L’ondata di vendite sulla Borsa di Milano e l’aumento del costo di rifinanziamento del debito italiano avvenuti la settimana scorsa non sono stati normali. Non appare nemmeno spontaneo riposizionamento del mercato in base a puri calcoli tecnici di rischio. C’è una pressione anomala contro l’Italia. Se continuerà nelle prossime settimane c’è un serio rischio di implosione del sistema finanziario-bancario italiano con conseguenze sulla stabilità dell’intera Eurozona.



La catena degli eventi, come la vedo io, è la seguente, semplificabile in tre dinamiche: (a) l’indecisione della politica statunitense nel porre un tetto al debito e quella europea, tedesca in particolare, nel garantire i debiti delle euronazioni ha creato un shock nel mercato finanziario globale abituato a considerare i titoli di debito in dollari ed euro come pilastri solidi di ancoraggio, creando una crisi di sfiducia; (b) questa ha colpito i sistemi finanziari e la credibilità del debito dei Paesi più deboli o per entità del debito stesso, come l’Italia, o per fragilità del sistema economico, come la Spagna, o per una combinazione dei due fattori, come Grecia e Portogallo; (c) tale spinta tecnica al ribasso ha permesso a chi ha intenzioni speculative/strategiche di amplificarlo impiegando poche risorse, in particolare contro l’Italia diventata più vulnerabile per la crisi politica che ne inabilita l’azione di governo e per gli errori di politica economica che deprimono la crescita.



In sintesi, la dinamica non è stata messa in moto da intenti speculativi/strategici, ma questi hanno trovato una finestra di opportunità per agire nel clima di sfiducia generalizzata. Quali intenti? Portare il debito italiano verso una condizione di insolvenza, aumentandone il costo di rifinanziamento fino all’insostenibilità, comporterebbe una crisi dell’euro. I debiti greco e portoghese, in proporzione, sono piccoli e copribili dall’intero eurosistema nel momento in cui le due nazioni non sono in grado di sostenerli e ripagarli. Ma quello italiano è talmente grande da eccedere le capacità del sistema di garantirlo. Quindi la crisi di insolvenza del debito italiano è lo strumento per mettere in crisi l’euro.



Chi ha interesse a farlo? In teoria, l’America e il sistema finanziario statunitensi sono preoccupati dal fatto che il dollaro stia perdendo credibilità come moneta di riferimento mondiale. Un deflusso globale dal dollaro ucciderebbe l’economia statunitense (e il mercato globale per implosione della sua locomotiva). Se l’euro andasse in crisi, non necessariamente fino alla sua dissoluzione, il mercato dovrebbe restare sul dollaro, pur debole, perché l’euro sarebbe valutato ancor più debole e altre alternative non ce ne sono (Franco svizzero, oro, ecc. sono di dimensioni troppo piccole per ricevere i flussi globali di capitale, lo yen è minato dal debito e lo yuan cinese non affidabile).

Quindi dalla crisi dell’euro guadagnerebbero dollaro e sterlina, la seconda di più e con essa la piazza finanziaria di Londra. Andrei a cercare in quei dintorni. A questi movimenti strategici, poi, aggiungerei altri speculativi più specifici. Certamente qualcuno sta cavalcando l’ondata ribassista sull’Italia per poi poter comprare a prezzi di saldo importanti aziende nazionali. Ma tale speculazione è normale.

Cosa fare? Poiché l’attacco è all’euro, l’Italia può fare poco, anche se deve dimostrare di avere un governo solido e capace. Ma Ue e Bce possono fare tantissimo. Se dimostrano subito la volontà di aumentare il fondo di garanzia solidale per gli eurodebiti l’attacco contro l’Italia perderà forza.

 

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