Le politiche familiari hanno ricevuto in Italia attenzione insufficiente, minore che nei paesi vicini. Questa è una carenza di tutti, delle varie forze politiche. Ma negli ultimi anni la situazione è peggiorata.
Hanno pesato gli effetti della crisi che impoverisce le famiglie, specie quelle a reddito medio-basso. Ma la gravità della situazione non è stata affrontata adeguatamente nell’ambito delle recenti manovre finanziarie fino all’ultima del decreto 138 del 13 agosto 2011. Anzi, i fondi stanziati in passato per rispondere ai bisogni primari delle famiglie (servizi all’infanzia, non autosufficienza, politiche sociali in genere) sono stati drasticamente ridotti.
Il decreto 138 non ha corretto in alcun modo tale impostazione, dimenticando la famiglia come si è denunciato da più parti, non solo dall’opposizione, ma dal giornale dei vescovi italiani fino a un quotidiano laico come Il Corriere della Sera.
Per stare alle scelte più gravi, l’aver fatto pesare la maggior parte delle riduzioni di spesa sugli enti locali (11 miliardi e mezzo fra 2012 e 2013) si tradurrà in minori servizi e/o maggiori tasse per le famiglie. Lo confermano le reazioni critiche degli amministratori locali, di ambedue gli schieramenti, che hanno denunciato l’impossibilità di mantenere l’attuale livello dei servizi sociali anche fondamentali e che si vedono costretti ad aumentare le imposte di loro competenza.
Si calcola che oltre 160 comuni, fra cui Milano, hanno introdotto per la prima volta l’addizionale Irpef e che altri 117 la stanno aumentando. Se tutti seguissero tale esempio, le addizionali comunali e regionali aumenterebbero di oltre il 100% rispetto al 2010. Analogamente si prevedono aumenti su tutte le tariffe dei più importanti servizi locali: rifiuti, acqua, gas, ecc.
Questo è un aspetto negativo della manovra, non il meno importante, al quale si dovrebbero apportare correzioni, in sede parlamentare, per riequilibrare le scelte alleggerendo gli enti locali e riducendo il carico sulle famiglie.
A dire il vero una politica lungimirante dovrebbe approfittare della crisi per impostare modifiche strutturali, di riequilibrio sia nella distribuzione del reddito, sia nel welfare, in primo luogo misure che riducessero veramente gli sprechi e le spese assistenziali, per concentrare le risorse scarse sui bisogni primari delle persone e delle famiglie e sulla promozione delle loro capacità.
Ma nell’immediato è necessario correggere almeno gli squilibri più gravi, a cominciare dalle ingiuste penalizzazione delle famiglie. Nello stabilire i sacrifici (purtroppo) necessari si deve tener conto della diversa capacità di reddito e patrimoniale delle persone, ma anche dei caratteri del nucleo familiare.
Il dibattito recente sul fattore famiglia ha avvicinato le posizioni nel mondo politico e fra le parti sociali, superando le criticità e le controindicazioni del quoziente familiare. Su questa base è possibile, e il Pd è disposto a farlo, costruire un’intesa, mi auguro bipartisan, che applichi i principi del fattore famiglia per modificare il decreto.
La correzione deve riguardare in particolare il cosiddetto contributo di solidarietà. Ammesso che resti, e molti dubitano della sua equità, esso dovrebbe tenere conto di tali principi per non pesare ingiustamente su tutti i contribuenti a prescindere dalla loro situazione familiare. La maggior parte di quelli chiamati a contribuire si colloca nella fascia fra 90.000 e 120.000 euro: è urgente discutere come riequilibrare questa tassa in base ai principi del fattore famiglia dando seguito a qualche disponibilità che si sta manifestando anche in ambito governativo.
Valutazioni analoghe potrebbero farsi anche da parte dei governi delle regioni e degli enti locali per modulare, nella misura in cui rientra nella loro disponibilità, le imposte di competenza tenendo conto dello stesso fattore famiglia. Tale fattore dovrebbe inoltre applicarsi anche alla determinazione delle tariffe dei servizi locali, che sono pure in rapido aumento. Alcune amministrazioni locali, di vario colore politico, hanno già fatto utili sperimentazioni in tal senso, che potrebbero essere prese in considerazione.
Queste sono proposte su cui discutere e decidere con urgenza. Un’intesa servirebbe anche per preparare il terreno all’attuazione della futura delega fiscale. Qui le scelte saranno più complesse, ma proprio per questo dovranno rispettare i principi dell’equità, anche familiare.
Segnalo un ultimo punto critico connesso con il tema famiglia e con la necessaria conciliazione dei ruoli fra uomini e donne nell’ambito familiare. Mi riferisco all’aumento dell’età pensionabile delle donne. Penso che questo sia un tema ineludibile, anche per superare le prevedibili obiezioni di disparità di trattamento con l’aumento dell’età pensionabile già deciso per le donne del settore pubblico. Ma se così è, la misura sull’età pensionabile deve trovare una “compensazione” nel riconoscimento alle donne di un periodo di contribuzione figurativa per gli anni della maternità; ad esempio, un anno ogni figlio, come avviene in altri paesi.
In tal senso ho avanzato insieme all’Onorevole Cazzola una proposta specifica, che potrebbe correggere un altro aspetto della manovra in senso coerente con gli obiettivi di favorire la natalità e di sostenere la famiglia.