La Grecia è ancora in difficoltà e l’Europa si prepara a intervenire un’altra volta in suo soccorso. Una delegazione di Ue, Bce e Fmi è attesa ad Atene per valutare la situazione del Paese e le soluzioni da adottare. Le opzioni di cui si sente discutere in questi giorni sono tre: nuovi aiuti dopo quelli stanziati un anno fa; una ristrutturazione del debito; l’uscita della Grecia dall’euro. Tornano quindi le fibrillazioni sul futuro della moneta unica europea. Anche se, ci spiega l’economista ed ex ministro delle Finanze, Francesco Forte, «il problema della Grecia è molto particolare, e su di esso si sono concentrati eccessivi ragionamenti, credo in gran parte di carattere strumentale, riguardanti la solidità dell’euro».



Resta il fatto che dopo un anno dal “salvataggio” di Atene, ancora si dipingono scenari cupi per l’euro.

L’anno scorso l’aiuto alla Grecia è stato gestito dal governo Papandreou con molta ipocrisia sin dall’inizio. Gli aiuti di Ue e Fmi, quindi, non sono riusciti a sortire grandi effetti. Oltretutto, non era facile risolvere il problema, dato che la Grecia ha una scarsa possibilità di crescere, il suo sistema bancario è in gran parte internazionalizzato, la sua rete imprenditoriale e industriale è estremamente frazionata, la sua struttura fiscale è debole e la sua spesa pubblica permissiva è stata solo in parte aggiustata.



Cosa bisognava fare allora?

Sarebbe stato saggio fin dall’inizio imporre una ristrutturazione del debito, accompagnata dagli aiuti. Ma non è stato possibile farlo, perché le banche francesi e tedesche possiedono titoli del debito greco e non sarebbero state contente di perderci, dopo aver guadagnato dai loro alti rendimenti dovuti all’alto livello di rischio Paese. Una ristrutturazione del debito comporta infatti un prolungamento della scadenza dei debiti, i quali rimangono al loro valore nominale.

Non si potrebbe procedere ora alla ristrutturazione del debito?

Sarebbe la strada più logica. Ma oltre alle banche di cui sopra, anche la Bce ha comprato titoli di Stato e delle banche di Atene e non ha intenzione di rimetterci. Questo “fronte” vorrebbe quindi che fosse ancora una volta il contribuente europeo, attraverso gli aiuti dell’Ue, a farsi carico degli oneri per garantire il debito pubblico greco, che continua ad avere alti rendimenti per gli investitori (ovvero le banche stesse).



Nel frattempo ci sono state voci di una possibile uscita della Grecia dall’euro.

La Grecia furbescamente minaccia di uscire dall’euro e subito dopo lo nega. Si tratta di una “minaccia” in quanto Atene fa capire che potrebbe tornare alla dracma, che sarebbe svalutata almeno del 30%: il che comporterebbe un’identica perdita di valore di tutto il debito greco, cosa che non converrebbe ai creditori. A quel punto sarebbe più opportuna la ristrutturazione del debito, già sperimentata con successo in America Latina.

Le indiscrezioni su un’uscita della Grecia dall’euro sono però arrivate dalla stampa tedesca. È un caso?

Se i giornalisti hanno sentito queste voci, è giusto che le abbiano riportate. Tuttavia, non bisogna trascurare il fatto che in Germania è in corso uno “scontro” tra due fronti: da una parte le banche, compresa la Bce, che, come detto prima, non vorrebbero nessuna ristrutturazione per non perdere i soldi investiti; dall’altra il governo, che a nome dei contribuenti non vorrebbe svenarsi per un nuovo salvataggio che potrebbe arrivare fino a 90 miliardi di euro, che servirebbero a mettere in sicurezza la Grecia fino al 2013.

Secondo lei, come si concluderà questo scontro?

È probabile che si arrivi a un compromesso tra le due linee. In ogni caso, non credo sia utile che i contribuenti continuino a garantire un debito che ha dei tassi di interesse elevati. Non mi sembra un grande capitalismo questo.

In che senso?

Non riesco a capire perché se l’intervento di Ue e Fmi rende un debito praticamente sicuro, i tassi che il debitore deve pagare devono continuare a essere alti. In termini di economia elementare, ci dovrebbe essere la “conversione della rendita”: quando la rendita pubblica diventa meno rischiosa, si può emettere un nuovo titolo, che ha scadenza più lunga e rendimento minore. Ora, invece, si vuole il guadagno del capitale a spese del contribuente: questa è l’economia del libero mercato che si legge sulla grande stampa internazionale che si definisce “liberale”.

È quindi da escludere un’uscita della Grecia dall’euro?

Sì, se non altro per ragioni politiche. Tutti sanno che se la Grecia uscisse dall’euro ci sarebbe un grave danno per i creditori: una cosa che nessuno dei due “fronti” tedeschi vorrebbe. Sui mercati internazionali, nel frattempo, si agita lo spettro della debolezza dell’euro: un’affermazione grottesca, dato che l’euro varia tra l’1,40 e l’1,50 nel cambio con il dollaro. C’è quindi un grande inganno, perché il mercato non dice che l’euro cade, ma casomai che sale.

Questo cambio non è dovuto al fatto che gli Usa versano in una situazione più critica dell’Europa?

Gli Usa hanno un dollaro che nessuno vuole più. Quindi tutta la finanza internazionale che ruota intorno al dollaro si accanisce per screditare l’euro, alimentando le voci di un’uscita della Grecia. Del resto, l’America ha il problema di sistemare il deficit pubblico arrivato al 10% del Pil. E gli Usa non hanno, con Obama, nessuna voglia e possibilità di fare una politica di restrizione.

Un euro così forte può diventare un problema per paesi orientati all’export come Germania e Italia?

No. L’economia europea è basata sulla lavorazione di prodotti importati, quindi l’euro forte ci aiuta a pagare meno le materie prime. Inoltre, ci permette di contrastare il pericolo di inflazione derivante dall’alta circolazione di dollari. Non bisogna poi dimenticare che la domanda di beni europei è sostanzialmente abbastanza rigida.

Recentemente si era anche detto che potesse essere la Germania a voler uscire dall’euro. Cosa ne pensa?

Questo mi sembra inverosimile, visti i benefici che la Germania trae dall’euro. Se poi questa ipotesi si realizzasse, vorrebbe dire che l’euro non esisterebbe più.

Dopo le crisi di Grecia, Irlanda e Portogallo, fino a pochi mesi fa si ipotizzava il contagio della Spagna. Questo pericolo non esiste più?

Il contagio è stato fermato e se le operazioni di rientro dal deficit dei paesi più importanti dell’Eurozona andranno avanti, il rischio andrà sempre più calando. Da quanto visto finora, c’è però un insegnamento che non bisogna trascurare.

Quale?

Dato che esiste una grande offensiva internazionale contro l’euro, che si sta profilando come l’unica moneta seria del mondo, la politica di rigore dell’Italia si impone quanto mai, così come l’importanza di una stabilità di governo. Non dobbiamo infatti dimenticare che in Grecia, Irlanda e Portogallo la discontinuità politica è stata un fattore rilevante della crisi. In Italia, si è provato a determinarla e se si dovesse realizzare l’euro potrebbe sfaldarsi, perché una crisi dell’Italia sarebbe drammatica per la moneta unica.

L’Italia rischia ancora di fallire?

No. Un Paese fallisce se non ha la possibilità di pagare il servizio del debito. L’Italia non ha particolari problemi a farlo da almeno trent’anni. Se in più c’è una politica di bilancio che mano mano ci porta verso il pareggio, non vedo dove sia il problema.

 

(Lorenzo Torrisi)

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