Oggi a Mezzogiorno Giulio Tremonti, Renato Brunetta, Roberto Calderoli, Paolo Romani e Maurizio Sacconi illustreranno alla stampa i contenuti della manovra finanziaria correttiva approvata dal governo lo scorso giovedì e trasmessa ieri al Quirinale. Un’occasione per verificare quali sono le misure effettivamente previste (dopo le indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni) in questo decreto legge che vale 47 miliardi di euro in quattro anni e che tanto sta facendo discutere. «L’Italia non ha bisogno di manovre» ci dice non un esponente dell’opposizione, ma Antonio Martino, ex ministro degli Esteri e della Difesa, tessera numero 2 di Forza Italia, nonché Professore di Economia politica e ora deputato del Pdl.
Perché?
Perché si tratta di correzioni a una deviazione temporanea dal giusto tragitto. Se si verifica un imprevisto che ci fa spostare dal cammino di sviluppo che stavamo perseguendo allora si fa una manovra, in modo da rimetterci in carreggiata. Le manovre, quindi, servono quando un sistema sano viene colpito da una patologia temporanea. L’Italia, però, non è in questa situazione: è un sistema fisiologicamente malato. Basti pensare che la parte di spesa pubblica controllabile dal governo è molto piccola rispetto a quella totale. La maggior parte della spesa, a legislazione invariata, non può essere modificata dal governo.
Cosa bisognerebbe fare allora?
Abbiamo bisogno di cambiare la legislazione, di fare le riforme, in modo che si possa mettere un freno a quella massa di spesa che va a finire sprecata in un numero enorme di enti locali perfettamente inutili e a un numero enorme di imbroglioni che approfittano della sanità pubblica.
Ha ragione chi ritiene che la manovra varata dal governo sia “di sinistra”?
Non ne ho letto nel dettaglio i contenuti, ma potrei dire che l’avrebbe fatta così anche Visco. Questa è una manovra ispirata a idee di sinistra, socialiste e stataliste.
Cosa dovrebbe fare allora un governo di centrodestra in campo economico?
Dovrebbe attenersi alle promesse che abbiamo sempre fatto dal ’94 in poi: riforma del fisco e diminuzione della pressione fiscale. Ora, se si tiene conto che le tre imposte dirette (Ire, Ires e Irap) rendono il 14,6% del Pil si capisce che il sistema fiscale attuale frutta poco all’erario e danneggia enormemente alcune categorie di contribuenti (infatti, il popolo delle Partite Iva ha girato le spalle sia al Pdl che alla Lega). Se il gettito è così basso, inoltre, è evidente che ci sono persone, magari con redditi molto alti, che riescono, con l’aiuto di qualche abile tributarista, a non pagare le tasse, grazie all’erosione della base imponibile o all’elusione delle imposte. L’evasione fiscale esiste e va combattuta, ma non è la causa principale del mancato gettito.
Si potrebbe mettere un freno a queste “furbate”?
Se venissero rese impossibili queste “scappatoie” e si introducesse un’aliquota unica del 20% sui redditi, il gettito ipso facto aumenterebbe, perché erodere ed eludere costa. Quanto più alta è l’aliquota marginale d’imposta, tanto più conviene pagare il tributarista perché altrimenti si devono versare moltissime imposte. Se invece l’aliquota è unica e bassa, molta gente preferirà impiegare in maniera razionale il proprio reddito, dichiarandolo integralmente, considerato che pagherà soltanto il 20%.
Le agenzie di rating e la Commissione europea hanno però “sconsigliato” all’Italia un taglio delle tasse.
Le agenzie di rating sono composte da persone che possono sostenere tesi fondate o infondate, avere ragione o torto: non sono infallibili. Quel che dicono gli “eurosauri”, invece, non mi interessa affatto. Perché già si sono imposti sull’Irlanda, affinché accettasse aiuti per le sue banche. Il governo non li voleva, alla fine sono riusciti a farglieli prendere. Ma non è stato un atto caritatevole o generoso: loro sperano ancora di costringere Dublino, per via degli aiuti ricevuti, a elevare le aliquote d’imposta sulle società, perché gli investitori trovano molto più conveniente investire in Irlanda, che ha basse aliquote, anziché nel resto dell’Eurozona. Quello che loro vogliono fare è uniformare le aliquote al rialzo.
Insomma, il taglio delle tasse darebbe anche più senso alle politiche di rigore finora perseguite?
Le politiche finora perseguite non sono state di rigore, ma di punizione, nel senso che hanno punito e puniscono l’economia produttiva italiana. Se adottassimo l’aliquota unica, l’effetto di stimolo all’economia interna e agli investimenti esteri sarebbe talmente forte che l’Italia tornerebbe a crescere finalmente non con un tasso di poco superiore all’errore statistico, ma a ritmi sostenuti. Questo ci consentirebbe di ridurre il rapporto deficit/Pil e quello debito/Pil.
Prima ha parlato della necessità di riforme e la scorsa settimana lei ha anche scritto una lettera aperta al Presidente della Repubblica per chiedere lo “spacchettamento” del ministero dell’Economia. Perché ritiene necessario questo cambiamento?
Perché con la riforma Bassanini il ministro dell’Economia ha raccolto le competenze che a suo tempo erano dei ministri del Tesoro, delle Finanze, del Bilancio, delle Partecipazioni statali e del Mezzogiorno. Questo fa sì che tutti gli altri membri del Governo di fatto non abbiano alcun potere, perché non si muove foglia che il ministro dell’Economia non voglia, dato che lui tiene i cordoni della borsa. Ce ne siamo resi già conto nel periodo 2001-2006, perché anche allora a decidere era sempre il ministro dell’Economia, che si è anche impadronito di altri poteri, grazie al fatto che ha vinto facilmente il braccio di ferro con il ministro delle Attività produttive. Fintanto che ci sarà questa situazione, la collegialità del governo di fatto non esisterà e il presidente del Consiglio non sarà in grado di fornire alcun indirizzo di politica economica all’esecutivo. Ciò sminuisce anche quello che è l’impianto costituzionale ereditato dai padri costituenti.
A cosa dovrebbe portare concretamente questo “spacchettamento”?
Ad avere un ministro del Tesoro e uno delle Finanze: ci sarebbe quindi un ministero in più. Inoltre, andrebbero restituite alcune prerogative allo Sviluppo economico, che dovrebbe tornare a essere quello che è stato per un certo periodo, cioè il ministero dell’economia reale. Ciò che conta comunque è ripristinare la dialettica tra il ministro dell’entrata e quello della spesa, in modo che la sintesi venga fatta dal governo nella sua collegialità, secondo l’indirizzo che dà il Presidente del Consiglio.
La riforma Bassanini è però stata fatta per portare a una razionalizzazione e a dei risparmi di spesa.
L’obiettivo dichiarato era certamente questo, ma non mi sentirei di dire che sia stato raggiunto. Basti pensare che un esperto di diritto amministrativo, Linda Lanzilotta (che oltretutto è moglie dell’ex ministro Bassanini), è sempre stato assai dubbioso sulla validità di questa riforma.
In un intervento alla Camera dei deputati del 22 giugno scorso, rivolgendosi a Berlusconi lei ha fatto riferimento al programma di Forza Italia del 1994. La “rivoluzione” promessa 17 anni fa è ancora possibile?
Gli elettori non ci hanno mandato al governo perché gestissimo l’esistente, ma perché volevano che cambiassimo le cose. E hanno continuato a farlo, finché non si sono resi conto che non c’era l’intenzione di modificare lo status quo. A quel punto, per disaffezione non ci hanno più votato. La perdita dei voti, infatti, ha colpito anche la Lega, non solo il Pdl. Oggi quel programma resta ancora valido e penso che dovrebbe continuare a essere il nostro impegno prioritario.
Ora però Forza Italia è confluito nel Pdl, che venerdì scorso ha nominato Angelino Alfano segretario. Si apre un nuovo corso per il suo partito?
Il discorso che ha fatto Alfano mi ha convinto: dimostra che ha stoffa e credo che diventerà certamente un ottimo politico. Ora bisognerà vedere se questa nomina riuscirà a fare del Pdl un partito vero, non basato soltanto sul carisma personale del leader, ma destinato a durare nel tempo. Angelo Panebianco su Il Corriere della Sera ha elencato in modo superbo le difficoltà a cui andrà incontro Alfano. Solo il tempo potrà dire se ha ragione il pessimismo di Panebianco (che pure lascia aperta la possibilità di successo del segretario) o l’ottimismo di Alfano.
Alfano ha già però detto che il candidato alla carica di presidente nel Consiglio alle prossime elezioni sarà ancora Berlusconi. Cosa ne pensa?
Alfano non può lanciare ancora nessuna candidatura. Quando arriveremo al 2013 (se non ci saranno elezioni prima), se Berlusconi non volesse candidarsi (cosa di cui dubito fortemente), ci dovrebbero essere dei meccanismi interni al partito, come le primarie, per decidere chi debba prendere il suo posto.
Primarie diverse da quelle del Pd?
Assolutamente. Nel caso dovessero tenersi dovranno essere totalmente diverse, perché il Pd è riuscito a screditare il concetto di primarie. Anche perché quando le ha vinte qualcuno che non era gradito, immediatamente è stato nominato qualcun altro.
(Lorenzo Torrisi)