Martedì sera, sul finire della trasmissione televisiva Otto e mezzo, il ministro Brunetta, a sostegno di una sua tesi affermava che ormai la crisi economica era superata. Ho immediatamente pensato che fosse una battuta, poi, invece, il suo ragionamento confermava l’assunzione fatta che mi sembrava, a dir poco, azzardata se non assurda, specialmente se a effettuarla era un Ministro del governo in carica.
Mi sono domandato se il Ministro fosse informato della crescente disoccupazione, specialmente di quella giovanile, dell’ininterrotta chiusura delle piccole e medie imprese, del crescente livello della povertà e dell’impossibilità che hanno molte famiglie non solo di far fronte ai propri impegni debitori (specialmente per i mutui sulla casa), ma di raggiungere, senza ulteriori rinunce, la fine del mese.
Mi sono domandato se il Ministro, passeggiando per le vie del suo quartiere, si è mai preso la briga di contare quanti esercizi commerciali sono stati chiusi e come questo numero cresca giornalmente. Mi sono domandato se il Ministro conosce l’ammontare del debito di natura commerciale che gli enti pubblici (specialmente lo Stato) hanno con le imprese e che sistematicamente viene dilazionato soffocando di conseguenza la posizione finanziaria di molte aziende.
Mi sono domandato questo e altre cose; poi ho appreso che il Ministro, lo stesso giorno, in un convegno di fronte a una signora che voleva fargli una domanda e che si presentava come “una precaria della pubblica amministrazione”, sdegnato si alzava, abbandonava la sala e affermava: “Questa è la peggiore Italia!”. Allora ho compreso tutto: il Signor Ministro si immagina un’Italia che non c’è.
Passando, solo apparentemente, ad altro tema, intendo evidenziare come nei giorni successivi alle due votazioni abbiamo assistito a una sorta di schizofrenia comunicativa. Sulla scena governativa abbiamo avuto, da un lato, il ministro Tremonti che tiene ben serrato il cordone della borsa, e dall’altro il ministro Maroni che reclama maggior coraggio nelle scelte economiche.
Al centro della scena il Presidente del Consiglio, che ci informa della sua intenzione di programmare e realizzare una riforma fiscale (che, se tutto va bene, potrà entrare in vigore solo nel 2013); immediatamente dopo, in scena rientra il ministro Tremonti che, smentendo sostanzialmente il capo del governo, afferma l’impossibilità di effettuare la riforma fiscale perché costerebbe ben 80 miliardi, in questo, giustamente, sostenuto dall’Europa.
Sulla scena improvvisamente si materializza il fulmine-minaccia della Lega che, con il dito puntato, avverte che “chiederà” quello che si deve fare solo Domenica alle sorgenti del Po. Sulla scena riappare il ministro Tremonti che avanza l’ipotesi di ridurre da cinque a tre le aliquote fiscali e di volerle singolarmente ridurre nella percentuale di imposizione, incrementando, di contropartita, le imposte sui consumi (prevalentemente l’Iva).
Forse occorre fermarsi e ragionare, altrimenti lo shock elettorale subito dalla maggioranza parlamentare sarà foriero di rimedi peggiori del male. Forse occorre ascoltare, forse occorre chiedere aiuto, forse sarebbe urgente e utile riflettere sulle indicazioni che il Governatore della Banca d’Italia ha fornito nell’ultima sua relazione annuale, ma comunque occorre pensare prima di proporre.
Questo Paese, per superare la crisi, ha bisogno di una crescita economica, di investimenti innovativi, di incrementare i consumi, di sostegno alle famiglie (specialmente in funzione del carico familiare e specialmente di quelle che oggi stentano di più), di supporto alla cultura e al turismo (le nostre naturali e prime imprese), di rivedere in maniera intelligente il cosiddetto patto di stabilità (per permettere a quegli enti territoriali minori che ne hanno la possibilità di effettuare “lavori pubblici” di loro competenza e di dare occupazione), di rivedere il ventaglio del carico fiscale (ovviamente, senza diminuirlo nel suo valore assoluto perché sarebbe fatale farlo in questo momento) favorendo i redditi da lavoro e di impresa rispetto a quelli delle grandi rendite, ma soprattutto continuando e intensificando la lotta all’evasione fiscale che resta il grandissimo problema asociale dell’Italia.
Non andrei di certo a incrementare le imposte sui consumi, non solo perché sono proprio i consumi che dovrebbero essere incrementati, ma perché, normalmente, gli incrementi dell’imposte sui consumi sono, a loro volta, un viatico per la crescita del tasso d’inflazione che andrebbe a ricadere in maggiore misura proprio sui redditi più bassi.
Occorre, in buona sostanza, effettuare una particolare, articolata, ma soprattutto solidale (intendo ripeterlo: il momento è così grave che occorre richiamare la solidarietà, anche temporanea, di tutti gli italiani) politica fiscale che sia di volano per la crescita, ma non è proprio possibile diminuire sostanzialmente, in questo momento congiunturale, il carico fiscale. Occorre essere coraggiosi, ma certamente non sprovveduti.