Borse in rosso, titoli bancari nel mirino, euro sotto attacco a 1,40 sul dollaro e, soprattutto, aumento senza freni della pressione sui titoli di Stato italiani: il tasso di rendimento del Btp a 10 anni è salito al 6% e lo spread con il Bund si è ulteriormente allargato a 337,1 punti base. Evviva, i mercati festeggiano quella colossale buffonata degli stress tests!
Già, venerdì pomeriggio, a Borse chiuse, l’Eba (European banking authority) rendeva noto che solo otto banche europee su 90 non avevano superato gli stress test. Il fatto, poi, che le otto banche bocciate debbano, stando all’Eba, ricapitalizzarsi solo per 2,5 miliardi di euro lascia intendere che i criteri siano stati quantomeno blandi: come possiamo essere certi che le altre 16 banche che hanno passato l’esame per un pelo, per stessa ammissione dell’Eba, siano effettivamente in grado di reggere a scenari di crisi non testati, soltanto con qualche piccolo accorgimento al loro stato patrimoniale?
Già venerdì sera nella sale trading si parlava di “Chaotic Monday”, ovvero un lunedì di caos alla riapertura delle contrattazioni. Il perché è presto detto: puntualmente, si è avverata la previsione. I dettagli offerti dalle banche, infatti, sono stati molto maggiori rispetto a quelli dei tests dello scorso anno e il timore ora è che, con tante informazioni a propria disposizione, analisti bancari e manager di fondi saranno in grado di dar vita a giudizi indipendenti sul reale livello di capitale extra di cui necessitano le 90 banche poste sotto esame, e quindi, poter piazzare più efficacemente le loro scommesse, anche e soprattutto al ribasso.
«Penso che la prossima settimana vedremo il caos. È chiaro a tutti che i tests dell’Eba sono stati totalmente inadeguati. Ora abbiamo il weekend per lavorare e capire di cosa davvero hanno bisogno le banche», dichiarava venerdì al Telegraph un analista di una delle principali banche europee. Usando criteri più duri, gli analisti di Credit Suisse avevano reso noto che quattordici – e non otto – banche hanno fallito il test: di queste sette sarebbero greche e l’extra capitale richiesto toccherebbe quota 45 miliardi di euro. Moody’s, addirittura, calcolava 26 bocciature.
Il primo problema sta alla radice dell’attuale situazione. La ragione per cui il rollover bancario è così urgentemente spinto sta nella detenzione del debito greco, i due terzi del quale giace nei bilanci delle banche elleniche, le quali lo utilizzano come collaterale alla pari verso la Bce. Più nello specifico, il 67% del debito greco è detenuto da banche di quel paese, il 9% da banche tedesche e l’8% da banche francesi: a questo punto, quelle stesse banche elleniche che danno vita al rollover sul loro debito sovrano greco ricevono sussidi cash dalla Banca centrale greca, nei fatti finanziata dalla Bce. Sembra uno schema Ponzi, ma è come funzionano le cose attualmente.
Di più, nell’adverse scenario dell’Ebs esisteva una tabella 4 dedicata alla valutazione del taglio dei rendimenti sulle obbligazioni sovrane, un criterio che non è stato utilizzato nei tests. Bene, in base a quello schema – non applicato perché ritenuto rischioso e foriero di extra-bocciature – il picco di taglio dei rendimenti per la Grecia sarebbe sul titolo a 3 anni con un haircut del 29,5%: peccato che già oggi i suoi bonds Ctd (Cheapest-to-deliver, quelli che oltretutto rendono maggiormente a chi li vende), vengono contrattati con uno sconto del 50%! Ecco quindi spiegata la durezza del giudizio di Larry Elliott, responsabile dell’economia al Guardian, secondo cui «la Grecia è sull’orlo del fallimento, il contagio finanziario è arrivato fino a Spagna e Italia, ci sono sempre più voci che parlano di un euro che non sopravviverà nella forma attuale e l’Eba ci dice che solo otto banche non hanno passato gli stress test. Se credete a questo, crederete a tutto».
D’altronde, la lezione dello scorso anno parla chiaro: tutte le banche irlandesi passarono il test – così come quest’anno, nonostante siano tutte nazionalizzate e minaccino il taglio dei rendimenti sul debito senior – e nell’arco di tre mesi Dublino fu costretta a chiedere aiuto a Ue e Fmi per non andare in default a causa del loro debito. Inoltre, nelle intenzioni dell’Eba le valutazioni di quest’anno sarebbero state più stringenti e includenti più scenari plausibili: peccato che gli stress tests non includessero il default sul debito sovrano da parte di alcuno dei membri dell’Ue e nemmeno l’ipotesi di contagio dai cosiddetti periferici al nucleo forte dell’Unione, cosa che in realtà sta già in parte accadendo!
Certo, dal punto di vista dell’Eba ammettere che 25 o 30 banche non avessero passato il test, avrebbe significato giustificare il panic selling lunedì mattina, con i rendimenti delle obbligazioni degli Stati le cui banche erano state bocciate destinati a salire alle stelle. Peccato che, come già detto, la City abbia già contemplato questo scenario, nonostante le rose e i fiori dell’Eba. Ma criteri così morbidi per i tests potrebbero mandare un segnale inverso: ovvero, un sistema bancario innescato come una bomba a orologeria pronta a esplodere con l’acuirsi della crisi del debito sovrano nelle prossime settimane. Un qualcosa di quasi certo, vista l’inazione e i continui rinvii europei rispetto alla risoluzione del problema greco. Forse, sarebbe stato meglio e più realistico bocciare chi andava bocciato, obbligandolo a proteggersi maggiormente con cuscinetti di capitale d’emergenza.
Ma c’è di più. L’unico dato davvero interessante reso noto dagli stress tests è stato generalmente ignorato dalla stampa ma non da analisti e investitori
Nello scenario attuale, l’unica preoccupazione per il settore bancario appare quella della detenzione di debito sovrano di paesi a rischio insolvenza, ma occorre ricordare che gli istituti sono esposti anche attraverso conduits più semplici: ovvero, debito commerciale e retail. E quali sono le nazioni i cui istituti appaiono più esposti su questo fronte? Spagna, Italia e Francia. Al 31 dicembre scorso, Bnp Paribas, Credit Agricole, Bpce Group e Societe Generale detenevano circa 300 miliardi in prestiti e altro debito emesso da istituzioni e soggetti privati portoghesi, irlandesi, italiani, greci e spagnoli. Soltanto verso clienti spagnoli, le quattro banche transalpine sono esposte per 51 miliardi di euro.
Insomma, un combinato di debito sovrano e privato che fa paura. Ecco perché ieri le Borse hanno reagito con il pollice verso all’ottimismo dell’Eba. «L’esposizione nazione-su-nazione è il dato migliore che io abbia mai visto e ciò offre molte più cose di cui temere», sentenziava Alastair Ryan, analista bancario di Ubs a Londra. Evviva, lungi dal volerlo fare, l’Eba ha fornito un’arma di distruzione di massa agli investitori!
Il dato dello spread di ieri, poi, apre un fronte di fortissimo rischio per l’Italia. Il Tesoro si trova infatti a metà dell’opera del suo programma di raccolta maggiormente impegnativo, quello a medio-lungo termine: finora quest’anno sono andati in asta Btp e Cct per 142 miliardi, ne mancano all’appello 83 per arrivare a quota 225: solo ad agosto e settembre dovranno essere rimborsati 66 miliardi (20+46) di Btp in scadenza. I riflettori del mercato sono quindi puntati adesso sui prossimi appuntamenti delle aste italiane: il 26 luglio è programmata l’offerta dei Bot a sei mesi e dei Ctz, con un importo complessivo che potrebbe superare i 10 miliardi. Il 27 luglio sarà il turno dei Btp indicizzati all’inflazione, per 1 miliardo circa, mentre l’appuntamento più atteso resta quello del 28 luglio con il nuovo Btp triennale e il Btp decennale per un ammontare atteso tra 6,5 e 7,5 miliardi.
Inoltre, c’è un’ultima ma non secondaria variabile che grava sui piani di finanziamento del Tesoro: la crisi del debito Usa e lo stallo politico nei negoziati per giungere all’innalzamento del tetto di indebitamento. Il 2 agosto (deadline per l’innalzamento), infatti, è dietro l’angolo e quello che inizierà tra quindici giorni sarà proprio il mese più caldo della storia degli Stati Uniti per quello che riguarda il rifinanziamento del debito, con duration media di 2 anni
Si parla di qualcosa come 467,4 miliardi di dollari da rifinanziare ad agosto con la prima asta prevista due giorni dopo la deadline per innalzare il tetto di indebitamento. Una marcia a tappe forzate, figlia naturale della scelta di Ben Bernanke di rifinanziare debito a lungo termine con debito a breve o brevissimo (anche una sola settimana) per risparmiare sugli interessi. Detto fatto, Il 3 agosto il governo dovrebbe pagare 23 miliardi di dollari per la Social Security, il giorno successivo 90 miliardi di dollari di debito a maturazione, altri 90 l’11 agosto, mentre il 15 agosto il Tesoro dovrebbe pagare 26,6 miliardi di dollari di interessi sul debito, il 18 agosto altri 90 miliardi, il 25 agosto ben 110 miliardi e il 31 agosto altri 60,8 miliardi.
Di più, a questa cifra monstre se il debt ceiling dovesse essere alzato, ne andranno di fatti aggiunti altri 120 di miliardi per reinvestire il fondo pensione e il fondo per i disabili federali, entrambi “vittime” dei disinvestimenti compiuti da Tim Geithner nell’ultimo mese e mezzo per pagare interessi e cedole senza sfondare il tetto già raggiunto di 14,3 trilioni di dollari.
Se invece non sarà innalzato, quei soldi potrebbero sparire dalle tasche dei legittimi percettori – almeno per un po’ di tempo – visto che il pagamento del marketable debt negli Usa è prioritario rispetto alle cosiddette intragovernmental holdings, ovvero i fondi federali. Non a caso, ieri il cds sovrano degli Usa prezzava 56 punti base, il livello più alto dal febbraio 2010.
Il tempo stringe, insomma. E il rischio, per l’economia globale, cresce: gli ingredienti per una tempesta perfetta sono tutti sul tavolo.