Il mancato tentativo di venerdì da parte di tutte le Borse di risalire la china e di riguadagnare livelli di indici decenti, è l’aspetto più preoccupante dell’attuale sistema finanziario mondiale. Ai vecchi tempi della “sala delle grida” a Piazza Affari, momenti come questi venivano definiti in gergo: il mercato non riesce a fare lo “zoccolo” e si va giù a tracollo.



Sostanzialmente si notava, come è avvenuto in questi giorni di sofferenza, che alcuni comparti del mercato non riescono neppure, all’apertura di certe giornate, a quotarsi. È stato così nel settore “utilities” il giorno dopo la manovra predisposta dal Governo. Ma lo stesso si è verificato con una raffica di sospensioni, magari brevi, avvenute nel settore finanziario, soprattutto in quello delle grandi banche. Poi c’è il comparto automobilistico, per l’Italia il Gruppo Fiat, che attraversa un momento di grande difficoltà.



Il quadro rivela che i mercati, Piazza Affari in testa, scontano la mancata crescita di questi mesi. E, parlando più in generale, scontano la modesta crescita di questi anni dopo la “botta” del 2008. Forse ci si è illusi che, con qualche vertice internazionale, con alcuni provvedimenti tampone, tutto
ricominciasse come prima. Ma i più avvertiti, già dopo il 2008, parlavano di una crisi che poteva protrarsi per cinque anni. Oggi, di fronte al rischio di una seconda recessione si evoca il decennio degli anni Trenta, dopo la crisi del 1929.

Ad esempio, in Questa volta è diverso, il saggio citato infinite volte e scritto da Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, si dimostra che gli effetti degenerativi innescati dalla finanza portavano l’economia a una “Seconda Grande Contrazione”. Vera o non vera la tesi dei due autori, che mettevano sull’avviso fin dal 2009, era necessaria una “sveglia” per i governi, la classe politica e i grandi centri economici e finanziari. Magari non una riunione ogni tanto, ma un autentico sforzo comune per correggere o riaggiustare un meccanismo inceppato, che non favorisce più la crescita e l’espansione dell’economia, che ormai è una parente stretta della finanza. E questi due parenti si contagiano a vicenda con estrema rapidità.



Quindi il problema principale è quello, per tutto il mondo occidentale, di affrontare il problema della crescita, senza restare, un giorno sì e un giorno no, a piangere sui crolli di Borsa o a rincuorarsi per rimbalzi passeggeri. Questo deve essere uno sforzo comune e coordinato, non con singoli Stati che magari pensano di fare “da arbitri” in un periodo di tensione tra euro e dollaro, oppure tra stati europei che si dimostrano tetragoni a una vera visione europea.

La scorsa settimana si è aperta con una conferenza stampa catastrofica dell’asse franco-tedesco. Con la signora Angela Merkel (che viveva nella Germania orientale, zona per cui Helmut Kohl non stette a fare il prudente esattore, ma guardò all’unificazione concreta della Germania) e il francese
Nicolas Sarkozy che hanno ripetuto stancamente cose già note, opponendosi però all’emissione di eurobond.

È una conferenza stampa che ha fatto perdere qualche miliardo di euro in tutta Europa. Ora proprio gli eurobond, che si invocano da anni, darebbero una spinta non solo economica-finanziaria, ma di politica economica all’Europa. Servirebbero a grandi progetti, a importanti interventi infrastrutturali e garantirebbero il debito di tutti i paesi d’Europa. Tra l’altro, la coppia Merkel-Sarkozy, i tedeschi e i francesi, di fronte a una simile tempesta finanziaria non sono più in grado di fare gli schizzinosi. Anche lo stock di debito della Germania e della Francia veleggia ormai di molto oltre il 60% virtuoso voluto dal Trattato di Maastricht e il gioco della speculazione contro l’euro non ha un solo bersaglio, ma diversi bersagli, che sono i debiti sovrani europei, compresi Francia e probabilmente anche Germania.

Se la conferenza stampa della scorsa settimana è stata pagata dalle Borse con un crollo, c’è da stupirsi quando, di fronte alla bozza europea sugli eurobond, varata in questi giorni dalla Commissione europea, sia la cancelliera tedesca che il presidente francese facciano subito dichiarazioni per dirsi “non d’accordo”, per ribadire infine un no secco, che di certo non piacerà ai mercati e farà apparire l’Europa ancora più sfilacciata.

Ritornando comunque al problema reale, cioè al problema della mancanza di crescita e di espansione dell’economia, è giusto che ogni stato membro della Comunità europea faccia bene la sua parte. La manovra italiana, al momento non convince. Ha il carattere di un ulteriore tamponamento del debito, ma pare prevalentemente recessiva. E non si è mai visto che si possa uscire da una grande contrazione economica con manovre recessive, che mortificano ancora di più i consumi penalizzando i ceti medi soprattutto.

Non si può fare un totale e dire che bisogna raggiungerlo a ogni costo. Bisogna operare con scelte coraggiose, di tagli della spesa pubblica, ma al contempo di meccanismi che possono far ripartire l’economia. Se si guarda solo al debito, quello aumenta sempre. È solo una crescita, rimboccandosi le maniche, aumentando la produttività, che può portaci fuori dalla recessione. È questa la guida che si deve seguire. Ma occorre anche una certa coesione di questa politica che sembra avere un ceto di “pigmei”, con tutto il rispetto per i pigmei veri.

Sulla manovra da realizzare, il senso di responsabilità impone che le scelte siano realistiche, credibili e fattibili. Non si possono trovare “manovre di distinzione”, operazioni fatte tanto per distinguersi dagli avversari. Venerdì, l’aspirante politico Luca Cordero di Montezemolo ne ha varato una sua, di dieci punti, e lanciata attraverso “Italia futura”. Non si può dire che sia tutto oro che cola. Ma questo non è il problema. Il nocciolo della questione è che non è necessario, in questo momento, differenziarsi dal Governo Berlusconi, ma promuovere un programma per difendere l’Italia.