Oggi pomeriggio il Consiglio dei ministri varerà con tutta probabilità il testo definitivo della manovra finanziaria e il disegno di legge delega per la riforma fiscale. Solo allora si sapranno con certezza le misure che verranno attuate e si avranno conferme sulle ipotesi di nuove tasse circolate ieri: addizionale per il bollo auto per i Suv e le automobili con potenza superiore ai 125 Kw, imposta di bollo dello 0,15% sulle transazioni finanziarie (con l’esclusione dei titoli di Stato) e del 35% per le attività di trading speculativo svolte dalla banche. «Siamo ancora – ci dice Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore – nell’ambito dei rumors, dato che un testo definitivo non c’è. Tuttavia Tremonti aveva lasciato intendere provvedimenti di questo tipo».
In che modo?
Circa 15 giorni fa, all’Assemblea di Confartigianato, parlando della riforma del fisco aveva fatto una battuta dicendo: “Non daremo più gli assegni a chi va in giro in Suv”, un veicolo che è diventato sinonimo di arricchimento; quindi un’addizionale potrebbe essere vista come un segnale di equità fiscale. Per quel che riguarda le transazioni finanziarie, il ministro dell’Economia aveva già criticato il sistema finanziario quale origine della crisi e quindi se decidesse di “colpirlo” con un’imposta non ci sarebbe nulla di particolarmente strano.
Non c’è il rischio che poi le banche si rivalgano sui correntisti o che si creino più difficoltà di accesso al credito per le imprese?
Questo è un pericolo reale, perché chiaramente la prima tentazione per le banche sarebbe quella di scaricare altrove i maggior oneri fiscali. Se quindi la manovra dovesse contenere questi provvedimenti mi auguro che ci sia poi un negoziato con il sistema bancario in modo da evitare ogni possibile ricaduta sui conti delle famiglie e delle imprese.
Martedì in suo articolo evidenziava, a proposito della manovra, uno “scontro” in atto tra “sviluppisti” e “rigoristi”. Pensa che continuerà in queste ore precedenti il Consiglio dei ministri?
Vedo il rischio che dietro alla discussione di tipo economico tra chi punta esclusivamente al rigore e chi vorrebbe spingere sul pedale della crescita si consumi una resa dei conti di tipo politico, con motivazioni assai meno nobili. Lo vedo, per esempio, nel discorso sui tagli, dove c’è una condivisione sulla necessità che questi vengano fatti in un modo non lineare, ma secondo i principi della spending review, che però presuppone delle scelte molto accurate, oltretutto in poco tempo. Tremonti ha infatti dato martedì 48 ore di tempo agli altri ministri per riflettere e per proporre delle misure alternative, altrimenti si procederà con i tagli di tipo lineare. In Italia, però, non si vuole tagliare mai, qualsiasi sia il colore del governo in carica. Ritengo che su questo punto ci saranno tensioni anche durante il passaggio parlamentare della manovra: non a caso Bossi ha detto che il governo non è al sicuro finché non verrà approvata.
L’opposizione sottolinea invece che il grosso dei tagli sarà nel 2013-2014, quando potrebbe essere in carica un altro governo.
Quando a Bruxelles è stato messo a punto il patto di stabilità rafforzato, Tremonti spiegò subito che la manovra aggiuntiva avrebbe riguardato il 2014-2015. Inoltre, se il pareggio di bilancio è stato fissato al 2014 è ragionevole che la manovra dispieghi il grosso dei suoi effetti nel 2013-2014.
Oggi dovrebbe essere varato anche il disegno di legge delega per la riforma fiscale, che con tutta probabilità non porterà a una diminuzione del carico fiscale, ma a una sua rimodulazione. Cosa ne pensa?
Si tratta della parte più delicata che il governo dovrà affrontare, perché influisce sulle possibilità di crescita reale futura. Una prima considerazione da fare è sul metodo. Si parla di una legge delega, che a sua volta dovrà “partorire” dei decreti attuativi: in pratica una replica di quanto visto con il federalismo fiscale, che dal 2009 ancora non è arrivato al capolinea. Lo strumento della legge delega è quindi certamente importante dal punto di vista dell’annuncio e della dichiarata volontà dell’azione governativa, però non è immediatamente operativo. Dal punto di vista del merito, viene mantenuta l’impostazione tipica delle politiche fiscali del ministro Tremonti e del centrodestra promessa fin dal 1994, con lo spostamento della tassazione dalle persone alle cose. La manovra che porterà a un aumento dell’Iva è contestata, oltre che dal ministro Romani, anche dalla grande distribuzione, dai commercianti e dagli industriali dell’alimentazione che vedono il rischio di una contrazione dei consumi già stagnanti. Si tratterà poi di capire, al di là dell’elemento positivo della riduzione delle aliquote fiscali da 5 a 3, cosa si riuscirà a fare sul terreno fiscale.
In che senso?
Anche qui vale quanto dicevo prima a proposito dei tagli: nella giungla così intricata di esenzioni e agevolazioni fiscali (circa 476 voci nel mirino per un gettito di 160 miliardi) bisognerà vedere che cosa si riuscirà davvero a tagliare e quali resistenze si incontreranno nel farlo. Le risorse che verranno fuori, insieme ai risultati della lotta all’evasione fiscale, serviranno per dare un colpo reale in direzione della riforma fiscale a favore dei redditi dei lavoratori e delle imprese. E questa è una cosa che chiedono tutti, ma qualcuno dovrà per forza rinunciare a dei “privilegi”.
Si parla anche di una riduzione graduale dell’Irap fino a una sua cancellazione nel 2014: una buona notizia per le imprese.
Su questo tema già negli anni passati sono state fatte delle promesse poi disattese, anche perché l’Irap assicura un gettito superiore ai 30 miliardi di euro che finiscono a finanziare la sanità. Credo che l’indicazione del 2014 vada letta in riferimento a quanto già previsto dal federalismo fiscale a proposito della facoltà data dal 2013 in poi alle regioni di ridurre questa imposta. La maggior parte del mondo imprenditoriale aspetta quindi con ansia di sapere se si procederà verso l’abolizione graduale di una tassa malvista sin dalla sua introduzione.
Per quel che riguarda le imprese, la manovra potrebbe contenere l’abolizione dell’Istituto nazionale per il commercio estero (Ice) e alcune liberalizzazioni. Sono misure che porteranno benefici?
Le imprese in questo momento attendono di conoscere i contenuti precisi e i dettagli operativi della manovra. Per quel che riguarda l’Ice, la stessa Confindustria un paio di mesi fa ha dichiarato che si sarebbe fatta carico del problema e ha sottolineato la necessità di privatizzare un ente che costa molto e ha un basso rendimento dal punto di vista dell’export italiano. Per quanto riguarda le liberalizzazioni, si tratta di uno di quei terreni in cui il governo ha fatto finora pochissimo, come dimostrato anche dall’ultima relazione al Parlamento del presidente dell’Antitrust. Nella manovra pare non ci sarà nulla riguardo gli avvocati e i notai (gli albi messi nel mirino dell’Antitrust). Evidentemente lì si andrebbero a toccare interessi corposi. È inutile però parlare di liberalizzazioni se ogni volta ci si ferma alla prima difficoltà.
In una lettera aperta al Presidente Napolitano, l’ex ministro Antonio Martino suggerisce di “spacchettare” il ministero dell’Economia da quello delle Finanze, in modo da favorire l’adozione di politiche di sviluppo. Cosa ne pensa?
L’esperienza del nostro Paese ci dice che abbiamo cominciato ad accumulare dosi massicce di debito pubblico proprio negli anni in cui le competenze in ambito istituzionale erano molto frammentate. Oggi il Mef riunisce le competenze che in passato erano di quattro ministeri, che spesso in governi di coalizione venivano distribuiti in una logica di “bilancino” politico a seconda delle esigenze del momento. La legge Bassanini ha aperto una positiva razionalizzazione di questo sistema. L’altra faccia della medaglia è che si concentrano nelle mani di una sola persona dei poteri molto forti, che lo pongono a volte quasi sullo stesso piano dello Premier. Non credo però che si possa tornare a spacchettare queste competenze. Già Prodi nel 2006 divise il welfare dalla famiglia e i risultati non sono stati buoni.
Forse un maggiore impulso allo sviluppo potrà arrivare grazie all’accordo siglato martedì sera tra sindacati e Confindustria sui contratti e la rappresentanza. Servirà a evitare l’uscita di Fiat da Confindustria? Favorirà l’attrattività degli investimenti esteri?
Certamente è un passo in avanti significativo e per certi versi rappresenta il coronamento di un percorso iniziato nel 2009 con la firma (non della Cgil) della riforma contrattuale che ha cominciato a spostare il suo baricentro sul lato aziendale e che ha permesso i contratti in deroga voluti da Marchionne. Ancora non sappiamo se questo accordo sarà sufficiente alla Fiat per rimanere in Confindustria. Certamente crea i presupposti affinché i contratti siano effettivamente esigibili fino in fondo. L’accordo sulla rappresentatività dovrebbe inoltre evitare di portare le relazioni industriali nelle aule dei tribunali, cosa che crea incertezza drammatica non solo per l’azienda di volta in volta interessata, ma anche per un investitore estero che vede spesso che i problemi non vengono risolti in un tavolo di confronto con il sindacato, ma davanti a un giudice. L’accordo è inoltre un segnale importante di coesione tra imprese e sindacati in un momento in cui nel Paese su molti altri fronti regna l’immobilismo.
(Lorenzo Torrisi)