La notizia è arrivata nel tardo pomeriggio di lunedì: il ministero dell’Economia ha deciso di non tenere le aste dei titoli di stato a medio-lungo termine di metà agosto. La ragione che viene addotta è che esiste un’ampia “disponibilità di cassa” e che vi sono “ridotte esigenze di finanziamento”. «In effetti – ci spiega Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze – ad agosto in cassa arrivano i flussi dell’autotassazione di luglio».



Ci spiega che cosa sono?

Si tratta dei conguagli delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche e dei versamenti delle imprese. Entrate che una volta inducevano a non tenere aste di titoli di Stato ad agosto, ma poi si è deciso di farle per “spalmare” meglio il collocamento nel corso dell’anno. Presumo che quest’anno questa liquidità sia stata particolarmente abbondante, perché le entrate hanno una dinamica crescente, soprattutto quando aumenta il tasso di inflazione, che fa salire anche retribuzioni e redditi. Ad ogni modo, il fatto che quest’anno si preferisca saltare l’asta di agosto può essere interpretato in due modi.



Quali?

Il primo è che il nostro bilancio vada meglio rispetto a quel che si crede e che il rapporto deficit/Pil sia già arrivato intorno al 3%. Il secondo è che il Tesoro non voglia andare incontro a un giudizio dei mercati in un periodo turbolento causato dalle incertezze sul dollaro. Io propendo per la prima ipotesi, anche se non mi dispiacerebbe che il ministero intervenisse per chiarire la situazione.

In che modo?

Basterebbe spiegare attraverso i numeri, e non con semplici dichiarazioni, la situazione della cassa. Quello che irrita di Tremonti è che, invece di dare esattamente il quadro della situazione di cassa, continua a fare dichiarazioni “ex cathedra”, avvalendosi solo della sua autorevolezza. Questo non si può sempre fare di fronte ai mercati internazionali, che hanno bisogno di numeri, non di credere a una persona. Questo è quindi uno sbaglio tecnico del ministro e non è il primo del genere, dato che negli ultimi mesi, nonostante il dibattito sulla manovra, non si è mai saputo a quanto ammonta esattamente il rapporto deficit/Pil. C’è il pericolo quindi che i mercati interpretino male il messaggio, come è accaduto nei mesi scorsi riguardo la manovra, che è stata poco spiegata coi numeri.



 

In precedenti occasioni, lei ha sottolineato la correlazione esistente tra fibrillazioni dei mercati e instabilità politica. Pensa che in Italia, con le voci persistenti di un governo tecnico, si rischi ancora dal punto di vista finanziario?

 

Sì, ed è per questo che auspico delle privatizzazioni e delle operazioni di vendita di patrimonio pubblico, in modo da rassicurare i mercati sul nostro debito. Il governo tecnico terrorizza i mercati perché indicherebbe che non c’è più una forza politica dominante e quindi non sarebbe facile attuare i programmi che sono stati deliberati. Sarebbe inoltre una Torre di Babele (data l’eterogeneità dei partiti coinvolti) fatta apposta per dare l’impressione che l’Italia, pur avendo approvato in tempi rapidi una manovra, per quanto discutibile in alcuni suoi aspetti, non riuscirà a raggiungere il pareggio di bilancio. Credo quindi che le fibrillazioni dei mercati continueranno perché la situazione politica resta ancora tesa.

 

Per quale motivo, secondo lei?

 

Perché nel Pdl non è ancora chiaro se la leadership di Berlusconi e di Alfano è robusta. Andrà poi visto il ruolo della Lega Nord, dato che senza di lei è impossibile avere una maggioranza che possa garantire che la manovra appena approvata sarà rispettata. Il fatto che il Capo dello Stato rilasci dichiarazioni sul possibile futuro ministro della Giustizia, infine, dà la sensazione agli osservatori internazionali che vi sia una difficoltà nei rapporti tra Governo e Presidente della Repubblica.

 

Per quanto riguarda la situazione degli Stati Uniti, pensa che si arriverà al default?

Non credo. Secondo me, bisognerà solo capire quale sarà la misura della sconfitta di Obama, che sta cercando in tutti i modi di convincere i Repubblicani ad ampliare il tetto del debito pubblico anche per il 2012. Dato, però, che si tratta dell’anno di campagna elettorale, è chiaro che i suoi avversari vogliano tenerlo sulla corda per costringerlo a una nuova trattativa l’anno prossimo e farlo diventare così un “Presidente dimezzato”, un’“anatra zoppa”. Ci sarà quindi un accordo, che non sarà risolutivo e che farà emergere la debolezza di Obama e del dollaro.

 

Secondo lei, è più grave la situazione degli Usa o quella dell’Europa?

 

La situazione più grave, in senso congiunturale, è sicuramente quella degli Stati Uniti. Tuttavia, si tratta di un gigante economico, militare, tecnologico, che possiede un’enorme quantità di materie prime. Al momento stanno perdendo quota per colpa delle politiche keyenesiane seguite da Obama e da tutta l’intellighenzia economica dominante a livello internazionale, mentre dovrebbe essere chiaro a tutti che l’economia basata sul bilancio in disavanzo e sulla demagogia della spesa sociale in deficit non può funzionare. Il modello europeo è, invece, vincente, ma ci sono stati alcuni paesi (Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia) che hanno adottato il modello americano del deficit spending, e sono persino stati esaltati dalla cultura internazionale per questo. Ora non sarà facile rimettere l’Eurozona in equilibrio.

 

(Lorenzo Torrisi)

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