È chiaro che le dimissioni di Cesare Geronzi rappresentano una svolta. Il problema è capire verso dove. L’inizio della fine della presidenza Geronzi è stata la famosa intervista rilasciata al Financial Times a febbraio, nella quale il presidente, parlando da amministratore delegato e dando indicazioni contrarie da quelle esposte dal vero ad Giovanni Perissinotto agli investitori, indicava le tre priorità del gruppo: America Latina, banche italiane e Ponte sullo Stretto. Tre priorità mai discusse in Consiglio d’amministrazione.
Con l’uscita di Geronzi è prevedibile che di America Latina non si parlerà più per un po’ di tempo (probabilmente l’ex presidente aveva in mente potenziali partner, ma non lo sapremo mai), non ci sarà alcuna partecipazione di Generali agli aumenti di capitale annunciati (e non) degli istituti nazionali, e men che meno ci sarà una partecipazione “di sistema” all’impresa del ponte sullo stretto che, parola dell’amministratore delegato Pietro Ciucci, sarà aperto al traffico entro il 2017. Più che una svolta questa sembra una restaurazione o, per non dare la patente di “rivoluzionario” a Cesare Geronzi che oggettivamente non gli si attaglia, un “back to basics” dopo una stagione contrassegnata da tensioni e incomprensioni al vertice delle Generali, la terza compagnia assicurativa europea.
La vera rivoluzione, quindi, non sarà in Generali, ma fuori e farà perno su Mediobanca, diventata ora più che mai una preda appetibile. L’idea di Geronzi, che di Mediobanca è stato presidente, era quella di mettere al servizio della crescita di Mediobanca la liquidità del gruppo assicurativo; Fabrizio Palenzona, vicepresidente del gruppo Unicredit, accarezza da sempre l’idea di fare entrare nell’orbita dell’istituto bancario Piazzetta Cuccia per risolverle il problema di reperimento di risorse liquide.
Con l’uscita di Geronzi e il ritiro delle Generali verso il suo core business, le polizze, il progetto di Palenzona non trova più ostacoli e, in occasione della ridefinizione del patto di sindacato di Mediobanca (le cui eventuali disdette dovranno essere date entro il 30 settembre), si vedrà se riuscirà a camminare. E, in ogni caso, sarà Palenzona a raccogliere l’eredità di Geronzi come “banchiere di sistema”, pronto anche a finanziare il ponte sullo stretto sotto la regìa del vero e indiscusso dominus del sistema finanziario italiano, Giulio Tremonti.
Se, poi, si vogliono indagare i motivi che hanno portato 10 consiglieri delle Generali a compiere il “colpo di Stato”, occorre ricordare che da tempo Cesare Geronzi, in Generali, non rappresentava altri che Cesare Geronzi. Universalmente considerato il banchiere più berlusconiano d’Italia, in realtà non lo è più da tempo. E c’è un episodio che ha raffreddato irrimediabilmente i suoi rapporti con il mondo del centrodestra ed è stata la nomina di Ferruccio De Bortoli alla guida de Il Corriere della Sera nell’aprile del 2009.
Una nomina invisa al mondo che fa riferimento al Pdl che premeva per un altro nome, quello di Carlo Rossella, sostenuto, guarda caso, proprio da Della Valle, cioè il consigliere d’amministrazione che, con i suoi attacchi, anche personali, a Geronzi, ha innescato la miccia della deflagrazione di ieri. La nomina di De Bortoli venne gestita da Geronzi, allora presidente di Mediobanca, e da Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa.
Dopo lo sgarbo al mondo del centrodestra e dopo essersi inimicato (per usare un eufemismo) tutto il management di Mediobanca, i cui poteri aveva cercato di limitare avocandoli a sé, al primo passo falso è stato fatto cadere. E non sarebbe sbagliato ipotizzare che il nuovo presidente delle assicurazioni di Trieste possa provenire proprio dal mondo di Piazzetta Cuccia.
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