I primi due quesiti del referendum del 12-13 giugno hanno toccato alcuni temi relativi ai servizi pubblici locali: servizio idrico, trasporto pubblico e gestione dei rifiuti urbani, nel caso del primo quesito; solo il servizio idrico integrato, nel secondo. I due SI determinano due conseguenze differenti, ma la cui portata e il cui significato di fondo sono simili e gravi.
Il primo quesito abolisce una riforma che nei fatti non era stata così sostanziale: si voleva introdurre la gara come strumento privilegiato per la selezione del gestore dei servizi pubblici locali o anche, solamente, per la selezione del partner privato da affiancare al soggetto pubblico nella società mista che già gestiva il servizio. Questa riforma era assolutamente in linea con le precedenti misure legislative: come le precedenti riforme, parzialmente disattese in diverse aree del Paese, proponeva comunque numerose vie d’uscita all’obbligo di gara attraverso il rispetto di alcuni vincoli di efficienza o per particolari condizioni economiche e geografiche del territorio di riferimento.
L’approvazione del primo quesito, in definitiva, non stravolge il settore dei servizi pubblici locali nè vieta il coinvolgimento di privati nella gestione; paradossalmente blocca un tentativo apprezzabile di liberalizzazione. Ciò che accadrà, in attesa di una nuova, l’ennesima, riforma, è che continueranno ad esistere gestioni pubbliche, miste, private assegnate con gara, così come affidamenti diretti a società pubbliche o miste. La tutela dello status quo non è necessariamente negativa: tantissimi sono gli esempi di gestioni ottimali del servizio, affidate a società pubbliche (alcune ex municipalizzate) che pertanto continueranno il loro lavoro senza tema di dover affrontare alcuna gara. E questo in fondo è positivo. Le perplessità emergono riguardo ai numerosi esempi di gestione inefficiente del servizio: la necessità di vincere una gara avrebbe potuto garantire uno stimolo per rendere più efficiente la propria azienda e, nel caso non ci si fosse riusciti, il nuovo gestore (almeno teoricamente) avrebbe favorito un servizio migliore del precedente. Se perciò il referendum non cambia quasi niente, ciò vale sia nel bene (quello delle buone gestioni) sia, purtroppo, nel male. Il problema di stimolare il settore dei servizi pubblici locali ad una maggiore qualità ed efficienza resta pertanto irrisolto. Bisognerà sperare in una nuova riforma: è tuttavia disarmante pensare che negli ultimi 15 anni abbiamo una media di quasi due leggi di riforma dei servizi pubblici locali in ogni legislatura!
Il secondo quesito tocca un aspetto di maggiore gravità. Si elimina dalla formula di calcolo della tariffa del servizio idrico integrato la remunerazione del capitale investito. La conseguenza di ciò è che la tariffa permetterà di ripagare solo i costi operativi e gestionali, mentre tutto quanto viene investito in nuovi impianti e reti o nella manutenzione/sostituzione delle vecchie infrastrutture sarà a fondo perduto. Quale banca o quale partner/investitore privato è così disposto a investire in una società sapendo che il suo capitale non riceve neppure un tasso di interesse pari a quello dei titoli di Stato? Nessuno, ad eccezione dello Stato o degli enti locali. Almeno due sono però i problemi legati a questa risposta. In primo luogo: può lo Stato e gli altri Enti locali far fronte agli investimenti previsti? E in che modo? Con quali conseguenze?
Attualmente sono previsti 64 miliardi di investimenti nel servizio idrico integrato (Bluebook 2010). Questa cifra si può spiegare, in parte, per l’obsolescenza delle reti di acquedotto, che in media, in Italia, perdono il 37% dell’acqua immessa, con punte ben al di sopra del 50%. Ma non solo. L’acqua, naturalmente, è e deve essere un bene pubblico, tuttavia essa è distribuita in maniera non omogenea sul territorio: perchè sia un patrimonio veramente “pubblico”, e non solo di chi ne ha già in abbondanza, necessita di reti di captazione e distribuzione per raggiungere aree del Paese (come parti della Puglia e della Sicilia) dove ancora esistono problemi di fornitura regolare del servizio e perfino rischi stagionali di accesso all’acqua in alcune ore della giornata. Non va dimenticato poi che occorrono fognature e depuratori che tutelino la qualità dei corpi idrici (fiumi, laghi e mari) nei quali si scaricano le acque reflue e la cui qualità in Italia è oggi ben al di sotto della media europea. Difficilmente, in questo contesto di difficoltà economica, il settore pubblico potrà impegnarsi per questa cifra, a meno di un’importante aumento del prelievo fiscale, generale o locale. Ma aumentare oggi le tasse è una risposta impopolare e socialmente gravosa.
Inoltre, anche ammettendo che il settore pubblico possa far fronte “finanziariamente” a questi investimenti, c’è un problema di capacità di gestione dell’investimento. Secondo i dati del Comitato di Vigilanza sulle Risorse Idriche relativi al 2009, gli investimenti che coinvolgono solo il settore pubblico hanno un tasso di realizzazione più basso della media nazionale (56% contro il 66% del totale). Ancora una volta si dimenticano certe inefficienze che per anni hanno caratterizzato il servizio idrico gestito dal pubblico e alle quali si era pensato di far fronte proprio con alcune proposte di liberalizzazione!
Resta infine il problema di come far fronte a numerosi investimenti già stanziati per i quali le imprese si erano impegnate a far fronte contando proprio sulla tariffa come forma di remunerazione: proprio società con forte carattere pubblico, come Hera in Emilia Romagna o Publiacqua in Toscana, hanno denunciato in questi giorni il rischio di collasso relativo ai milioni di euro di investimento già in atto o previsti nel prossimo futuro. Anche in questo caso, come per il primo quesito, facile prevedere un nuovo intervento legislativo che reintroduca, con qualche accorgimento, una norma spazzata via in maniera impulsiva.
Una considerazione conclusiva: gli slogan che hanno caratterizzato la campagna referendaria, a tutela del valore pubblico dell’acqua e della tutela della mission pubblica della sua gestione sono effettivamente condivisibili. Ma resta paradossale che il risultato ottenuto sia per certi versi l’esatto opposto: la sopravvivenza di inefficienze, problemi di qualità e gap infrastrutturali. C’è ben poco di cui cantar vittoria…