C’è un secondo punto della manovra che lascia perplessa Paola Garrone, docente al Politecnico di Milano di Economia dei Servizi e Reti. I comuni italiani hanno partecipazioni in grandi colossi come A2A, Sea ed Expo. È il caso del comune di Milano. Ma secondo i calcoli fatti dal Corriere della Sera, il capitale di una città di media grandezza come Salerno conta su 17 società, dalla Centrale del latte al Parco scientifico e tecnologico. In altre parole la “perla” di un’epoca storica italiana, quella delle municipalizzate, ha sempre costituito un tesoretto per i comuni e inoltre ha garantito dei sevizi con una certa equità. È vero che poi queste municipalizzate sono diventate anche centri di potere comunale, ad appannaggio di alcuni partiti, scadendo nella loro funzione di servizi. Il problema di liberalizzare queste aziende municipalizzate si è posto da tempo, tra polemiche anche roventi e necessità altrettanto utili per un servizio migliore e più efficiente da garantire ai cittadini.



Il problema che si presentava per le gestione dei servizi comunali era quello di approntare delle gare, ad esempio. In definitiva si è cercato in questi anni di dibattito di introdurre un principio fondamentale: prima liberalizzare e poi privatizzare. Paola Garrone su questo dice in modo secco: “questo è un passaggio fondamentale: prima la liberalizzazione, poi l’eventuale privatizzazione. Altrimenti non si fa altro che sostituire a dei monopoli pubblici dei monopoli privati”.



In realtà questo fatto, su aspetti simili, si ripresenta dopo anni con un’aggravante. Partiamo da quest’ultima. Proprio nel mese di giugno sono stati approvati dei referendum che hanno abolito il “decreto Ronchi” e le gare relative. A questo punto si potrebbe aprire una stagione come quella dei primi anni novanta, su cui il nuovo Governatore della Bce dovrebbe essere molto avvertito. Fu la cosiddetta stagione delle privatizzazioni, che proprio in quella occasione non fu preceduta da una impalcatura di liberalizzazione necessaria. Su questo punto insisteva costantemente un uomo come Lorenzo Necci, ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, che pagò amaramente questa battaglia del prima liberalizzare e poi privatizzare. La sostanza è che le privatizzazioni italiane fatte all’inizio degli anni novanta hanno certamente portato un beneficio di cassa al bilancio dello Stato. Ma conti fatti, infinitamente inferiore al valore reale dei “pezzi” di Stato venduti. Tanto che qualcuno parlò di un’autentica svendita per favorire l’entrata dell’Italia nell’euro con il primo gruppo.



È auspicabile che, per raccogliere i soldi necessari a superare la crisi attuale, non si ripeta il copione degli anni novanta. “Insomma – dice Paola Garrone – che non si operi una sorta di svendita e poi si vada a finire in un territorio di monopolio privato”.

In questo caso ci vorrà la massima attenzione. Già si polemizza ancora sulle privatizzazioni che hanno segnato una svolta per l’Italia. È auspicabile che questo non avvenga per le municipalizzate.

(gdr)