L’Ocse ieri ha diffuso il suo outlook sulle prospettive economiche dei paesi membri. Il Pil dell’Italia, secondo l’organizzazione di Parigi, salirà quest’anno dell’1,1% e dell’1,6% nel 2012: dati in linea con le precedenti previsioni, ma inferiori alle stime per l’Eurozona, che parlano di +2% sia nel 2011 che nel 2012 (in Germania si arriverebbe, rispettivamente, al +3,4% e al +2,5%). Dove l’Ocse sembra promuoverci è però sul terreno dei conti pubblici: il rapporto deficit/Pil dell’Italia è previsto al 3,9% nel 2011 e al 2,6% nel 2012. Meglio di noi, in questo caso, tra i grandi paesi farebbe solo la Germania con un 2,1% seguito da un 1,2%. La media dell’Eurozona sarebbe invece del 4,2% quest’anno e del 3% il prossimo. «Sono pronto a scommettere che quest’anno faremo ancor meglio di quel che dice l’Ocse, arrivando al 3,6% di deficit/Pil», dice a ilsussidiario.net Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, «anche perché l’anno scorso c’era già stato un miglioramento di circa mezzo punto rispetto alle previsioni. Ma c’è un altro punto importante in questo outlook».



Di che cosa si tratta?

L’Ocse certifica il fatto che saremo in grado di raggiungere il quasi pareggio di bilancio (si parla di 0,2-0,3% di deficit/Pil) nel 2014. Saremmo l’unico Stato nell’Unione europea a riuscire in questa operazione e il nostro debito pubblico sarebbe messo in sicurezza. Non saremmo perciò premiati perché siamo vicini alla Germania: eviteremmo, semplicemente, di essere maltratti. Naturalmente, questa operazione dipende dalla nostra necessità di mettere in ordine i conti pubblici, perché abbiamo un elevato rapporto debito/Pil, il quale non avrebbe creato problemi se non ci fossero stati due fattori destabilizzanti di cui non siamo responsabili.



Quali sono questi fattori?

Il primo è la crisi internazionale che ha fatto crescere i debiti pubblici e creato anche un clima di sospetto su debiti stessi. Ci troviamo quindi in una situazione oggettivamente più rischiosa, anche perché c’è una maggior concorrenza tra i collocatori di titoli pubblici. La crisi ha inoltre fatto diminuire il Pil, aumentando di riflesso il rapporto debito/Pil. Il secondo fattore riguarda la difficoltà di alcuni paesi europei, taluni già deboli come la Grecia, altri considerati virtuosi ed esaltati dalle società di rating come l’Irlanda, riguardo la tenuta del loro debito. La risoluzione dei loro problemi, invece che essere tempestiva e seria, è stata tormentosa e tuttora sub iudice. Questo ha dato la sensazione che l’Eurozona non sia così attendibile come si poteva supporre, minando il beneficio che abbiamo avuto entrando nell’euro: l’abbassamento dei tassi di interesse sul debito.



Questa dell’Ocse è quindi una sorta di ulteriore “promozione” della politica di rigore di Tremonti?

Questa linea di rigore perseguita da Tremonti non sarebbe stata possibile se non ci fosse un governo con un partito di maggioranza che la sostiene: merito quindi ai capogruppo parlamentari e a Berlusconi per questo. In ogni caso, non bisogna dimenticare che questa linea è stata continuamente minata e lo è ancora, dall’incertezza sull’economia, che oggi dipende, per esempio, da quel gruppo economico-finanziario e culturale di Milano che, attraverso personaggi come Giulia Maria Crespi e Piero Bassetti, sostiene Pisapia. Questo ha generato nella stampa internazionale l’idea che la maggioranza e il Governo potrebbero essere instabili. A causa di ciò, dovremo affrontare due problemi.

 

Ci spieghi quali sono.

 

Il primo è che si rende ancor più necessaria la manovra di giugno (40 miliardi in tre anni), con i sacrifici che essa comporta. Il secondo è che non si sa bene cosa accadrà dopo. È già successo nella storia dell’Italia che quando un governo riesce a realizzare una manovra di finanza pubblica efficace, l’opposizione si rafforza e può cercare di prendere il potere che prima non aveva. Un operatore economico avverte quindi che c’è un’incertezza sull’economia del futuro: si intuisce che la manovra andrà in porto e che qualunque sia il governo che verrà dopo riuscirebbe a godere dei conti in ordine, ma non si sa se in Italia ci saranno delle regole che renderanno conveniente investire oppure no, con tutti i riflessi che questo ha sulla crescita e sullo sviluppo del nostro Paese.

 

Prima ha citato Pisapia. Crede che il voto di Milano, così come quello di Napoli, sia da ritenere cruciale o no?

 

Politicamente non credo, per due ragioni. La prima: è noto che intorno a metà legislatura, se non c’è una crescita economica, di solito nelle amministrative chi è al governo perde voti, come abbiamo visto anche in Germania, dove pure c’è stata una ripresa economica importante. La seconda: le elezioni amministrative non hanno un riflesso sulle elezioni nazionali, perché sono due fatti diversi. Dal punto di vista politico, si può solo dire che il governo doveva essere defunto da tempo e invece è ancora vivo e che il Partito democratico, se vuole battere gli avversari, è costretto a “piegarsi” alle estreme.

 

Ma un investitore internazionale non darà valenza nazionale al voto?

 

Questo è sicurissimo, infatti sono convinto che Standard & Poor’s abbia cambiato il suo outlook sull’Italia dopo aver visto i risultati del primo turno delle amministrative e leggendo quel che scrivono i nostri giornali, desumendone che il governo potrebbe addirittura cadere in questo periodo. Per fortuna, oltre agli investitori internazionali che danno retta a certe agenzie di rating, ce ne sono altri, come i cinesi, che non fanno ragionamenti simili.

 

Cosa accadrebbe se il centrodestra dovesse perdere sia a Milano che a Napoli?

Se ci saranno queste due sconfitte, non dico che avverrà uno tsunami, ma sicuramente una forte scossa a danno del nostro debito pubblico, nonostante la manovra di Tremonti. Inoltre, quest’ultima dovrà essere più aspra di quello che altrimenti sarebbe necessario, soprattutto nella prima parte, cioè per l’anno prossimo. L’Italia, infatti, dovrà far in modo di emettere meno debito pubblico e dare la sensazione di avere un bilancio molto robusto. L’unica cosa positiva è che almeno Tremonti nella manovra non aumenterà le imposte.

 

A questo proposito, martedì la Corte dei Conti segnalava che il rigore sui conti rende impossibile qualsiasi diminuzione della tasse.

 

La riduzione delle imposte non è mai stata possibile in Italia, se non eliminando gli esoneri. Noi ne siamo però pieni. Sicuramente diminuendo i tributi sul costo del lavoro e sugli utili delle imprese avremmo più crescita, però questa non possiamo considerarla un gettito valido per finanziare tali riduzioni, perché la crescita è un fenomeno che si verifica dopo. Quello che dice la Corte dei Conti è quindi sacrosanto: in questo periodo non ci possiamo permettere di ridurre le tasse se non abbiamo una copertura. Tremonti potrebbe, ma non credo lo voglia fare, ridurre delle aliquote e aumentarne delle altre.

 

L’Ocse scrive anche che il Programma nazionale di riforma presentato dal governo italiano contiene una lista di priorità che deve essere effettivamente portata a termine, in modo da migliorare il potenziale dell’economia e ridurre il peso del debito attraverso la crescita del Pil. Un’altra conferma di quanto sia importante la stabilità politica?

 

Non c’è dubbio: da quanto è avvenuto negli ultimi anni non si può non notare che, in periodi di crisi come questi, se un governo progetta delle riforme, e poi va in crisi, ne risente anche la credibilità del progetto. Abbiamo visto anche in Portogallo, Irlanda e Grecia quanto conta la stabilità politica. Ringraziamo quindi l’Ocse per aver sottolineato questa esigenza che alcuni sembrano aver dimenticato: bisognerebbe essere a favore della stabilità del governo in periodi di crisi. Certo, si possono discutere le linee di Tremonti, le riluttanze a fare privatizzazioni e liberalizzazioni, che mi paiono molto importanti e necessarie, ma questo Programma bisogna poterlo attuare, anche se non è il migliore del mondo. Non dobbiamo commettere l’errore di dare la sensazione che gli italiani non sono capaci di portare a termine il loro piano perché litigano troppo: questo ci danneggerebbe.

 

(Lorenzo Torrisi)