La caduta del regime di Gheddafi fa volare i listini energetici. In Italia, si registrano rialzi significativi per A2A, Edison, Enel e Ansaldo Sts, mentre l’Eni arriva a viaggiare oltre quota +8%. Effetto reale o euforia momentanea? E degli effetti della Robin Hood Tax che, fino a poche ore fa, aveva depresso i mercati gettandovi un’ombra oscura e mettendo in discussione il rendimento del settore energetico, cosa ne è stato? Francesco Bernardi, esperto del campo, ed Amministratore Delegato del gruppo Dse-Tremag interpellato da ilSussidiario.net, aiuta a scattare una panoramica della situazione. «Di sicuro la Libia è un importante produttore di petrolio e metano, e aveva un rapporto privilegiato col mercato italiano. La decisione di Gheddafi di bloccare le forniture, tuttavia, non aveva avuto ripercussioni. Contestualmente all’embargo, infatti, si era registrato in tutta Europa, e in Italia, una bolla di metano. Si è trattato di un eccesso di offerta tale per cui non ci sono state conseguenze nel breve periodo, da qui a tre anni, il periodo di previsione della programmazione energetica». Per capirci qualcosa, è necessario, però, fare qualche passo indietro. «L’Italia ha modificato il proprio mercato energetico, negli ultimi dieci anni, in maniera estremamente significativa. Fino al 2000 era molto più alta la domanda dell’offerta, e i produttori di combustibili ed energia elettrica avevano un’elevata capacità di determinazione dei prezzi. Inoltre non esisteva una borsa energetica, eravamo appena usciti dal regime monopolistico, il mercato non era trasparente e decisamente sbilanciato a favore dei produttori» che in quegli anni poterono arricchirsi notevolmente: «la ripartizione della produzione dell’Eni aveva attirato numerosi investitori che avevano capito che il nostro era il mercato più fiorente del mondo: una delle più grandi potenze industriali, con un offerta energetica bassissima». In seguito, durante il II governo Berlusconi, con il decreto Marzano e la liberalizzazione della produzione, «le centrali italiane – che erano poche, obsolete e funzionanti unicamente a oli combustibili – furono trasformate, ampliate, rese efficienti, moderne e in grado di funzionare a metano».
Oggi, quindi, la situazione è ben diversa: «è più alta l’offerta della domanda». Ebbene, tornando alla stretta attualità: «la redditività del parco elettrico è calata in seguito all’ipotesi dell’introduzione della Robin Tax e dell’aumento della pressione fiscale di dieci punti: gli investitori hanno previsto meno vantaggi nel settore. Ma la caduta del regime, che modifica ulteriormente lo scenario, implica che in prospettiva ci possa essere una ripresa di marginalità. E in tutti i momenti in cui gli scenari presentano discontinuità, si aprono prospettive speculative – questa volta in senso positivo – tali per cui il valore del listino delle varie società che si trovano ad avere nel loro portafoglio forniture di combustibili e di elettricità possono avere la possibilità di speculare in maniera più determinata». Chi sortirà effetti maggiormente concreti e duraturi? «La Robin Tax è un provvedimento provvisorio, legata al problema di risanamento della spesa pubblica e di durata triennale, quindi potrà sortire conseguenze unicamente entro questo periodo. La sconfitta del regime, che aveva i propri clienti fissi, rimette tutto in discussione, riaprendo numerose opportunità per tutti». Difficile dire se anche noi ne beneficeremo. Di sicuro, vanno prese in seria considerazione le parole dell’Ad e direttore Generale dell’Enel, Fulvio Conti, che a margine del Meeting di Rimini ha dichiarato: «Se la Libia diventerà uno Stato democratico, l’Enel potrebbe pensare di investirvi». Secondo Bernardi, «raramente Conti rilascia dichiarazioni in pubblico. E quando lo fa non è mai a caso. C’è da pensare, quindi, che abbia intessuto relazioni tali da rendere il nuovo scenario favorevole all’Enel, i cui manager sono noti in tutto il mondo per la capacità di prevedere le cose prima degli altri».