La drammatica situazione della Libia e la pericolosità in atto, o in potenza, di tutta l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) sono evidenti. È necessario allora chiedersi se l’Unione europea (Ue), il soggetto istituzionale che ci interessa qui e i cui Paesi del sud sono ai confini del Mena, abbia fatto tutto il possibile per affrontarla adeguatamente.
Noi non crediamo, anzi riteniamo che una grave carenza di tutta la strategia europea sia quella di aver trascurato gli aspetti economici e occupazionali delle insurrezioni, affidandosi invece in modo più o meno esplicito, nel caso della Libia, solo all’intervento armato della Nato (trascinata da Francia e Gran Bretagna).
In ogni caso, adesso alcuni interventi economico-finanziari rimangono urgenti, ma gli stessi vanno concepiti e attuati in termini del tutto nuovi. Noi abbiamo sostenuto queste tesi in due articoli su Il Corriere della Sera (“Serve una banca per il Nord Africa con fondi europei e mediorientali”, 5 marzo 2011; “Cambi di regime in Nord Africa. L’Europa si impegni a tutto campo”, 20 marzo 2011) che non sono stati ripresi, ma che dovrebbero trovare un certo ascolto presso quelle correnti di pensiero che reputano gli interventi armati come l’ultima opzione dopo che tutte le altre sono state esperite. Perciò siamo particolarmente lieti che ilsussidiario.net abbia notato i nostri articoli e ci abbia chiesto di ripresentare le tesi qui.
Dal punto di vista geoeconomico, Mena, in base alla classificazione del Fmi, include 20 paesi (Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati arabi uniti, Gibuti, Giordania, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Sudan, Tunisia, Yemen) con una popolazione totale di 410 milioni di abitanti, con riserve di petrolio che superano il 61% e di gas che superano il 45% di quelle mondiali.
Se anche ci limitassimo a Egitto, Libia e Tunisia arriveremmo a una popolazione superiore ai 95 milioni. Si tratta di un’area con grandi squilibri nei redditi che non sono certo espressi da un reddito medio annuo procapite di 5.400 dollari Usa correnti. Infatti, la distribuzione del reddito tra paesi e dentro i paesi è drammaticamente diseguale. Così lo Yemen ha un reddito medio annuo di 1.200 dollari, l’Egitto di 2.800 e il Qatar di 74.400. Un divario che può essere esso stesso causa di contagio e di instabilità per tutta l’area e di migrazioni verso l’Europa indipendentemente dalle situazioni di guerra e di insurrezioni le quali, ovviamente, accentuano i movimenti migratori.
Se non si riesce a sviluppare quell’area e a favorire una migliore distribuzione del reddito sarà difficile evitare insurrezioni, repressioni e interventi militari con scelte non sempre comprensibili (di interventi in taluni Paesi ma non in altri), mentre sarà ben difficile promuovere in tal modo la democrazia.
L’attuale situazione insurrezionale avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ue per spingere verso lo sviluppo anche quegli autocrati che in passato mai l’hanno fatto, cercando subito di attenuare le sofferenze dei molti coinvolti nelle guerre e nelle migrazioni. L’Ue ha spesso detto che essa si impegna a intervenire anche economicamente in quelle aree, ma le risorse che essa può mettere a disposizione sono minime. Il vertice dell’Ue di marzo ha prefigurato, in base anche a una Comunicazione della Commissione, il “Programma democrazia e prosperità” (Pdp) per sostenere nei paesi dell’Africa Mediterranea una transizione alla democrazia, una prosperità maggiore e meglio distribuita, una più forte partnership con il popolo e la società civile. Tutti obiettivi condivisibili, ma le risorse mobilitabili sono solo qualche decina di milioni di euro nell’immediato!
Il Pdp, che si riferisce soprattutto ai paesi del Maghreb e del Mashreq, propone anche che nel contesto del Femip (cioè la Struttura euromediterranea per gli investimenti e la partnership che opera in 9 paesi del sud mediterraneo) la Bei (Banca europea per gli investimenti) arrivi nei prossimi tre anni a prestiti fino a 6 miliardi di euro garantiti dal bilancio comunitario per le Pmi, le infrastrutture, per la formazione e la promozione della occupazione. Poi propone di estendere anche l’operatività della Bers (la Banca varata nel 1991 per aiutare alla transizione i Paesi dell’Est europeo) anche queste aree. Ma le risorse mobilitabili non bastano e in più vi è il rischio di snaturare completamente due banche (Bei e Bers) che hanno altre missioni.
Si tratta in ogni caso di modeste entità finanziarie se paragonate anche solo a quelle libiche congelate dalle risoluzioni di febbraio del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dalla decisione del vertice europeo di marzo. Si stima che i capitali congelati in Usa e in Europa (e altrove per chi si adeguerà alle risoluzioni) del clan gheddafiano e degli enti statali libici (Fondo sovrano Lia, Banca centrale, ecc.) siano tra i 100 e i 200 miliardi di dollari (rivenienti dalle rendite petrolifere) che andranno poi consegnati a un legittimo governo libico quando il regime di Gheddafi sarà crollato.
Partendo da qui abbiamo avanzato due proposte.
La prima configura un intervento immediato trasferendo pro-tempore, in attesa della restituzione a uno Stato legittimato, i capitali libici congelati dai paesi dell’Ue a una nuova società amministrata dall’Ue e dalla Lega Araba. Questa società dovrebbe usare i redditi (e se necessario una parte del capitale) di questo ingente patrimonio (il solo fondo sovrano Lia vale 60-70 miliardi di dollari, in buona parte investiti nell’Ue), per i soccorsi umanitari (che potrebbero essere coordinati dalla Agenzia europea Frontex, dalla Croce Rossa e dalla Mezzaluna Rossa) alla popolazione libica e a quelle degli altri Paesi coinvolti nelle privazioni delle insurrezioni e delle migrazioni. Ma anche per riattivare quelle economie evitando ulteriori migrazioni che i paesi europei, come l’Italia, non possono governare da soli.
Se ci fosse una volontà politica in tal senso, i giuristi saprebbero trovare una valida soluzione tecnica per attenuare le sofferenze di popolazioni e salvare anche molte vite il cui superiore valore non è paragonabile a quello di una conservazione attendista e passiva di capitali congelati.
La seconda proposta punta su una banca di sviluppo nuova che attiri parte dei capitali dei fondi sovrani di paesi della Lega Araba, che hanno un attivo di circa 1350 miliardi di dollari. La Banca andrebbe co-fondata e co-gestita dall’Ue e dalla Lega Araba e localizzata a Roma (piuttosto che a Londra o in Lussemburgo) dove la Lega Araba ha da anni una sede.
Gli autocrati dei paesi Mena non avranno molto tempo ancora per accumulare ricchezze con i Fondi sovrani o del Sovrano. Questo sarebbe il momento di debolezza degli autocrati per fare sugli stessi tutte le possibili pressioni affinché impieghino le risorse finanziarie per investimenti produttivi nei Paesi Mena, dove finora è andato ben poco. Il calcolo finanziario occidentale non deve temere che in tal modo questi capitali vengano sottratti ai mercati dei paesi sviluppati, perché questi paesi sarebbero attivati economicamente da una forte domanda generata dagli investimenti per lo sviluppo nel Mena.
I grandi Paesi dell’Ue hanno scelto, con l’eccezione di notevole peso della Germania, la via della forza militare attraverso la Nato. Adesso l’Ue dovrebbe cercare al più presto un percorso finanziario per attenuare le attuali sofferenze delle popolazioni e per creare una base economica di sviluppo e speranza, nelle loro terre, per i popoli al sud del Mediterraneo e per quelli del Medio Oriente. Altrimenti queste vicende, oltre al costo enorme di vite umane, potrebbero pesare per decenni su tutti i paesi che si affacciano sulle due sponde del Mediterraneo e per quelli del Medio Oriente.