La situazione economico-finanziaria internazionale riferita ai grandi poli sviluppati (Usa, Ue, Giappone) appare ancora molto preoccupante. Di conseguenza lo è anche quella italiana, che di suo ci aggiunge una notevole dose di instabilità governativa, di conflittualità politica permanente, di verbosità declamatoria di molte categorie. Impossibile commentare tutto ciò. Per questo ci concentreremo sulla Uem e sull’Italia, con una premessa sugli Usa.



Negli Usa la vicenda dell’innalzamento del tetto del debito pubblico stabilito per legge poco sopra i 14mila miliardi di dollari entro oggi, data fissata dal Tesoro Usa e quindi largamente convenzionale, sta provocando effetti a catena su tutta la finanza internazionale. L’accordo tra il Presidente Usa e i Repubblicani sembra sia stato raggiunto salvo approvazione parlamentare. Ma l’incertezza aveva già messo in moto un meccanismo che prevedeva la cessazione di tutti i pagamenti delle pubbliche amministrazioni federali oltre il debito plafonato.



Gli effetti di ciò sull’Italia sono già stati gravi perché i Fondi monetari e altri Fondi americani si erano già avviati ad avere liquidità per far fronte ai riscatti di clienti che a loro volta necessitano di dollari. La vendita di titoli di stato italiani da parte di questi Fondi ha già avuto corso sia pure parziale in considerazione che i nostri titoli sono molto liquidi e anche meno affidabili di altri europei. Speriamo adesso che l’accordo sul debito Usa fermi questo meccanismo

Su tutto ciò si innestano poi le agenzie di rating, verso le quali le critiche si accentuano, e la speculazione. Argomenti dei quali non ci interesseremo qui e ai quali abbiamo dedicato l’articolo “Agenzie di rating troppo influenti. Un monopolio che va limitato” su Il Corriere della Sera del 9 luglio 2011.



Nella Uem, dopo il Vertice dei capi di stato o di governo del 21 luglio che ha preso importanti decisioni (allungamento delle scadenze fino a 30 anni con tassi molto bassi per i prestiti a Grecia, Portogallo e Irlanda; ampliamento del potere di azione del Fondo europeo di stabilizzazione che potrà acquistare titoli di stato sul mercato secondario; preannuncio di una agenzia di rating europea e altro ancora), c’è stato un miglioramento dei tassi di interesse sui titoli di stato dei paesi di eurolandia rispetto a quelli tedeschi che sono considerati i più forti.

Questa attenuazione delle tensioni sul mercato finanziario europeo è durata poco perché poi i tassi, specie di Spagna e Italia, sono finiti di nuovo sotto pressione con un forte allargamento degli spread sui bund decennali tedeschi. Tra le molte ragioni di questa troppo rapida archiviazione delle decisioni del Vertice ne citiamo tre tipicamente legate al funzionamento della Uem e della Ue.

La prima è che tra le decisioni e loro attuazione passano sempre tempi molto lunghi che i mercati non aspettano. La seconda è che la Uem e la Ue hanno troppo temporeggiato dal 2009 prima di prendere le decisioni e spesso gli Stati membri hanno dato l’impressione di essere sempre in una posizione di attesa per giocare in proprio la miglior scelta per se stessi indipendentemente dagli interessi solidaristici di Eurolandia. La terza è che le istituzioni della Ue sono quelle che in base ai Trattati decidono mentre i problemi sono adesso quelli di Eurolandia.Tutto ciò pone un problema di cooperazioni rafforzate tra gli stati della Uem che avendo l’euro e la Bce devono impiantare subito anche una politica fiscale comune.

In Italia la situazione si è fatta in crescendo difficile. L’indicatore più preoccupante è stato l’aumento dello spread dei tassi di interesse sui nostri titoli di stato rispetto a quelli sui titoli tedeschi. Subito dopo il Vertice, gli spread erano scesi da 3,20 punti percentuali a 2,80. Poi hanno ricominciato a crescere oscillando intorno ad uno spread di 3,40. Negli ultimi collocamenti dei Btp decennali, il tasso pagato si è avvicinato pericolosamente al 6%, il massimo mai pagato dal 2000.

Ha molto colpito anche l’avvicinamento degli spread tra i nostri Btp decennali e i corrispondenti bonos spagnoli che a un certo punto erano pressoché eguali per riallargarsi un poco e di nuovo restringersi. L’opinione prevalente è che l’aumento dei tassi è dovuto a una miscela esterna, di cui abbiamo detto, e interna, di cui diremo. Tutto ciò ha cambiato la percezione del rischio sui nostri titoli di stato e ha innescato delle vendite in base ai protocolli operativi dei gestori. Infatti, quando i tassi si avvicinano in questo contesto storico dei mercati europei al 6% le vendite di alleggerimento dei titoli diventano automatiche da parte dei gestori. La vendita abbassa i prezzi e aumenta i tassi. Il meccanismo di peggioramento così si autoalimenta.

Ha molto colpito anche la notizia di una vendita cifrata in 8 miliardi di euro di titoli di stato da parte della Deutsche Bank. Noi continuiamo a vedere come molto importanti le relazioni italo-tedesche come abbiamo argomentato, sia pure prima dell’evento citato, su Il Corriere della Sera del 19 luglio con il nostro articolo “La lezione tedesca sull’Europa che l’Italia non ha ancora imparato”.

Quali valutazioni conclusive, sui punti di forza e di debolezza dell’Italia, si possono allora fare limitandosi alla finanza pubblica e alle istituzioni italiane?

I punti di forza sono: una storia di gestione del nostro enorme debito pubblico che è sempre stata soddisfacente anche in momenti più gravi; la durata media della vita del nostro debito pubblico che è intorno ai 7 anni e quindi un aumento dei tassi si rifletterà gradualmente sul costo del servizio del debito; una distribuzione del possesso di titoli ancora per più del 50% in mano agli italiani; una manovra finanziaria approvata dal parlamento in brevissimo tempo e coerente alle richieste della Ue che aveva già espresso il proprio parere favorevole sul 2011 e 2012.

I punti di debolezza sono: una situazione governativa troppo precaria e instabile a causa di un governo scoordinato e di basso profilo in Europa. Il suo vero punto di forza era il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che pare adesso indebolito, ma che ha rappresentato per l’Italia la forte garanzia nella Uem e nella Ue dove ha acquisito notevole prestigio; una situazione di conflittualità politica permanente dove tra maggioranza e opposizione non si trova un modus vivendi nell’interesse superiore del Paese; una crescita ancora molto bassa che non si stacca da un trend che dura da quasi 20 anni.

In queste condizioni, l’unico elemento di coesione istituzionale nell’interesse del Paese è dato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma i suoi poteri non si possono spingere oltre quanto la Costituzione prevede. Per questo noi speriamo che la maggioranza e l’opposizione, o gran parte delle stesse, si pongano al servizio di un Governo di responsabilità repubblicana composto solo da personalità che hanno dimostrato capacità di azione politica ed economica riconosciuta e sopra le parti in Italia e in Europa.

Un Governo di tal natura dovrebbe servirsi in ruoli importanti anche di alcuni Governatori di Regioni di entrambe gli schieramenti che hanno dimostrato notevoli capacità sopra le parti politiche. Ciò sarebbe anche coerente con la grande riforma del federalismo fiscale che dovrà essere attuata senza provocazioni nordiste.

Varie altre riforme sono necessarie per lo sviluppo nel bene comune al fine di promuovere un vero liberalismo comunitario dove sussidiarietà e solidarietà si combinano.

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