Caro direttore,
il Governo ha deciso di prendere una pausa di riflessione sul nucleare a seguito dei fatti della centrale di Fukushima in Giappone. Questa pausa, serve anche a “sminare” il referendum di giugno, che rischiava di ripetere l’errore del 1987, quando si decise di far uscire dal nucleare il nostro Paese sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl. Quello che occorre è che si tratti di una vera pausa di riflessione, ovvero che si utilizzi questo tempo per riflettere e per comunicare, senza pregiudizi ideologici, le opportunità e i rischi di questa scelta.
Da questo punto di vista, il fatto che non si sia abolita l’Agenzia per la sicurezza del nucleare – che ha tra i suoi compiti anche l’informazione alla popolazione – è senz’altro un fatto positivo sotto diversi punti di vista.
Per affrontare il problema, occorre partire da una domanda di fondo: vogliamo o no continuare a essere il secondo Paese manifatturiero d’Europa? Se vogliamo continuare a essere un’economia che ha nel sistema manifatturiero un punto di forza decisivo, la questione energetica è centrale. Basta guardare la nostra bilancia dei pagamenti, che rimane passiva proprio a causa della voce relativa all’acquisto di energia dall’estero.
Ora, se è vero che per quanto riguarda gas e petrolio siamo in buona parte costretti a dipendere dall’estero (anche a causa di lentezze burocratiche che ci permettono di sfruttare solo al 15% il petrolio della Basilicata e degli egoismi locali che non consentono di estrarre il gas nell’Alto Adriatico, dove ci sono 100 miliardi di metri cubi di gas), sulla produzione di energia elettrica potremmo raggiungere un certo grado di autosufficienza. Ma per raggiungerla c’è solo una strada, quella della produzione di energia elettrica da fonte nucleare. Oggi noi importiamo energia da questa fonte dalla Francia. Quella che produciamo noi in buona parte deriva da gas e carbone; per le fonti rinnovabili, l’unico contributo “serio” deriva dalle centrali idroelettriche.
Quanto al nucleare, vi sono due aspetti problematici: la questione della sicurezza e il problema delle scorie. Quanto alla sicurezza, le centrali che si vorrebbero costruire in Italia sono di terza generazione, e nulla hanno a che fare con quelle di Chernobyl o di Fukushima (che erano di prima generazione). Basta andare a Flamanville, in Normandia, dove la joint venture Edf-Enel sta costruendo il nuovo reattore Epr, o nei siti della costruzione del reattore Ap1000 della Westinghouse (al 70% si tratta di tecnologia italiana), per verificare quali e quanti livelli di sicurezza si stiano predisponendo per ridurre i rischi.
Va anche detto che la localizzazione delle centrali non dipende da scelte politiche, ma da rigidi criteri tecnici, a cominciare dall’assenza di sismicità (da questo punto di vista, la localizzazione ideale sarebbe la Sardegna). In ogni caso, margini di rischio di sicurezza ci sono per qualunque impianto: non bisogna mai dimenticare che uno degli incidenti più rilevanti in assoluto relativi a una centrale di produzione di energia elettrica è stato il Vajont, che ha causato la morte di 1.700 persone.
Quanto al problema delle scorie, occorre considerare due aspetti. Il primo è che la ricerca sta procedendo alla fattibilità dei reattori di cosiddetta quarta generazione, che utilizzeranno le scorie stesse come combustibile, chiudendo così il ciclo. Oggi, il 60% delle scorie viene riprocessato e riutilizzato, mentre quello che rimane viene vetrificato e collocato in siti sicuri, ma accessibili, in vista del loro utilizzo futuro.
Nel dibattito su questo tema, tuttavia, si finge però di non vedere una questione essenziale: ogni giorno noi produciamo scorie nucleari, e non solo per gli impianti nucleari che non possiamo spegnere, ma soprattutto da apparecchi sanitari. Si tratta di scorie cosiddette di secondo livello, ovvero con minore carica e di durata inferiore, ma comunque assai lunga. Per dare una dimensione a questo problema, basti dire che le scorie da sanità che tratta l’Autorità per la sicurezza nucleare francese è circa il 10% del totale, in un Paese in cui sono attive 58 centrali nucleari!
Se siamo contro le scorie, allora dobbiamo decidere anche di sospendere tutte quelle attività sanitarie che ci consentono di non morire subito a fronte di un eventualissimo e remoto rischio futuro, come raggi x, risonanza magnetica, tac, pet, ecc.
Si tratta di elementi sui quali riflettere per decidere, non sulla scorta emotiva, ma a ragion veduta. Questa pausa di riflessione ha senso allora se è un tempo di informazione sui dati reali, anche sapendo che ci sono interessi forti che spingono in altre direzioni, che non sono certo risolutive e che hanno il vizio antieconomico di gravare pesantemente sul costo delle bollette delle famiglie e delle imprese. Ha senso anche se è l’occasione di rivedere il sistema dei benefici economici e sociali previsti per la costruzione e l’esercizio delle centrali, spostandoli dagli enti locali alle persone e alle imprese. Ma soprattutto se, per una volta almeno su questo, le forze politiche e sociali responsabili mettono da parte il criterio del consenso a breve e pensano a un “Progetto Paese” che possa durare nel tempo e dare, nel tempo, una prospettiva certa alla nostra economia.