Da un paio di mesi è andata crescendo la richiesta di una riforma fiscale generale che si è condensata in ultimatum di Confindustria, dei sindacati, dell’opposizione per un abbassamento delle tasse sul lavoro e sulle imprese. Poi, dopo le deludenti prove elettorali del PdL e della Lega, anche da questi partiti è stata avanzata la richiesta di ridurre le tasse. Alla fine paiono tutti d’accordo sulla necessità di fare una riforma fiscale e di ridurre le tasse.



Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sembra essere l’unico a non volere o a non capire che la richiesta è dettata dall’esigenza di equità e di sviluppo, che prima la si soddisfa prima il nostro Paese ricomincerà a crescere e quindi ad avere più occupazione e migliore distribuzione del reddito. Se tutto fosse così facile, la soluzione più semplice sarebbe dimissionare Tremonti da ministro dell’Economia e trovare un nuovo ministro che applichi la ricetta del “vissero tutti felici e contenti”.



Purtroppo non è così per molte ragioni su cui ci soffermiamo nel seguito, partendo dall’affermazione che Tremonti è favorevole da molto tempo a una riforma fiscale, purché siano rispettate delle irrinunciabili condizioni di metodo, di contenuti, di tempi. Due riforme fiscali sono in attuazione o in agenda: quella federalista e quella efficientista.

Partiamo dal Documento di economia e finanza 2011, uscito in aprile, che abbiamo l’impressione sia stato letto da ben pochi. Capiamo che gli impegni di tutti sono pressanti, ma per chi ha delle responsabilità almeno la lettura delle prime nove pagine, che portano il timbro argomentativo del ministro dell’Economia, sarebbe indispensabile.



Nelle stesse si riassume il significato del nuovo paradigma di Politica economica europea, che consiste nel “semestre europeo” che vincola le procedure nella formazione degli Stati membri e gli obiettivi di finanza pubblica con il patto europlus, per il quale al 2014 i paesi di eurolandia devono arrivare al pareggio di bilancio. Viene quindi illustrato il Documento di economia e finanza 2011 approvato dal Governo italiano e composto sia dal Programma di stabilità (che contiene anche le analisi e le tendenze di finanza pubblica), sia dal Programma nazionale di riforma.

Per noi il punto di partenza è il vincolo europeo a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. Ciò significa che il deficit sul Pil deve scendere secondo la seguente progressione: nel 2011 al 3,9%, nel 2012 al 2,7%, nel 2013 all’1,5%, nel 2014 allo 0,2%. Nel contempo deve aumentare il surplus primario per ridurre il rapporto debito pubblico su Pil come segue: dal 120% del 2011 al 119,4% nel 2012, al 116,9% nel 2013, al 112,8% nel 2014.

Si tratta di un percorso difficile che non ammette divagazioni, anche perché i rischi incombono :il contagio dei paesi europei “grecizzati”; l’aumento dei tassi di interesse per contenere l’inflazione. È ben vero che se la crescita aumentasse il nostro percorso di rientro di finanza pubblica sarebbe facilitato e anche noi abbiamo alcune proposte in merito che comunque non devono portare a un aumento del deficit, anche se temporaneo. Dato questo vincolo, due progetti di riforma fiscale sono in esecuzione o in agenda: il federalismo fiscale; l’efficientismo fiscale, questa essendo una nostra denominazione.

Per quanto riguarda il federalismo fiscale, l’attuazione della delega conferita al governo con la legge 42 del 2009 è continuata bene. Ci sono molti profili fiscali e tra questi il fisco municipale che ha, tra l’altro, accorpato molte imposte e ha ridotto l’imposta sugli affitti con un cedolare secca con aliquota al 19% o al 21% e vantaggi per gli enti municipali per la lotta all’evasione. L’autonomia fiscale degli enti territoriali sarà molto rafforzata con vantaggi fiscali per i contribuenti: l’Irap potrà essere azzerata; l’addizionale Irpef regionale potrà tener conto dei figli a carico; la compartecipazione Iva sarà legata al riscosso sul territorio e non più, come oggi, ai consumi Istat che premiano chi evade. E non è tutto, ragione per cui è bene ricordare che si tratta davvero di una riforma fiscale di grande portata della quale molti si sono già dimenticati.

La grande rilevanza di questa riforma è che la stessa applica il principio di sussidiarietà, che esprime con forza il ruolo di una democrazia partecipativa. Non è dunque solo una questione di aliquote e di quantità, ma anche di qualità di cui il nostro Paese ha molto bisogno.

Per quanto riguarda la riforma che abbiamo denominato “efficientismo fiscale”, nel Programma nazionale di riforma presentato in aprile dall’Italia all’Unione europea è delineata in modo abbastanza chiaro. Le caratteristiche principali dello stesso sono: la riduzione dell’imposizione sul lavoro; la drastica riduzione dei regimi di favore fiscale, che attualmente sono circa 400 e che erodono la base imponibile; graduale spostamento dalle imposte dirette alle indirette; distinzione tra dovere fiscale e assistenza sociale; riduzione delle aliquote quando le risorse per la copertura saranno disponibili.

In conclusione, i nuovi criteri direttivi che la riforma dovrà applicare sono: progressività, in funzione della capacità contributiva; neutralità e non distorsività rispetto alle persone, alle famiglie e alle imprese; solidarietà; semplicità.

Dunque, le riforme fiscali sono in corso o in programma, ma richiederanno tempo, come ogni importante riforma del sistema tributario, e perciò la pressione fiscale resterà dal 2011 al 2014 intorno al 42,5%, con la sola possibilità di ridurre alcune imposte nella misura in cui il recupero dell’evasione darà le risorse per la copertura. In tal caso, noi privilegeremmo una riduzione delle imposte sui salari da produttività e su sgravi fiscali radicali per le spese delle imprese in ricerca e sviluppo.

In altre parole, scelte di alleggerimento fiscale selettive per aumentare la competitività del sistema produttivo italiano dalla quale deriverebbe più crescita e più occupazione.