Le scorse settimane sono state all’insegna di andamenti di Borsa alquanto insoliti, con Piazza Affari capace di aprire in netto rialzo, ma di chiudere poi la seduta con cali superiori al 4%. E la stessa cosa è successa a Wall Street e sulle altre piazze internazionali. Difficile trovare una spiegazione univoca per questo andamento dei mercati. «Non è che le Borse – ci spiega l’economista e banchiere Ettore Gotti Tedeschi – sono oggi sulle montagne russe: sono cresciute in maniera ingiusta negli ultimi 25 anni e oggi ne si paga lo scotto».



Cosa è successo in tutto questo arco di tempo?

Dagli Ottanta in poi, soprattutto in America, la crescita è sempre stata sostenuta con criteri “consumistici”: sono stati spinti i consumi e ridotti i risparmi; si è fatto crescere il Pil della popolazione mentre questa diminuiva a ritmi vertiginosi e, dato che un sistema economico non può crescere se non cresce anche la sua popolazione, il Pil è stato fatto aumentare attraverso i consumi, ma questo vuol dire privarsi dei risparmi. Non è un caso che in Italia 25 anni fa il risparmio sul reddito prodotto fosse tra il 25% e il 27%, mentre oggi è inferiore al 5%. Vuol dire che quello che 25 anni fa veniva messo da parte per comprarsi la casa o per pagare l’università ai figli è stato progressivamente assorbito dai consumi. Negli ultimi 15 anni la situazione si è poi aggravata.



Perché?

Perché la crescita è stata esageratamente a debito, soprattutto nel mondo americano. Certamente si può fare debito, ma se questo serve a fare investimenti è facile ripagarlo, mentre se lo si fa per consumare prima o poi arriva un conto salato. Tra il 1998 e il 2008 il Pil degli Usa è cresciuto mediamente al 3,5% l’anno. Di questo tasso, il 2,8% era però dovuto alla crescita del debito delle famiglie americane. Quindi l’80% della crescita Usa era dovuto all’indebitamento e quando le famiglie non sono riuscite più a pagare la rata del mutuo tutto è crollato. Quando i mercati hanno scoperto che la crescita reale per dieci anni è stata dello 0,7%, hanno fatto questa considerazione: tutte le imprese quotate che hanno denunciato in Borsa una certa crescita sono cresciute in realtà molto meno; quali saranno allora le loro reali prospettive nei prossimi anni? Ed ecco quindi il crollo del 2008. Del resto, il valore di Borsa è rappresentativo del futuro di un’impresa: quanto crescerà, quanto investirà, quanto sarà il suo profitto.



Questo spiega la Grande Crisi del 2007/2008, a cui, però, si è cercato di rispondere con precise politiche economiche…

Sì, dopo il 2008 gli Usa e l’Europa hanno stabilito delle exit strategy diverse tra loro per uscire dalla crisi: negli Usa, dove era altissimo il debito delle famiglie e basso quello pubblico, lo Stato è intervenuto per salvare il debito delle famiglie (“nazionalizzazione del debito delle famiglie”) sostenendo le banche. Le banche non erano deboli, ma lo stavano diventando perché il debito delle famiglie non veniva rimborsato. In altre parti d’Europa, invece, era alto il debito degli stati rispetto a quello delle famiglie e quindi c’è stata la “privatizzazione dei debiti pubblici”. Adesso ci si è resi conto che queste exit strategy non stanno funzionando e quindi si è creata grande incertezza sui mercati, perché gli Usa hanno perso una certa dose di credibilità nel loro ruolo di guida globale, l’Europa è in difficoltà dato che ha una moneta unica, ma non un governo unico, e stanno crescendo i paesi asiatici: è come se fossimo di fronte a un nuovo ordine economico mondiale. A questo punto i mercati e le Borse ne risentono e si chiedono cosa fare.

 

Secondo lei, cosa faranno?

 

Probabilmente usciranno da una parte ed entreranno da un’altra; magari stanno già vendendo i titoli in Occidente e li stanno comprando in Asia. Poi c’è anche l’effetto della speculazione che segue le tendenze. Se quindi la tendenza è uscire da un mercato per entrare in un altro, la speculazione anticipa e accelera questo fenomeno. Quello che stiamo vedendo oggi, lo ribadisco in ogni caso, è il consolidamento di una situazione che era già “malata” da 25 anni. Il male che noi oggi stiamo sopportando è l’esasperazione del voler far aumentare il Pil nel mondo occidentale, che non poteva crescere con naturalità perché ha deciso di non fare figli. Dobbiamo renderci conto di questo, perché a volte anche nel mondo cattolico ci si vergogna di dirlo. Crescita zero vuol dire che il Pil aumenta solo se le persone consumano di più e quando le persone non hanno quasi più redditi per consumare si indebitano, i valori delle imprese si gonfiano, perché si pensa che il tasso di crescita sia alto, e quando ci si rende conto che la crescita non era reale si sgonfiano.

 

Lei prima ha detto che in Europa gli stati con alto debito hanno deciso di “privatizzarlo”. In che modo?

 

Anzitutto coi tassi di interesse zero, che aiutano chi è indebitato, ma penalizzano chi risparmia. Poi si può decidere di usare la patrimoniale, che scoraggia il risparmiatore, ma soprattutto non serve a rilanciare l’economia. Un debito pubblico si assorbe solo con la crescita economica; se invece si assorbe vendendo beni pubblici o con imposte più o meno patrimoniali si riduce sì il debito, ma gli introiti vengono poi usati per nuova spesa pubblica. Usare il risparmio per chiudere il debito pubblico vuol dire privare il Paese di una risorsa essenziale per lo sviluppo economico: il denaro che confluisce nel sistema industriale, che crea ricchezza e occupazione. Se per una questione di emergenza si è costretti a interventi significativi, meglio comunque un’imposta sui redditi che una patrimoniale, perché l’uso di quest’ultima equivarrebbe a dire che non si vuol far crescere l’economia per assorbire il debito pubblico. Tanto per essere chiari, è inutile sprecare il risparmio con una patrimoniale che andrebbe a ridurre di quasi niente il debito pubblico e che permetterebbe di fare nuova spesa pubblica. Una patrimoniale è il tipico esempio del cittadino che diventa sussidiario ai bisogni dello Stato, invece che essere il contrario.

 

Per l’Italia il debito pubblico sembra però una zavorra fortemente penalizzante agli occhi dei mercati.

Il vero debito di un Paese non è quello pubblico. Il debito di un sistema economico di un Paese è fatto da quattro debiti: quello pubblico, quello delle banche, quello delle famiglie e quello del sistema industriale. Se si risana solo il debito pubblico e si lasciano scoppiare gli altri non si è risolto il problema. È vero quindi che abbiamo un debito pubblico in percentuale del debito totale del sistema economico alto, ma lo abbiamo più basso di altri paesi nel debito non solo delle famiglie, ma anche delle banche e del sistema industriale. Ho l’impressione che siamo penalizzati soltanto per una parte del debito totale, perché dall’altra parte noi siamo virtuosi. Lo dimostra il fatto che il risparmio delle famiglie italiane è sei volte il debito pubblico. Gli altri paesi forse arrivano alla metà.

 

Secondo lei, l’Italia come potrebbe uscire da una situazione critica fatta di crescita bassa, fibrillazione dei mercati e alto debito pubblico da rifinanziare?

 

Quando si è in una situazione critica occorre guardare alle capacità che si hanno per poterne uscire. In Italia ci sono il sistema industriale delle Pmi che traina, continua a crescere e crea occupazione, e il grande risparmio degli italiani. Poi abbiamo delle banche solide, molto più di quanto qualcuno sostiene e di tante altre realtà economiche. Conseguentemente, se attraverso il sistema bancario, o la Cassa depositi e prestiti (perché già ci sta pensando), creassimo un fondo in cui convogliare una piccola parte del risparmio liquido (non in immobili, in azioni) degli italiani – il 10% del risparmio totale -, lo potremmo poi dirigere verso il sistema delle Pmi per aiutarlo a ricapitalizzarsi. Potrebbe essere un grande fondo generato dal Governo, promosso attraverso Confindustria, che usa le banche come veicolo e che si convoglia verso le Pmi, che alla fine è come se avessero un Core Tier ratio più alto.

 

Che benefici avrebbe un fondo del genere?

 

Permetterebbe alle Pmi di avviare subito dei piani strategici aggressivi, di avere più garanzie per ottenere finanziamenti dal sistema bancario e di raccogliere altro capitale di equity dai grandi fondi che sono pieni di soldi, ma non sanno come investirli. C’è, infatti, enorme liquidità in giro, ma quello che manca è il capitale di rischio, l’equity. In Italia abbiamo molto risparmio e sarebbe bene trasformarlo in piccola parte in equity per il sistema industriale italiano: questo farà ripartire l’economia italiana. Senza dimenticare che questo investimento permetterebbe di salvaguardare l’occupazione, che è il vero “ventre molle” della crisi.

 

Che ritorni avrebbe per i risparmiatori italiani?

Sarebbe un vero investimento in impresa che immagino come obbligazionario convertibile, quindi con un certo rendimento, anche se piccolo. Servirebbe a portare fondi a chi fa sviluppo e quindi porterà come vero ritorno per i cittadini quello di far diminuire il debito pubblico. Se infatti un’azienda cresce, crea ricchezza, appeal, consumi e redditi, con i quali si pagano le tasse che servono a ridurre il debito. Bisogna capire che le risorse economiche sono scarse in natura, soprattutto il risparmio, ed è bene utilizzare al meglio. La creazione di questo fondo è la vera alternativa al metodo della patrimoniale. Mi spiego con un esempio: c’è un naufrago su un’isola deserta che ha 10 litri d’acqua potabile e spera che in 10 giorni passi una nave. L’acqua è come se fosse il risparmio: è meglio usarla per lavarsi la faccia (diminuire il debito pubblico) e apparire meno sporco o soltanto per bere e mantenersi in vita (alimentando le imprese) per il futuro? La patrimoniale è estetica, mentre l’investimento in imprese è realtà economica.

 

Stanti i valori sui mercati e la situazione di crisi, pensa che le imprese italiane, che sono il volano della nostra crescita, possano finire nelle mire di qualche soggetto straniero?

 

Questo è un problema che, secondo me, riguarda tutta l’Europa. È ovvio che a questi livelli così bassi di valutazione e con la fame che c’è di risolvere i problemi, qualsiasi fondo sovrano o internazionale che ha i soldi ha vita facile a convincere il proprietario di un’azienda a vendere. La Cassa depositi e prestiti ha costituito un fondo strategico che serve a difendere le aziende italiane da acquisizioni ostili o predatorie. Ed è un bene, perché ci sono delle imprese che noi dobbiamo tenere per noi stessi, in quanto costituiscono quella struttura portante dell’economia di cui non ci si può privare: energia, difesa, infrastrutture, banche.

 

(Lorenzo Torrisi)