– Avendo fatto la mia prima carriera in una banca (la Banca mondiale) e facendo ora parte del Consiglio scientifico di una delle maggiori banche italiane, ho sempre evitato di trattare temi riguardanti banche e banchieri nelle mie attività pubblicistiche. Temevo di essere in conflitto di interesse.
Dopo, però, le ultime vicende che hanno già occupato due settimane intere del mio tempo (distogliendomi dal lavoro) e che, da quello che so, nella sola Roma riguardano almeno 30.000 persone, credo doversi raccontare una vicenda, ancora in corso, che non fa onore a nessuna delle istituzioni coinvolte, provoca un danno ai correntisti (quanto meno in termini di mancanza di servizi e di perdite di tempo) e richiede l’intervento delle autorità di vigilanza. La riporterò in prima persona, poiché da un breve sondaggio apprendo che molti altri stanno avendo disagi analoghi.
In breve, quando nel 1967, a 25 anni, andai a studiare negli Stati Uniti (dove sono rimasto per oltre tre lustri) chiusi un conto corrente che avevo con l’allora Banco di Roma e ne aprii uno con l’agenzia dell’allora Banca Commerciale Italia (la Bci) in Via Cola di Rienzo 150, un’agenzia molto vicina all’abitazione di una zia; collaboravo a Il Sole 24 Ore ed era saggio che il conto venisse operato da un familiare con cui era co-intestato. La Bci è stata inglobata in Banca Intesa, prima, e in San Paolo Intesa poi. Nei vari passaggi, è gradualmente diminuito il personale dell’agenzia (anche grazie al progresso tecnologico e varie forme di home banking), ma non ci sono stati particolari disagi.
In seguito a una complessa vicenda, in cui erano coinvolte in vario modo anche le Assicurazioni Generali e Credit Agricole, su indicazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in breve, l’Antitrust) un numero significativo di agenzie e di sportelli di Intesa San Paolo, tra cui l’agenzia a via Cola di Rienzo 150 a Roma, sono stati ceduti da Intesa San Paolo a CariParma-Credit Agricole. I correntisti hanno avuto alcuni spifferi dai dipendenti e solo pochi giorni prima dell’entrata in vigore della cessione una lettera con un numero con cui accedere all’home banking.
Il 18 maggio era il “D-Day”, che ha coinciso con un caos analogo per numerosissimi correntisti analogo a quello che deve avere caratterizzato lo sbarco degli alleati in Normandia. Sono cambiati libretti di assegni, bancomat e simili. Per l’home banking non solo sono mutate le procedure di accesso, ma è in pratica non utilizzabile per “disguidi informatici”; le informazioni sui depositi titoli sono parziali (quindi, inutili).
Naturalmente si sono dovute dedicare ore a fornire i nuovi codici Iban a datori di lavoro ed enti previdenziali. Erano state date assicurazioni che ciò sarebbe stato effettuato centralmente, ma i due maggiori istituti previdenziali (Inps e Inpad) affermano di non saperne nulla; i clienti in materia hanno avuto unicamente informazioni ufficiose e verbali. Guai per chi deve andare all’estero e utilizzare, dall’estero, i servizi telematici; a due settimane (tempo molto lungo nel settore bancario) dal “D-Day” sono in disguido permanente.
CariParma, interpellata, sostiene che la colpa sia di Intesa San Paolo. Dal canto suo, Intesa San Paolo fa intendere che CariParma non ha valutato le implicazioni dell’acquisto di un numero così elevato di agenzie. È chiaro che i due istituti non si amano. È anche chiaro, però, che i correntisti non chiedono ai due amministratori delegati di sollazzarsi in un letto a due piazze, ma che i servizi siano puntuali ed efficienti e che ci sia adeguato risarcimento per il tempo e lo stress causato da questi situazione.
Cosa fare? In primo luogo, le autorità di vigilanza devono prendere la situazione in mano e la stessa Abi deve intervenire a mettere ordine in una vicenda che non dà certo lustro al sistema bancario italiano. In secondo luogo, le associazioni dei consumatori devono prendere le azioni necessarie perché, da un lato, i servizi vengano ripristinati senza indugio e i responsabili di questo stato di cose vengano chiamati a rispondere con i loro patrimoni personali di disagi e danni causati ai correntisti. In terzo luogo, i correntisti medesimi devono “votare con le gambe”: se i servizi restano incompleti e non si è risarciti per i disagi e danni subiti, vadano altrove.