Aspettiamo. Tra una settimana, anticipa il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, alcuni giornalisti avranno l’onore di partecipare a un seminario in cui gli sherpa del ministro cercheranno di illuminare gli opinion maker sul decreto per lo sviluppo, miscellanea dei temi più vari, dalla Banca del Sud al tetto sulle buste paga dei banchieri, dalla ricerca scientifica, i cui destini si incrociano con i fondi per l’università, alla carta di identità elettronica, già mille promessa e annunciata nel corso degli anni.
Ma forse sarà la volta buona, visto che Tremonti spiega di aver fatto in questi mesi, oltre ai mille mestieri che lo hanno visto protagonista a Roma come a Bruxelles, anche “il sottosegretario di Renato Brunetta” oltre che di Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione che, peraltro, passa da un processo a tappe complesso e sofisticato, che toccherà numerosi aspetti della martoriata vita pubblica del Bel Paese: la prossima volta, anticipa Tremonti, il governo affronterà il tema del processo civile.
Insomma, non è il caso di azzardare giudizi avventati sul lavoro da certosino dell’esecutivo che merita di esere spulciato in profondità. Perché, al solito, la vera “polpa” sta nei dettagli più che nelle enunciazioni di principio. Basti citare, a mo’ di esempio, il codicillo che equipara i Coco Bond, ovvero i convertible convergent bond, ai titoli “tipici”, riservando a queste emissioni bancarie una ritenuta del 12,5% rispetto al 27% di altre emissioni.
Non è difficile dedurre, nonostante le smentite ufficiali, che la novità venga incontro alle esigenze delle grandi banche, ansiose di usare anche questo strumento per agevolare i prossimi aumenti di capitale. Assai più complesso, invece, sviscerare la ratio del meccanismo scelto per gli sgravi fiscali alla ricerca, “introdotti per due anni a titolo sperimentale”, con una copertura che passa “da una forma di prelievo volontario di grande interesse”.
Insomma, guai a esser superficiali. O a farsi abbagliare da annunci dal sapore epocale, tipo quello che accompagna la nascita dell Banca del Mezzogiorno, che opererà attraverso gli sportelli della Posta o di banche cooperative e casse già esistenti: i 7mila sportelli richiamati da Tremonti possono dare, forse, una scossa psicologica. Ma, in generale, non c’è da attendersi granché, in tempi ragionevoli, da un’operazione che, per esplicita ammissione del suo autore “non può essere il motore della ripresa”.
Del resto, bando alle illusioni: di soldi non ce ne sono, ma in prospettiva se ne vedranno sempre di meno. Da Francoforte arriva il preallarme della Bce: i tassi sono destinati a salire, probabilmente dal prossimo luglio, cosa che non porta del bene ai grandi debitori, quale è lo Stato italiano. Intanto, in attesa del salasso (35 miliardi o forse di più) che nei prossimi anni verrà chiesto al bilancio pubblico per rispettare il patto di stabilità europeo, apprestiamoci a fare i conti con altre uscite straordinarie: il finanziamento delle imprese internazionali del nostro Paese, dall’Afghanistan alla Libia; l’impato dei quattrini versati al fondo europeo per i prestiti alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo, operazioni che vedono l’Italia al terzo posto tra i massimi contributors.
In questa cornice, non è difficile prevedere una “correzione” di inizio estate che non avrà nulla a che vedere con il tanto sospirato sviluppo, che di certo non potrà essere partorito dagli aiuti di Stato. Insomma, aiutatevi da soli cari italiani. A partire dalla Confindustria, ammonisce il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, alla vigilia dell’assise degli industriali a Bergamo, replica a Emma Marcegaglia: “È l’ora di fare qualcosa per noi e non di aspettarsi soltanto che sia il governo a far qualcosa per loro”.
A dimostrazione che al premier non va giù il riavvicinamento delle strutture di Confindustria alle tematiche care a Luca di Montezemolo. Più o meno una sfida analoga a quella che Giulio Tremonti lancia alla classe di governo del Mezzogiorno: inutile chiedere soldi all’esecutivo se il Sud rischia di perdere 4-5 miliardi di contributi europei perché incapace di spendere i quattrini anche quando ci sono.
Niente svolte epocali, dunque. Ma la proposta di un percorso concreto, fatto di piccole riforme che non costano ma che molto possono dare, in termini di risparmio su costi inutili. Nella convinzione che, dopo aver raschiato il fondo del barile della spesa pubblica, oggi sia necessario un cambio di passo. Cosa che richiede tempo, materia prima che comincia a mancare, e qualità della classe dirigente, cosa di cui è lecito dubitare vista la situazione della politica. E non solo.
Ma, salvo sorprese, l’esecutivo può contare su un grande alleato: la ripresa economica che comincia, dopo anni di vacche magre, a farsi più robusta, come dimostra il calo delle ore di cassa integrazione e un certo risveglio dell’edilizia nelle grandi città. Sta a vedere che stavolta le miniriforme per ridare slancio al settore funzioneranno.