Metamorfosi, involuzione o semplice evoluzione? La politica economica del Governo di centrodestra, incarnata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, segna in questi giorni un ulteriore cambiamento di impostazione rispetto a quella liberale e liberista delle origini. Non è una critica, né un plauso, ma semplicemente una constatazione se si guardano i fatti.
Tremonti ripete che con la crisi finanziaria e il rischio dei debiti sovrani le categorie analitiche e propositive del passato non reggono. Sta di fatto che in Italia da tempo si va delineando, attraverso atti e parole, un cambiamento radicale di matrice economica del centrodestra, ossia della coalizione tra Pdl e Lega che governa l’Italia.
Potrà sembrare secondario, ma la disponibilità del mondo delle coop – sia quelle bianche aderenti alla Confcooperative che quelle rosse iscritte a Legacoop – a partecipare a una cordata italiana per rilevare Parmalat e a sventare un controllo dei francesi di Lactalis, come auspicato dall’esecutivo, è uno dei segni inequivocabili di un differente approccio rispetto al ruolo e alle finalità delle imprese cooperative.
Si ricorderanno le parole di critica serrata che quasi tutte le componenti del centrodestra, anche quando si chiamava Casa delle libertà, riversavano sulle cooperative, accusate di avere una serie di agevolazioni fiscali che distorcevano il mercato e facevano concorrenza sleale alle imprese che hanno come scopo il profitto. Ebbene, ora il mondo coop, accogliendo implicitamente un invito dell’esecutivo, è destinato a essere il partner industriale attraverso la Granarolo della cordata italiana in cantiere che punta al controllo dell’azienda agroalimentare di Collecchio.
Non è il solo esempio di una sintonia inedita fra cooperative e Governo. Fin dall’inizio della crisi finanziaria, Tremonti ha indicato proprio nelle banche popolari e di credito cooperativo gli istituti più vicini al territorio e che non hanno fatto mancare i finanziamenti alle piccole imprese, rispetto ai colossi bancari. Non ci si è limitati alle parole: il progetto di Banca per il Sud, propugnato dal ministro dell’Economia, avrà un pilastro pubblico nelle Poste Italiane e uno privato proprio nelle Bcc e nelle banche popolari.
Non si può neppure considerare soltanto una mera novità cronachistica il rapporto collaborativo e sistemico con le fondazioni bancarie, uno dei bersagli del centrodestra primigenio per i vertici quasi tutti di estrazione della vecchia Dc, e spesso della sinistra Dc, e ora assurte a un ruolo fondamentale nella strategia tremontiana di rafforzare il sistema bancario italiano e di irrobustire la risposta dello Stato nella politica economica. La moral suasion del Tesoro e della Banca d’Italia verso gli enti creditizi riuniti nell’Acri presieduta da Giuseppe Guzzetti per partecipare agli aumenti di capitale necessari alle banche ha sortito effetti positivi.
Così come si stanno moltiplicando le iniziative che vedono la Cassa depositi e prestiti (controllata al 70% dal Tesoro e al 30% dalle fondazioni) protagonista di un’inedita politica economica e anche industriale del Paese: non soltanto attraverso la gestione delle partecipazioni nelle maggiori aziende pubbliche, ma con progetti come Fii (il Fondo per la patrimonializzazione delle piccole e medie imprese), l’housing sociale e adesso anche il fondo strategico per avere quote di aziende ritenute di rilievo nazionale sulla scorta dell’esperienza francese del Fondo Fsi.
Chiamatelo colbertismo tenue, o economia sociale di mercato di stampo tedesco, sta di fatto che il centrodestra – senza un reale dibattito nei partiti ma attraverso decreti e atti amministrativi – sta subendo una metamorfosi che può allarmare i più liberisti o soddisfare chi ha un’anima più sociale.
Il cambiamento di paradigma ideale e politico è evidente scorrendo i documenti di stabilità e sviluppo previsti dalla nuova sessione europea di bilancio e approvati mercoledì 13 aprile dal consiglio dei ministri, ovvero il Def (Documento economia e finanza) e il Pnr (Programma nazionale di riforma). L’enfasi di stampo reaganian-thatcheriana del centrodestra primigenio sui tagli fiscali come fattore propulsivo di crescita, su liberalizzazioni e privatizzazioni per rendere il sistema economico più aperto e competitivo hanno da tempo lasciato spazio a un pragmatismo tutto tremontiano.
È un pragmatismo che nel controllo dei conti pubblici assorbe e non contrasta i principi, incarnati in Italia dai governi Ciampi e Amato, e da ministri dell’Economia come Tommaso Padoa-Schioppa, secondo cui il rigore dei conti pubblici per uno Stato indebitato come l’Italia sono una priorità. Per questo nel Def e nel Pnr non c’è alcuna concessione all’idea che politiche economiche in deficit siano compatibili con lo stato delle finanze pubbliche. Per questo anche la riforma fiscale indicata nel Pnr deve avere una “neutralità finanziaria”: ovvero gli eventuali tagli tributari devono essere compensati da un aumento di altre entrate o da tagli alla spesa.
Nei documenti che il Governo invierà alla Commissione di Bruxelles dopo il vaglio del Parlamento non mancano riferimenti a politiche che aumentano la competitività del Paese e delle imprese. Ma non c’è alcuna concessione a impostazioni liberiste che pongono al centro il ruolo delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. È un riformismo graduale, pragmatico e quindi poco costruttivistico o rivoluzionario quello che connota sempre più la simbiosi tra Pdl e Lega che ha il suo ispiratore, collante e protagonista in Tremonti.