Un milione di robot entro tre anni. È questo il piano della Foxconn International Holdings, multinazionale leader nei componenti elettronici, un giro d’affari da 60 miliardi di dollari che rifornisce dispositivi come iPhone, iPad Apple, PlayStation Sony e i grandi marchi dell’elettronica come  Dell, Nintendo, Microsoft o Nokia. Una notizia, annunciata dal fondatore Terry Gou, che mette a rischio il lavoro dei dipendenti, un milione e duecentomila persone circa distribuiti in tredici fabbriche cinesi. Un piano che non ha precedenti nella storia. Già in passato si era parlato della Foxconn holdings a causa dei numerosi suicidi avvenuti tra gennaio e febbraio. Quattordici casi sospetti che aprivano uno squarcio desolante sulle condizioni di lavoro e le probabili discriminazioni razziali tra dipendenti cinesi e dipendenti di Taiwan.
Se la decisione verrà presa potrebbe estendersi ad altri settori generando un effetto domino difficilmente prevedibile. Un mutamento che potrebbe ricordare quanto avvenuto nel settore dell’auto in America. «Sono numeri che spaventano anche per effetto della globalizzazione – dice a IlSussidiario.net Fiorenzo Colombo, direttore di Bibliolavoro, l’istituto culturale per la formazione sindacale della Cisl -. I sistemi, infatti, non sono più chiusi, ma interdipententi. Questo rende lo stabilimento di cui stiamo parlando uno stabilimento “globale”, le cui decisioni, avranno degli effetti che andranno al di là dei propri confini nazionali». Ha senso però opporsi all’automazione? «No, stiamo parlando di processi inarrestabili, che abbiamo vissuto anche noi negli anni Settanta e Ottanta nel campo dei servizi e dell’attività manifattureria. L’automazione ha ridotto gradualmente il numero dei siti produttivi ha portato alle prime fusioni aziendali, ha portato a ridiscutere gli orari di lavoro e nel tempo ha portato gli stabilimenti verso Est. Un processo che non sembra proprio doversi arrestare».



E’ una sfida che come Sistema Italia rischiamo di perdere? «Una battaglia, quella sui costi di produzione, che sicuramente perderemo. Noi dobbiamo giocare su un altro campo». Quale? «Quello dei prodotti ad alto valore aggiunto. Certe produzioni si sposteranno inesorabilmente dove la manodopera costa meno e dove c’è lo spazio per  costruire centri di produzione lineari». E quale sarà invece il destino dei lavoratori cinesi? «Purtroppo in Cina non c’è ancora un grande sindacato libero dal regime. Se da un lato penso che potranno trovare impiego nelle nuove produzioni che presto arriveranno, visto che l’espansione cinese non si è ancora fermata, dall’altro lato temo che pagheranno alti costi sociali, passando attraverso processi di disoccupazione lunghi o trovando autonomamente impieghi diversi, magari a parecchi chilometri».

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