In queste settimane i lettori vedono ripetersi nelle cronache che si deve conciliare il rigore con più sviluppo. Cercherò di chiarire tale concetto e di mostrare come applicarlo.
La priorità del rigore è determinata dal fatto che il mercato ha meno fiducia nella “ripagabilità” dei debiti delle euronazioni gonfiati a seguito della crisi finanziaria globale. Un debito pubblico viene continuamente rifinanziato. Significa che uno Stato, per ripagare i titoli giunti a maturazione, ne emette altri. Se il mercato non li compra, o se per farlo pretende un premio troppo alto, costringe uno Stato a dichiarare l’insolvenza parziale o totale. Catastrofe. Questo è il problema corrente di Grecia, Portogallo ed Irlanda per risolvere il quale è stato creato il Fondo europeo con la missione di comprare a prezzi “politici” i titoli di debito meno credibili.
L’Italia è più solida, ma è vulnerabile all’effetto contagio di eventuali insolvenze altrui per l’enormità del suo debito, quasi il 120% del Pil. Per rassicurare il mercato, quindi, l’Italia è costretta a dimostrare due cose: (a) che non aumenterà il debito arrivando il prima possibile alla condizione di pareggio nel bilancio statale; (b) che ne ridurrà ogni anno una parte. La prima cosa impone tagli alla spesa pubblica che equilibrino entrate ed uscite. La seconda definisce la priorità della crescita in quanto se il Pil non sale non vi saranno sufficienti entrate (gettito).
In particolare, il taglio della spesa riduce il denaro nel sistema producendo un effetto deflazionistico, cioè di impoverimento. È evidente che per evitarlo bisogna stimolare il mercato affinché compensi questa perdita di ricchezza con guadagni da altre parti. Il governo sta tentando di farlo, incalzato dalle categorie produttive che stanno sentendo in modo sempre più pesante l’impoverimento stesso. Ma l’economia italiana non riesce a crescere a sufficienza. Nel 2011 il Pil salirà di circa l’1% mentre, per bilanciare i tagli di bilancio ora previsti, dovrebbe almeno arrivare oltre al 2%.



Come farla crescere di più? Molti analisti, notando che la bassa crescita affligge l’Italia fin dai primi anni ’90, ritengono che ci voglia un cambio di modello, in particolare da uno di tipo socialista ad uno più liberalizzato che stimoli la creazione della ricchezza. Io sono più che d’accordo, ma ciò implica trasferire gran parte della popolazione dal mercato protetto ad uno competitivo. La gente non è pronta a farlo e voterebbe contro. Tale considerazione porta a chiedersi: migliorando che cosa  riusciremo a crescere di più, ottenendo la possibilità di cambiare il modello con tempi più lunghi e modi più dolci?
La ricetta per più crescita è semplice: meno tasse, meno costi sistemici e meno burocrazia che ostacola le attività produttive. Ma sarà possibile? Certamente, in particolare due cose: (1) sostituire i trasferimenti di denari pubblici, circa 35-40 miliardi alle imprese (incentivi, aiuti diretti, ecc.) con una detassazione su tutte le attività produttive; (b) ridurre gli apparati pubblici inutili e la loro spesa improduttiva, in particolare sul piano locale, per dare più spazio di bilancio alla detassazione ed al requisito di rigore. Tale azione porterebbe la crescita oltre il 2% e non comporterebbe il licenziamento di alcuno, anzi, facendo soffrire solo una minoranza di aziende e persone nel sistema politico che vivono con modi parassitari. Sarà difficile farlo per le resistenze dei politici e loro clienti, ma i lettori sappiano che questa è la soluzione più semplice ed indolore per i più.



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