C’è consenso in Italia sul fatto che rigore e sviluppo siano ambedue priorità della politica economica. Ma sul come fare più crescita nel mercato interno c’è vaghezza. Pertanto sui giornali dobbiamo invocare precisazioni, tentandole.

Prendendo spunto da un recente articolo di Mario Monti possiamo tutti rilevare che il ministro dell’Economia dimostra un’adeguata capacità di contenere la spesa pubblica, ma non quella di stimolare più crescita. Secondo me, questo non è un problema solo di capacità o ideologia statalista di Tremonti.



Il problema lo vedo a due altri livelli: (a) il resto del governo e i partiti, per lo più, tendono a vedere la stimolazione come erogazione di più soldi in deficit, mentre il deficit stesso è vietato dalla priorità del rigore e ciò crea uno stallo nell’azione; (b) il ministero dell’Economia concentra troppe funzioni – entrate, tesoro, bilancio – tra cui la supervisione di fatto delle scelte di altri ministeri che hanno rilevanza per la politica economica. Ma tale supervisione viene attuata regolando il portafoglio di un ministero e non intervenendo sulle sue scelte attive.



Per spiegarmi: Tremonti, in base alla priorità del rigore, taglia tot al ministero x. Ma il resto della spesa rimane deciso dal ministro competente in modi non vincolati a un piano di politica economica complessiva. Ciò favorisce una situazione assurda: ci sono meno soldi pubblici, ma i restanti continuano a essere spesi male e in modo non coordinato. Tale difetto di architettura, poi, è complicato dal fatto che la politica vede la stimolazione economica come più spesa pubblica, appunto impossibile.

Per tale motivo, la spesa residua resta improduttiva e il taglio della spesa stessa produce una deflazione del mercato interno (meno consumi e investimenti, quindi ripresa lenta dell’occupazione) in quanto non è bilanciata da una reflazione. Le soluzioni sono semplici. La prima è chiarire che la stimolazione della crescita non può avvenire aumentando il deficit di bilancio, ma convertendo parte della spesa in riduzione delle tasse, l’unica azione veramente stimolativa in quanto lascia più capitale al mercato.



Si può fare? Facilmente, anche se gradualmente. Circa 30 miliardi di trasferimenti dallo Stato e Regioni alle imprese possono essere convertiti in detassazione permanente per tutti. Aumentando tale cifra fino a 60-70 limando la spesa inutile, cioè gli apparati sia nazionali sia locali. Un tale volume di riduzione delle tasse porterebbe certamente più consumi e investimenti, pur in una progressione di due o tre anni.

Chi lo può fare? Un nuovo ministro per la politica economica separato dalla funzione di tesoro, bilancio ed entrate. Per esempio, Tremonti, ri-denominato ministro del Tesoro e delle finanze definisce i saldi di bilancio in base alla priorità del rigore. Il nuovo ministro della politica economica coordina la riforma della spesa, per esempio come qui detta, entro tali saldi. Così semplice? In teoria sì, in pratica il sistema politico – nazionale e locale – non vuole rinunciare agli apparati riempiti da fedeli e clienti e al potere di erogare denaro pubblico a pinco o pallo senza controllo di produttività del capitale.

Per questo quanto qui abbozzato non verrà preso in considerazione, ma i riformatori almeno sappiano dove sta il punto di blocco che ci sta impoverendo. Lo sappia anche Berlusconi, che vedrei bene come superministro per la politica economica con potere diretto di riallocazione della spesa pubblica e di indirizzo della politica fiscale in dialogo con un Tremonti che resta guardiano dei saldi, ma niente di più.

 

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