Pietà è morta! Come un avvoltoio, l’agenzia di rating Standard & Poor’s ieri ha tagliato ulteriormente il giudizio a lungo termine sul debito della Grecia a B dal precedente BB-, aggiungendo che il giudizio potrebbe essere ulteriormente rivisto al ribasso. Il giudizio sul debito a breve è stato invece abbassato a C dal precedente B.
L’agenzia precisava come l’azione rifletta le attese di uno slittamento delle scadenze del debito di 80 miliardi di euro raccolto dalla Commissione europea e parla a chiare lettere della necessità per Atene di un haircut del 50% sul debito affinché il Paese non affondi (complimenti per la lungimiranza di analisi, davvero!). Dura e per una volta giustificata la prima reazione del governo greco che ha definito come «senza ragioni» l’ulteriore riduzione del rating, poiché il declassamento «arriva in un momento in cui non ci sono stati nuovi sviluppi negativi o decisioni».
Secondo il ministero delle Finanze di Atene, le decisioni «dovrebbero essere basate su dati oggettivi, su annunci dei politici e su valutazioni realistiche delle condizioni dell’economia e non su rumors di mercato e articoli di stampa». E a questo riguardo, Atene ha deciso di affilare le armi contro il settimanale tedesco Der Spiegel, reo di aver diffuso la notizia («semplicemente falsa», per Atene) secondo cui la Grecia sarebbe pronta ad abbandonare l’Ue e l’euro per tornare alla dracma svalutata del 30% al fine di uscire dall’impasse provocata dall’ingente debito pubblico.
Secondo fonti del ministero della Giustizia greco, le autorità avrebbero aperto un’inchiesta contro la testata: l’accusa è la pubblicazione di «notizie false» che potrebbero creare disordini sui mercati. Intanto, però, dalla Germania rilanciano: anche il tabloid tedesco Bild si è schierato a favore dell’abbandono dell’euro da parte della Grecia con un editoriale dal titolo “Bye, bye, Grecia”. Atene, scrive in un editoriale il giornale più letto della Germania, «non riesce a rimettere in piedi la propria economia, non ripagherà mai il suo enorme debito e questo aumenterà la pressione sui propri creditori, incluse le banche tedesche, per rinunciare a una parte dei debiti. L’euro è indispensabile per l’Europa, ma Eurolandia non dipende dalla Grecia. Se la Grecia non vuole più l’euro, non si dovrebbe costringerla a rimanere».
Ma che bravi questi tedeschi, davvero dei campioni di liberismo e meritocrazia! Peccato che dietro alla sparata dello Spiegel, che Atene fa bene a perseguire per insider trading e turbativa dei mercati, ci sia ben altro. Cosa? Provo a spiegarvelo. Chi ha innescato l’ennesima bagarre sulla Grecia, spedendo l’euro in area 1,43 sul dollaro e facendo temere per la tenuta della Borsa ellenica e dei titoli finanziari di quegli istituti esposti presso Atene e il suo debito?
Qualcuno sta gettando la croce sull’esponente dei liberali della Fdp, Frank Schaeffler, il quale sabato scorso ha dichiarato alla Reuters che «se la Grecia vuole abbandonare l’eurozona, questa è una sua decisione autonoma e la Germania dovrebbe accompagnarla costruttivamente». Un po’ diverso da quanto rilanciato il giorno prima dal settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui sarebbe la Grecia a volersene andare dall’Ue e tornare alla vecchia dracma. Per ora due sole cose sono certe in questa vicenda. Primo, la sparata dello Spiegel ha fatto scendere l’euro/dollaro in area 1,43, facendo la gioia di chi era corto sulla divisa europea (e vi assicuro che, da Goldman Sachs in giù, in tanti hanno fatto soldi con questo tonfo) e facendo intravedere una spirale ribassista della divisa europea dopo il rally garantitogli dal tonfo del biglietto verde (e un euro meno forte è una manna per l’export, quindi per la Germania). Secondo, nessuno ha intenzione di lasciare l’eurozona, tantomeno Atene, ma l’Ue ha tutto da guadagnare da questa guerra di dichiarazioni innescata dalla sparata dello Spiegel e dall’escalation che seguirà fino a quando la ristrutturazione del debito greco non sarà inevitabile, opzione che non si avvererà prima di un anno a partire da oggi, stante la disponibilità di liquidi di Atene grazie al bailout e il fatto che nessuno spingerà la nazione verso l’inevitabile fino a quando ci sarà soltanto un euro in condivisione nelle casse, per paura di quanto potrà accadere a Deutsche Bank e al domino finanziario europeo.
Quali alternative, quindi? Sul piatto, dopo il vertice d’emergenza tenutosi nel fine settimana, ci sono queste opzioni: accelerazione del piano di privatizzazioni greche per ottenere un incasso di almeno 15 miliardi entro il 2012, creazione di una struttura ad hoc soggetta però a controllo esterno per vincolare i proventi delle dismissioni e usarli come collaterale a garanzia del rimborso dei prestiti concessi dai paesi dell’Eurozona, ulteriore allungamento delle scadenze e abbattimento degli interessi sul pacchetto di aiuti Ue-Fmi. In altre parole, per la prima volta dai costi di riparazione della guerra di Weimar, una nazione potrebbe essere presto costretta a collateralizzare emissioni di debito superprioritarie verso creditori esteri, così come i proventi delle privatizzazioni.
Insomma, l’Ue ha detto chiaro e tondo alla Grecia, pur usando un linguaggio dotto e arzigogolato, che deve prepararsi a una “debtor-in-possession loan issuance”, ovvero l’opzione che si applica a un’azienda che si mantiene in operatività durante una procedura di Chapter 11 per bancarotta. Un “debtor in possession”, generalmente, tenta di completare il suo piano di riorganizzazione, scaricando certi debiti e intervenendo su ogni debolezza strutturale per tornare alla profittabilità. Con questa mossa, Atene dovrà collateralizzare il frutto delle sue privatizzazioni come garanzia agli aiuti: indi, se la Grecia andrà in default – e lo farà – il Partenone diventerà di proprietà tedesca, Santorini andrà al Lussemburgo, Mykonos alla Francia, il Pireo al Fondo monetario e tutto il resto magari ai cinesi, già attivissimi nell’acquisizione di assets portuali greci e pronti a gettarsi su quel collaterale in vendita.
Detta così fa ridere, ma è esemplificativo di quanto accadrà: sul tavolo, poi, ci sono assets davvero appetibili come l’azienda del gas Depa e la Hellenic Defence Systems. In particolare, la Depa “vanta” una complicata struttura proprietaria, con l’Hellenic Petroleum che detiene il 35% e la utility energetica statale Ppc il 30%: insomma, un potenziale cavallo di Troia per uno shopping selvaggio di assets strategici, stante l’opzione di collateralizzazione dei proventi delle privatizzazioni. La mossa Ue, per quanto irrituale, ha una ratio. Soprattutto politica, al fine di vincere le resistenze di paesi come la Finlandia, contrarissimi ai salvataggi di stato e alla loro estensione. Obbligando la Grecia a usare i suoi assets come collaterale a garanzia, elettori e contribuenti intravvederanno un profitto a fronte dell’estensione del prestito da 110 miliardi di euro ricevuto da Atene lo scorso anno.
Servirà? Per ora, tutto il can can innescato dallo Spiegel su volontà politica tedesca, ha solo permesso profitti a chi aveva scommesso short contro l’euro, fornito l’alibi per un’accelerazione delle richieste europee verso Atene a fronte della prospettiva di ristrutturazione del debito – e quindi di dilazioni dei rimborsi e pesanti tagli sui rendimenti dei bonds ellenici che stanno nella pancia di banche tedesche e francesi – e posto i prodromi di un riallineamento dell’euro sui mercati valutari a fronte di tassi di interesse che la Bce in realtà non vuole o non può alzare fino all’autunno.
Il problema, però, è uno solo: occorre riconoscere che questa crisi non è sovrana ma bancaria, visto che il rischio più grande non è quello della ristrutturazione del debito degli Stati ma delle esposizioni bancarie dell’Europa “core” verso i paesi a rischio. Finché non si puntelleranno le banche tedesche e francesi, non si farà che rimandare e far incancrenire il problema. Il problema è che, come ci dimostra a vicenda dello Spiegel, a qualcuno queste perdite di tempo e gli allarmi a orologeria fanno molto comodo.
Guarda caso, ieri l’euro/dollaro viaggiava in area 1,42, una manna per chi aveva scommesso al ribasso sulla valuta europea, soprattutto le banche d’affari Usa che utilizzano Standard&Poor’s (guardate chi c’è nel board dell’agenzia di rating e capirete da soli l’enorme conflitto d’interessi in atto) per le loro azioni di aggiotaggio sul monetario. Altro che le panzane di Spiegel e Bild, l’Europa è sotto attacco. E Berlino si è venduta al nemico.