Dopo la pubblicazione dell’intervista a Francesco Forte sul quoziente familiare, oggi proponiamo alcune osservazioni puntuali del Professor Luigi Campiglio, uno dei maggiori sostenitori delle politiche a favore della famiglia.

1. Il quoziente familiare è un meccanismo fiscale con cui si realizza una situazione di equità orizzontale, cioè un’imposizione fiscale che tenga conto della differente capacità contributiva di famiglie con differente numero di componenti e figli, oltre che di particolari bisogni della famiglia. Il quoziente familiare ha come riferimento di base il reddito familiare e poiché la famiglia è la fondamentale unità decisionale di spesa, oltre che di offerta di lavoro, la politica fiscale è efficace solo se ha come riferimento il reddito familiare. In Italia un meccanismo simile è applicato per l’erogazione di molti servizi pubblici, ma non ai fini di un’equità orizzontale delle imposte dirette.



2. In Italia il problema dell’equità orizzontale è particolarmente acuto. Nel grafico che segue si mostra la dinamica del reddito familiare prima delle imposte al variare del numero dei figli, così come da noi calcolato sulla base di uno studio sulle famiglie fiscali da parte del Ministero dell’Economia e del Dipartimento delle Finanze.



Appare evidente come il reddito medio totale delle famiglie aumenti all’aumentare del numero di figli, in particolare con il primo figlio, mentre l’aumento del reddito si appiattisce dal secondo figlio in poi: il reddito per componente diminuisce perciò all’aumentare del numero di figli e in teoria ciò dovrebbe essere compensato dal meccanismo delle detrazioni. Per il 2011, la detrazione per il coniuge a carico è di 690-720 euro per redditi fra 15.000 e 40.000 euro e diminuisce in modo rapido oltre i 40.000 euro. Per i figli la detrazione base teorica è di 800 euro per figlio: in realtà, la detrazione effettiva diminuisce all’aumentare del reddito e si dimezza, per un figlio oltre i 3 anni, con circa 40.000 euro. Infine, l’assegno al nucleo familiare per i figli diminuisce invece rapidamente, già a partire da 20.000 euro.



Nel complesso si deve concludere che con l’attuale sistema fiscale esiste un limitato sostegno ai redditi molto bassi, ma non esiste una distinta e identificabile politica familiare, in particolare a favore dei redditi medi, non troppo ricchi ma nemmeno troppo poveri. È evidente perciò l’elevata disuguaglianza economica che l’attuale sistema fiscale provoca. La situazione appare ancora più evidente e grave se consideriamo le famiglie monoreddito con coniuge: il livello di reddito è di circa 20.000 euro e non varia al variare del numero dei figli. Una situazione analoga si osserva anche nel caso delle famiglie monoreddito senza coniuge.

Come caso particolare possiamo considerare la distribuzione familiare del reddito per il Comune di Milano (dati forniti dal prof. Mario Mezzanzanica), interessante perché evidenzia il problema nell’ambito di una grande area metropolitana, con uno scenario più omogeneo sul piano economico e fiscale.

 

 

I valori di reddito sono più elevati – rispetto alla media nazionale -, ma ciò comporta un minor livello di detrazioni e quindi una maggiore pressione fiscale sulle famiglie. Per le famiglie bireddito, il reddito lordo è maggior con un ordine di grandezza che probabilmente è proporzionato all’aumentare del numero di figli, ma anche al maggior costo delle abitazioni, mentre tuttavia nel caso delle famiglie monoreddito senza coniuge il reddito familiare non è di molto superiore a quello nazionale, specialmente quando si tenga conto del più elevato costo della vita nel capoluogo lombardo.

Per le famiglie monoreddito con coniuge il sistema fiscale di detrazioni fiscali e di assegni al nucleo per i figli è drasticamente ridimensionato per i redditi medi o medio bassi. Nel caso delle famiglie moreddito senza coniuge con figli la loro condizione di sfavore fiscale appare invece più accentuata e quindi vincolate le opportunità di vita dei minori che in queste famiglie vivono. Questa grave situazione di regressività e disuguaglianza ci pare rappresenti un’indicazione prioritaria per il nuovo Sindaco di Milano.

3. La distinzione fra famiglie bireddito e monoreddito rispecchia il grande cambiamento che si è realizzato fra il XX e il XXI secolo: nel XX secolo era ancora dominante la coincidenza fra reddito familiare e salario del singolo percettore (il maschio breadwinner), mentre alla fine del XX e nel XXI secolo il modello familiare è quello di entrambi i coniugi che lavorano. Ciò avviene sia come conseguenza della maggiore offerta di donne sul mercato del lavoro, sia del fatto che il salario familiare non è più sufficiente al mantenimento della famiglia: siamo cioè in presenza di un inadeguato aumento dei livelli salariali. La politica sindacale rischia perciò di camminare un passo indietro rispetto alla storia, quando invece dovrebbe camminare più solidamente su due gambe: quella della contrattazione d’impresa e quella di una politica familiare.

 

4. L’aumento della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro rappresenta un’onda lunga della storia, che porta in primo piano la necessità di una strutturale conciliazione dei tempi di vita e di lavoro della donna lungo la sua intera vita professionale: ma perché questa si concretizzi è necessario anche un parallelo aumento della domanda da parte delle imprese. Un’indiscriminata agevolazione a favore dell’offerta delle donne potrebbe produrre il paradossale risultato di diminuire o far mancare l’unico reddito disponibile nelle famiglie monoreddito: ma il mercato non può selezionare la sua domanda di lavoro sulla base della dimensione familiare. Ciò che conta è il reddito familiare e la conseguenza di alcune proposte in circolazione sarebbe solo quella di mantenere invariato il reddito familiare, ma costringendo entrambi a lavorare più ore per il mercato anche nel caso delle famiglie bireddito.

 

5. È quindi necessaria un’organica e strutturale politica familiare e in questa direzione il modello francese ha dimostrato di funzionare in modo efficace, sia dal lato dell’imposizione fiscale, con il quoziente familiare, sia dal lato degli altri momenti della vita familiare, come quello dell’accoglimento alla nascita, del costo per la cura dei figli, per la loro istruzione, l’acquisto o l’affitto dell’abitazione, la cura di situazioni fisiche particolari. Nel modello francese l’unità di riferimento centrale è il reddito familiare, perché questa è ormai la condizione necessaria per l’efficacia di una politica fiscale e più in generale di welfare, inevitabilmente familiare e centrata sui figli, quando esistono.

 

6. Non corrisponde ai fatti che il quoziente familiare diminuisce la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è stata in tendenziale aumento sia in Francia, dove opera il quoziente familiare, sia in Italia dove invece non esiste.

 

7. In Francia il quoziente familiare è semplicemente il risultato della divisione del reddito familiare per il numero delle parti (componenti): il genitore solo o la coppia valgono 2, il 1° e il 2° figlio valgono 0,5 parti, il 3° vale 1, il 4° e i seguenti valgono 0,5. L’aliquota e l’imposta vengono calcolate sulla base del risultato di questa divisione, cioè del reddito diviso la somma delle parti: l’imposta (progressiva) sulla parte viene poi nuovamente moltiplicata per il numero delle parti per ottenere l’imposta totale della famiglia.

8. Non corrisponde alla realtà che il quoziente familiare favorisce i redditi elevati, per il semplice motivo che il beneficio fiscale viene annualmente plafonato. Supponiamo che nel 2011, in Francia, una coppia sposata con un figlio (2,5 parti) abbia un reddito imponibile pari a X e un’imposta, calcolata sulla base del quoziente, pari a Y. Supponiamo che senza tener conto del figlio l’imposta sarebbe di Z. La differenza d’imposta è pari alla differenza Z-Y, ma il beneficio d’imposta dovuto al quoziente in Francia per il 2011 è plafonato a 2.336 euro e di conseguenza l’imposta finale sarà uguale a (Z-2.336), invece che Y.

 

9. Il quoziente familiare rappresenta un meccanismo fiscale semplice e intuitivo, difeso dall’intera società francese, indipendentemente dalle convinzioni politiche, e nessun politico correrebbe il rischio di perdere le elezioni tentando di abolirlo. Chi ci ha provato ha dovuto rapidamente ricredersi e tornare sui propri passi.

 

10. Il quoziente familiare ha il fondamentale vantaggio di essere automatico, senza dipendere dalla discrezionalità politica: l’automatismo del meccanismo di equità orizzontale deriva dal semplice fatto di dividere il reddito familiare disponibile. Il quoziente protegge perciò, almeno parzialmente, le famiglie dal drenaggio fiscale.

 

11. La famiglia italiana è invece ostaggio della discrezionalità politica: un esempio eclatante è il limite di reddito considerato per essere considerato familiare a carico, fermo a 2.841 euro dal 1995, con ciò alimentando il lavoro nero e precario dei giovani che ancora vivono in famiglia. La politica non dà ma prende alla famiglia, come è avvenuto con la manovra sulle aliquote Inps nel 1996 per finanziare la riforma delle pensioni, per un importo, prelevato dalla gestione degli assegni familiari, degli asili e della Gescal, pari a 8,5 miliardi all’anno (a prezzi 2008)

 

12. La politica per la famiglia deve essere stabile nel tempo in quanto risponde alla condivisione di lungo periodo di un medesimo bene comune. Occorre quindi essere pragmatici e non ideologici, perché non si può continuare a pensare che il quoziente familiare sia di “destra” e gli assegni familiari di “sinistra”: sono necessari entrambi. È fondamentale che ogni innovazione sia stabile, duri almeno vent’anni.

 

13. La disuguaglianza d’imposta attualmente esistente fra famiglie con figli e senza figli, famiglie monoreddito o bireddito, è all’origine di un’accentuazione delle disuguaglianze sociali, con ripercussione pervasive sul tenore di vita delle famiglie e dei figli, in particolare quelle monoreddito. A ciò si deve aggiungere come la mancanza di un welfare a favore della famiglia accentui e aggravi il grave fenomeno della precarietà giovanile e pregiudichi le prospettive di crescita e sviluppo del Paese.

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