Il governo italiano sta subendo una pressione esterna – indiretta dal mercato e diretta dalla Ue – per portare il prima possibile il bilancio statale alla condizione di pareggio. Ciò serve a rendere credibile che l’Italia potrà ripagare l’enorme debito (120% del Pil) nel futuro e nel frattempo pagarne gli interessi evitando ulteriori aumenti del debito stesso. Il governo non ha ancora precisato la cifra ed i tempi con cui tenterà di raggiungere la condizione di “deficit zero”, pur avendoli abbozzati nel piano inviato alla Ue per approvazione. Ma dovrà farlo presto, perché l’incertezza in materia aumenterà il costo di rifinanziamento periodico del debito (emissione di nuovi titoli per ripagare quelli giunti a maturazione, per esempio i Bot) e renderà l’Italia più vulnerabile al contagio di eventuali insolvenze o ristrutturazioni del debito di Grecia ed altri.
In sintesi, senza pareggio di bilancio l’Italia rischia guai gravissimi. Al momento, appare probabile che entro il 2014 l’Italia dovrà azzerare il deficit, la Germania si è impegnata a farlo nel 2016. Se così, ciò significa che in tre anni bisognerà tagliare 45 miliardi di spesa. Tremonti fa filtrare che l’azione sarà fattibile. Certamente lo è. Ma non è chiaro se lo sarà tagliando spesa, aumentando il gettito via crescita dell’economia o incrementando le tasse, o via un mix di queste cose. O altro.
L’agenzia di valutazione (rating) Standard & Poor’s non crede che un governo italiano sarà capace di raggiungere il pareggio di bilancio aumentando la crescita, perché non vede abbastanza ordine politico che permetta le riforme utili a stimolarla. Per questo, venerdì scorso, ha anticipato una tendenza negativa al riguardo della sostenibilità del debito pur senza ancora declassarlo. Tremonti si è sentito colpito ingiustamente perché il suo sforzo di riequilibrio della finanza pubblica via tagli alla spesa è internazionalmente apprezzato.



Vero. Ma è anche vera l’analisi dell’agenzia, così semplificabile: se non c’è crescita del Pil, attraverso riforme stimolative, il rigore da solo non basta a riequilibrare il bilancio ed a rendere sostenibile il debito. Da un lato, L’Italia ha un jolly di riserva: l’area di evasione fiscale è ancora molto elevata e se fosse ridotta le entrate aumenterebbero contribuendo parecchio al pareggio di bilancio senza bisogno di tagli traumatici. Infatti l’unica azione attiva di Tremonti dal 2008 è stata quella di aumentare la capacità di riscossione del fisco, il resto azione passiva, cioè tagli di bilancio senza cambiamenti di modello. D’altro lato, tale politica implica il lasciare le tasse ad alti livelli, tali in Italia da disincentivare nuovi investimenti nelle imprese e deprimere i consumi, e così pregiudicare la crescita. Minima infatti, proiettata verso la stagnazione e, più a lungo termine, così insufficiente da far temere la deindustrializzazione, già iniziata nel Nord.
In conclusione, la politica del governo ci porterà a reggere il debito via riequilibrio di bilancio ottenuto con un mix di tagli e più polizia fiscale, ma manterrà il modello economico troppo carico di tasse e vincoli che deprimono la crescita. Inaccettabile. C’è una soluzione dove si possa rafforzare la credibilità del nostro debito ed allo stesso tempo tagliare le tasse? Certo: abbattere una parte del debito vendendo patrimonio. Tale mossa sorprenderebbe in positivo il mercato, ridurrebbe il costo degli interessi debitori annui e permetterebbe la riduzione delle tasse pur perseguendo il rigore. Tremonti deve spiegarci perché non tenta questa azione salvifica, liberatoria.



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