Dove sta scritto che il governatore della Banca d’Italia deve essere un “interno”? Quale norma, quale legge, quale decreto prevede che a succedere a Mario Draghi, prossimo governatore della Bce, sia un membro del direttorio dell’Istituto di via Nazionale?

La risposta sta nella stessa nomina di Draghi a Palazzo Koch: il 29 dicembre del 2005 a diventare governatore è un “esterno”, che è stato per un decennio (1991-2001) direttore generale del Tesoro e dal 2004 al 2005 è stato vicepresidente e managing director di Goldman Sachs International.



Quindi i sostenitori della soluzione interna – da Francesco Giavazzi e Massimo Mucchetti de Il Corriere della Sera a Marco Onado de Il Fatto Quotidiano, passando per Angelo De Mattia su MF/Milano Finanza – hanno preferenze ad personam per l’attuale direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, o per il suo vice, Ignazio Visco.



Nel coro del pensiero unico sulla soluzione interna ha steccato il giurista Guido Rossi che ieri su Il Sole 24 Ore ha scritto: “A parer mio può essere decisione affrettata e certo mal motivata quella di scegliere necessariamente il nuovo governatore all’interno della stessa banca. Questa opinione, pur autorevolmente espressa da più parti, fa leva su una presunta garanzia di continuità, di indipendenza e autorevolezza”. Infatti, la continuità non è automatica garanzia e l’indipendenza è dote individuale quanto l’autorevolezza, come dimostrano i curricula dei governatori di tutti i paesi del G7 oltre alla Spagna: “Ognuno di loro – ha ricordato Rossi – ha una provenienza esterna alla Banca centrale”. Parole definitive.



Quindi il problema, più che sulla diatriba “interno” o “esterno”, sarebbe un altro: nominare un governatore che concordi, esegui e assecondi il paradigma di Francoforte oppure no. Chi è di sicuro un fedele paladino, oltre Saccomanni o Visco, della politica finora praticata dalla Bce e dal sistema delle banche europee è Lorenzo Bini Smaghi, attuale membro italiano del board dell’Eurotower, che molti governi dell’Unione gradiscono ardentemente che si dimetta perché due italiani sono troppi al vertice della Bce. Anche se, pure in questo caso, nessuna norma, e tanto meno lo statuto della Bce, prevede incompatibilità del genere.

Chi potrebbe non essere un fedele esecutore della linea di Francoforte è il candidato che auspica il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ovvero il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. In molti si preoccupano già della potenziale nomina di un altro “tremontiano” ai vertici delle istituzioni o autorità indipendenti, visto che l’ex viceministro dell’Economia, Giuseppe Vegas, è ora presidente della Consob.

Perbacco, che scandalo: però se il capo consigliere economico della cancelliera Angela Merkel, ovvero Jens Weidmann, è nominato governatore della Bundesbank nessuno fiata e grida all’asservimento politico delle istituzioni. Beninteso, i rischi di una concentrazione di potere ci sono, specie in una Banca centrale come quella italiana – a differenza della Bundesbank – che ha anche la vigilanza sul sistema bancario. Però, forse, così fan tutti.

Ci sarebbe poi un profilo di un candidato “non organico”, ossia uno che abbia idee, coraggio e correttezza istituzionale per sostenere che cosa debba fare la Bce per consentire all’Unione europea di progredire. “Grilli e Saccomanni lascerebbero le cose come stanno, ossia potenzierebbero un gruppo di potere che non consente all’Unione di progredire e all’Italia di riprendere la strada dello sviluppo”, dice un banchiere di lungo corso dal pensiero poco ortodosso.