Nella mattinata di ieri, durante l’audizione alla Commissione Finanze della Camera dei deputati, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha detto che le imprese sono sottoposte a “un’oppressione fiscale che dobbiamo interrompere”, oltre che a controlli “eccessivi e assolutamente incredibili”. Parole che troverebbero il consenso di qualsiasi imprenditore e che arrivano il giorno dopo le critiche di Giampaolo Galli, Direttore generale di Confindustria, al Programma nazionale di riforma curato da via XX Settembre. Non bisogna però pensare che i due eventi siano collegati, ci spiega il Vicedirettore de Il Corriere della Sera, Dario Di Vico: «Tremonti ha detto una cosa largamente denunciata dalle associazioni di categoria, forse più da Confartigianato e Cna che da Confindustria. Ed è per questo che ritengo che non ci sia alcun legame con l’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato di Giampaolo Galli, direttore generale di Viale dell’Astronomia, di martedì».



C’è una ragione particolare per le dichiarazioni del ministro?

Più che chiedersi per quale motivo Tremonti abbia fatto queste affermazioni, e quindi ragionare in termini dietrologici (cosa che non mi interessa), penso che sia più importante e serio riconoscere come positivo il fatto che il ministro dell’Economia, a cui fa capo anche l’Agenzia delle Entrate, abbia pronunciato queste parole. Ora, il punto è come superare questa situazione, altrimenti c’è il rischio che queste affermazioni diventino fini a se stesse.



Cosa bisogna fare allora?

Per cambiare la situazione, secondo me, la strada maestra è la riforma fiscale, di cui va accelerato il processo, soprattutto perché non gli è mai stato dato un timing. Al di là delle ipotesi e delle modalità concrete con cui si svilupperà, occorre rendere trasparenti i lavori delle Commissioni incaricate di questo processo, oltre a definire in maniera chiara la tempistica e i principali obiettivi che dovrà avere. In caso contrario, possiamo anche tornare alla dietrologia sulle parole di Tremonti.

In questi ultimi giorni si parla molto del Programma nazionale di riforma (Pnr), criticato da Confindustria. Lei cosa ne pensa?



Il Pnr è una metodologia europea che è stata introdotta quest’anno. In Italia non sappiamo bene come usarlo, quindi l’esordio non è stato all’altezza delle ambizioni. Diciamo che è stata una sorta di prova generale. L’abbiamo usato la prima volta in maniera “riduttiva”, però la seconda volta magari miglioreremo. È importante, però, che l’Europa ci vincoli ogni anno a esplicitare il programma di riforma.

Le imprese, si dice da più parti, hanno bisogno di meno fisco e meno burocrazia. Secondo lei, occorre dell’altro?

Hanno bisogno che in qualche maniera siano chiare le formule per l’aggregazione: va esplicitata la politica per le aggregazioni di imprese, che ancora è troppo timida. Secondo me, dovrebbe essere anche questo un obiettivo importante in un programma di riforme.

Ben venga allora l’agevolazione fiscale introdotta dal Governo sui contratti di rete.

Certo, ma più in generale andrebbero riviste le condizioni delle aggregazioni. Le reti di imprese sono lo strumento più facile e allo stesso tempo più conosciuto, per ora. Però, vanno studiate tante altre ipotesi. Per esempio, anche il sistema bancario potrebbe cominciare a fare dei ragionamenti su questo tema.

Resta il fatto che bisogna aumentare la crescita. Ieri, il Presidente dell’Istat ha spiegato che quella del 2011 non sarà sufficiente per riassorbire abbastanza disoccupati e consolidare i conti pubblici.

Al momento si prevede una crescita del Pil intorno all’1,1% per quest’anno e Draghi ha detto che bisogna arrivare almeno al 2% per non avere problemi con i conti pubblici. Nessuno ha però chiaro come poter creare lo 0,9% che manca. Si tratta di arrivare quasi a raddoppiare la crescita e non ho capito che ricetta ha in mente il ministro Tremonti. Al momento, poi, non ce n’è nessuna che si affermi in modo particolare: occorre quindi continuare a cercarne.

 

(Lorenzo Torrisi)