetto ad Alitalia. Però, non bisogna nemmeno dimenticare che gestire tre marchi non è semplice, soprattutto dopo essere riusciti ad affermare AirOne come soggetto low cost smart carrier. Tenendo conto che è da dieci anni che se ne parla, e che l’Autorità garante per il mercato ha già sottolineato aspetti positivi e negativi di una possibile alleanza, la logica vorrebbe che si partisse da accordi commerciali più stretti, magari valutandoli rotta per rotta.

In effetti, le due compagnie hanno ammesso di aver avviato dei colloqui per studiare possibili partnership. A suo giudizio, da dove dovrebbero partire?

In primis, dalle rotte storiche di Meridiana, che sono quelle verso Olbia e Cagliari: tenendo conto che Easyjet e Ryanair hanno decisamente allargato le loro direttrici verso la Sardegna, penso che l’Antitrust potrebbe accettare forme di partnership commerciale, che devono anche tenere conto dell’evoluzione degli oneri di servizio pubblico nei collegamenti con la Sardegna. Si potrebbe studiare qualcosa anche per Firenze, dove Meridiana ha una posizione interessante che potrebbe essere utile ad Alitalia, dato che chi vola da e per Firenze è abituato a pagare tariffe più alte in quanto sono poche le tipologie di aeromobili che possono utilizzare quello scalo ed esiste, quindi, una sorta di clientela fidelizzata. Tra le due compagnie ci sono anche complementarietà interessanti a Verona e in Sicilia.

Nel caso si arrivasse a una fusione o anche solo a un’alleanza tra Alitalia e Meridiana, chi tratterebbe più vantaggi tra le due compagnie?

Alitalia ultimamente ha almeno in parte risolto i suoi problemi, mentre quelli di Meridiana si sono aggravati. Sarebbe sicuramente quest’ultima a trarre beneficio da una minor concorrenza sulle proprie direttrici, che potrebbe aiutarla a stabilizzare i ricavi ultimamente erosi dalla crisi del mercato egiziano, dal clima economico generale e dell’innalzamento del prezzo petrolio: elementi che potrebbero anche lasciarla definitivamente a terra.

C’è la possibilità che Meridiana finisca, invece, nelle mire di una compagnia straniera?

Sarebbe sicuramente un’ipotesi interessante. Tuttavia, ci sono una serie di anomalie in Meridiana che la rendono difficilmente attraente per un vettore estero. Innanzitutto, come già ho detto prima, ha una componente charter abbastanza rilevante che non tutte le compagnie straniere vorrebbero gestire. In secondo luogo, la flotta non è particolarmente moderna, cosa che rende impraticabile una serie di possibili economie di scala dal punto di vista operativo, come la manutenzione e la gestione dei pezzi di ricambio congiunte. Infine, Air France-Klm, Lufthansa e British Airways-Iberia, che sarebbero i tre grossi poli aggreganti, hanno strategie diverse per l’Italia

Quali sono queste strategie?

Air France-Klm ha già una partnership molto forte con Alitalia. Lufthansa copre il mercato italiano anche con Air Dolomiti, Lufthansa Italia e German Wings, la low cost del gruppo. British Airways e Iberia, anche attraverso la low cost Vueling, hanno un certo ruolo sulle direttrici italiane di cui possono dirsi soddisfatte. In tutti e tre i casi, dobbiamo comunque ricordarci che questi grossi vettori ragionano in un’ottica di network, con prevalenza di traffici internazionali e attenzione specifica alla clientela business. Ragioni per cui le direttrici verso le Isole non interessano più di tanto, perché fortemente soggette a stagionalità e alla concorrenza delle low cost, che sono già molto aggressive sul mercato italiano. Certo, la quota di mercato di Meridiana è nel complesso interessante, ma se la si va a spacchettare si scopre che non è scevra da problematiche.

Meridiana possiede due slot sulla tratta Linate-Fiumicino, anche se non li utilizza. Quanto potrebbero contare per attirare eventuali “appetiti” di altre compagnie?

Tendenzialmente nulla, perché il problema su quella tratta è attivare servizi in grado di avere una frequenza nelle fasce orarie particolarmente utili per la clientela business, che si stanno spostando sempre più verso il mattino presto (intorno alle 7:00) e il tardo pomeriggio (fino alle 19:00). Gli slot di Meridiana sono invece in fasce orarie diverse.

Passando ad Alitalia, come vede la sua situazione in un anno in cui l’obiettivo dichiarato è quello di riuscire chiudere in pareggio?

Alitalia ha fatto dei piccoli aggiustamenti strategici – come l’estensione della rete intercontinentale verso il Brasile e la Cina e il rafforzamento di un’immagine precisa per il marchio AirOne – che nelle intenzioni del management mirano, soprattutto, a consolidare la propria posizione e a cercar di capire se il pricing medio può salire leggermente su scala italiana. Possiamo quindi dire che le aspettative sono ragionevoli, perché la strategia è cautamente ragionevole. Il prezzo del petrolio sarà comunque una variabile importante da tenere sotto controllo.

Con un recente decreto legge, il governo ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad acquistare partecipazioni in aziende di interesse nazionale. Secondo lei, quello del trasporto aereo potrebbe essere considerato un settore strategico?

Ormai i dati di fatto dicono di no. Mi spiego: il mercato intercontinentale è stato storicamente un presidio di vettori principalmente esteri più o meno su tutte le direttrici; sul mercato intra-Ue, da e per l’Italia, le low cost hanno una quota superiore al 50%; sul mercato domestico, al di là del fatto che su molte direttive importanti c’è alternativa dell’Alta velocità ferroviaria, le low cost hanno avuto la possibilità di incrementare ben oltre il 50% la loro quota di mercato, trovando sempre più spazio anche sulle direttrici più “sensibili” dal punto di vista sociale, come quelle verso le Isole e le zone periferiche. Considerare strategico il presidio di una quota di mercato ben al di sotto del 50% mi sembra difficile. Se si fosse ritenuto strategico questo settore, non si sarebbe lasciato così ampio spazio ai vettori stranieri.

 

(Lorenzo Torrisi)